Flussi di Sergio Benvenuto

Freud e il narcisismo12/lug/2017


  1. 1.    Seduzione del narcisismo

 

          Quando in gioventù per la prima volta lessi Zur Einführung des Narzissmus1, "Per introdurre il narcisismo" (tradotto impropriamente come “Introduzione al narcisismo”), la mia reazione fu di esserne affascinato ma anche di disagio. In quel testo geniale qualcosa sicuramente non quadrava, ma mi era difficile dire chiaramente che cosa. In seguito, il mio disagio venne superato perché mi iniziai al modo potente in cui Jacques Lacan riaggiustava la teoria freudiana: tutto ridiventava chiaro. Ma, in seguito, il mio transfert nei confronti dell'approccio lacaniano venne meno: allora le mie prime, forse ingenue, domande sulla teoria freudiana del narcisismo ritornarono alla ribalta del mio spirito. Wittgenstein diceva che le domande filosoficamente pertinenti sulle cose aritmetiche sono quelle che pongono i bambini2, e che l'adulto dovrebbe essere così maturo da riproporsi quelle domande puerili sui numeri. Il disagio nella mia adolescenza per il modo in cui Freud introduceva il narcisismo risultava da perplessità che, ora lo so, erano appropriate.

          Anche il fascino esercitato da "Per introdurre Narcisismo" su di me e su altri era dovuto al fatto che quel testo è esso stesso, in fondo, narcisistico. Esso seduce come, secondo Freud, seducono certe belle donne o i gatti persiani: appaiono rotondi, completi, autosufficienti3. Anche questo testo appare rotondo, completo, autosufficiente - pare che tutto quadri. Forse per questo Freud se ne vergognò sempre alquanto. Quando ne mandò la prima copia ad Abraham, scrisse: "Le manderò Narcisismo domani, che ha avuto una gestazione molto difficile... Ovviamente non mi piace granché, ma per il momento non posso fare di meglio."4  E dopo che Abraham rispose elogiando quel testo5, Freud replicò: "Il fatto che lei accetti persino Narcisismo mi tocca nel profondo e costruisce tra noi due un legame più intimo."6 Il legame nel condividere una colpa. Difatti quel saggio è uno dei pochissimi che Freud rinnegò. Le ragioni di questo sentimento di vergogna erano certo complesse, ma una ragione possibile era la relazione narcisistica che quel testo stabilisce con il suo lettore  e che probabilmente stabiliva con il suo autore.

          Oggi esistono varie teorie analitiche al narcisismo. Ad esempio, molti preferiscono pensare che tutte le forme di vita nevrotiche abbiano un versante narcisistico. Freud parlò di guadagni secondari della nevrosi; ora, ogni nevrosi spesso procaccia un guadagno primario: una soddisfazione narcisistica. Perché il narcisismo procaccia comunque un tipo speciale di piacere  per esempio, il piacere di lamentarsi senza posa.  Ad esempio, il beneficio laterale narcisistico di Dora era soprattutto mandare all'aria i progetti degli uomini che si interessavano a lei  anche quelli di Freud.

          Freud parlò di narcisismo come di una posizione libidica tattica che viene occupata quando, per esempio, si prova dolore; quindi, chiunque di noi slitta in stati narcisistici. Quando abbiamo mal di denti, tutti diventiamo narcisisti perché le nostre pulsioni si concentrano sul dente dolorante. Scrive Freud:

E' universalmente noto, e ci sembra ovvio, che una persona tormentata da un dolore o malessere organico abbandoni ogni interesse per le cose del mondo esterno che non hanno a che fare con la sua sofferenza....(I)l malato ritira sull’Io i propri investimenti libidici e li esterna di nuovo fuori di sé dopo la guarigione[1].

 

Ogni sofferenza nevrotica comporta il narcisismo, perché essere nevrotici significa, per Freud, non sapere che cosa si desidera. E questo stato di perplessità, in cui sfocia un desiderio spalancato e beante, trascina con sé costellazioni narcisistiche.  Uno stato nevrotico dispone un soggetto a un disordine narcisistico così come la povertà della gente che vive nella marginalità la dispone al furto, all'alcolismo e alla violenza.

          Ma intanto esaminiamo le radici – freudiane - del concetto di narcisismo[2].

 

2. Il narcisismo è sempre secondario

          L'ambiguità del narcisismo appare sin da quando Freud usa questo termine per la prima volta, nel 1910. Egli dice che "[un omosessuale] prende se stesso come suo proprio oggetto sessuale; egli parte dal narcisismo e cerca giovani uomini che gli assomiglino, in questo modo egli può amarli così come sua madre lo amò."10. Quindi, sin dall'inizio Freud non considera narcisismo giusto l'amare se stessi: allo stesso tempo il narcisismo è il fatto che l’Io amato dal soggetto sia l'oggetto amato dalla madre o dal padre  dall’Altro, per usare una terminologia lacaniana. Il narcisismo è "Amo la mia immagine come oggetto amato dall’Altro". Per Freud, l'amore per noi stessi non è mai completamente naturale né primario. Talvolta Freud descrive narcisismo come una reazione radicata in una posizione libidica primitiva - come quando reagiamo a un dolore fisico, lo abbiamo visto. Ma allo stesso tempo Freud descrive questa reazione narcisistica come una alienazione dell’essere umano nell’amore e nel desiderio dell’Altro: amiamo noi stessi non solo perché dobbiamo proteggere il nostro corpo dalle ferite, ma perché ab origine siamo alienati, "corrotti" dall’amore dell’Altro, il quale non ci vuole feriti. Insomma, prendiamo cura di noi stessi anche perché un altro ci ama e prende cura di noi[3].

          Ma le cose, sin dall’inizio della storia del concetto, sono ancora più complicate. Se chiediamo "Che cosa significa essere oggetto d’amore dell’Altro?", la risposta è problematica, perché l’oggetto dell’amore, del desiderio, per Freud non è la stessa cosa della cosa reale o esterna.

          In effetti, se ci chiediamo perché l’altro ci ami, e vogliamo essere freudiani, dobbiamo rispondere "Perché l’altro, il nostro genitore, ama la sua immagi­ne speculare che vede in noi, sue pupille degli occhi." Il soggetto narcisista ama se stesso nella stessa misura in cui il suo genitore lo ama, ma questo genitore nel suo bambino o bambina ama se stesso. Questo significa che il narcisismo è sempre narcisis­mo di narcisismo, narcisismo di secondo grado. Il narcis­ismo è inquietante perché risulta sempre secondario e mai primario. Esiste un primo grado solo nel mito di un narcisismo primario, che è appunto pura speculazione.  Quindi il narcisismo de facto è una relazione, un legame sociale, più che un tipo di personalità. E difatti, molto spesso Freud descrive come narcisiste persone che sono affascinate dai narcisisti, o viceversa persone che sono amate narcisisticamente da altri. Il concetto freudiano di narcisismo è imbarazzante, perché slitta continuamente dall’amante all’amato, dal soggetto logico all’oggetto logico, e viceversa.

 

3. La narrazione psicoanalitica

          Generalmente questa insistenza di Freud sul fatto che il narcisista ami l’oggetto amato da sua madre venne interpretata da molti postfreudiani nel senso che bisognava ricostruire, in modo sempre più accurato, le relazioni precoci che intercorrono tra la madre e il suo bebé. Perciò la maggior parte dei dibattiti tra postfreudiani riguardarono lo sviluppo del bambino. Tutti costoro dimenticavano però che quando Freud parla di stadi primitivi nell’infanzia egli fa supposizioni ispirate dall’analisi degli adulti. Quando Freud dice, che so, "il mio analizzante è regredito a una fase orale, quando veniva nutrito dalla madre", non dovremmo interpretare questa affermazione essenzialmente come una ipotesi genetico-evolutiva. E' vero che Freud spesso indirizzò la propria teoria in questo senso: disse che l’analista deve ricostruire una realtà storica del soggetto  come i traumi iniziali, la scena primaria, e altri coups de théâtre[4]. Ma in questo modo prenderemmo per buona proprio la parte più fragile della psicoanalisi: la sua pretesa di raccontarci un’evoluzione reale. Perché, malgrado la solita e trita identificazione dello psicoanalista con il detective, l’analista aiuta a ricostruire una storia puramente mentale, non raccoglie prove di quello che accadde nell’infanzia facendo un’inchiesta tra genitori, zii e amici di famiglia del paziente. Quando Freud parla della prima infanzia, egli evoca una narrazione  per usare il termine di J.-F. Lyotard - capace di strappare il soggetto dal fascino pietrificante per il suo sé.

          Allora, se un freudiano dice a un paziente, per esempio omosessuale, "Quando ti senti attratto da quel ragazzo, allora lo guardi con gli occhi con cui tua madre ti guardava da bimbo", egli non sta proponendo, malgrado le apparenze “grammaticali", un’ipotesi scientifica, che ha valore solo in quanto è controllabile. Se fosse così, Freud avrebbe sguinzagliato mute di psicologi in indagini longitudinali sulle famiglie, avrebbe elaborato statistiche, ecc. In realtà, Freud suggerisce al suo paziente un mito verosimile, che dica qualcosa di plausibile al suo analizzante, ma non necessariamente agli psicologi scientifici. Egli sta dando un’interpretazione, non sta offrendo una spiegazione causale[5].

          Di solito l’analizzante dice "Io sono questo, nient’altro che questo, ma allora come posso cambiare questo?" Allora l’analista ha sempre una via d’uscita, e può dirgli: "Ma quello che consideri il tuo questo, il tuo self, è l’oggetto di tuo padre, di tua madre  del tuo Altro".  Ciononostante, spesso, quando questo analista si mette a teorizzare, non rimane fedele al suo stile di analista, ma si mette a parlare o a scrivere come uno scienziato dell’anima. In questo modo egli entra in una corsa verso l’oggettività molto simile a quella di Achille dietro l’irraggiungibile tartaruga. Quando per esempio egli entra nell’interminabile discussione tra SelfPsychology e Objectrelations Psychology, l’analista teorizza come se in realtà egli stesse dicendo al suo analizzante: "Io so scientificamente, medicalmente, il tuo questo, quel self che tu sei. L’ho dimostrato all’ultimo congresso di psicoanalisi, confutando i miei rivali..." Ma così facendo, l’analista teorizzante commette lo stesso errore commesso dal suo cliente quando questi aveva detto "Io sono questo, nient’altro che me stesso". Perché questo analista, nell’istante in cui teorizza, crede che un soggetto sia qualcosa. Per l’analista praticante invece ogni "essere qualcosa" è un’illusione.  Questa è la ragione per cui possiamo dire che la teoria psicologica  ovvero l’interpretazione psicologista della teoria di Freud  è il narcisismo della psicoanalisi. Quando l’analista si vagheggia come scienziato dell’anima cade nella stessa svista narcisistica del suo paziente.

 

4.  Funzioni

Per introdurre il Narcisismo è come uno spiedo che infila assieme, in modo ingegnoso, una sfilza di fenomeni a prima vista del tutto eterogenei: il dolore nelle lesioni organiche; l’ipocondria; le schizofrenie; l’umorismo; i grandi criminali; l’omosessualità; il fascino suscitato da certe belle donne, dagli animali da preda, dai gatti e dai bambini; le nostre figure ideali; i sentimenti di autostima; l’innamorarsi. Davvero tante, troppe cose. Ma la difficoltà non consiste in questo infilzamento: consiste nel fatto che le diverse nozioni di narcisismo evocate in questo testo non coincidono, non si sovrappongono perfettamente  insomma, sono logicamente incoerenti, come cercherò di mostrare. Il mio obiettivo non è cercare di rendere coerente, completa, insomma del tutto rispettabile, la teoria del maestro. Al contrario, il mio lavoro su Freud tende a evidenziarne contraddittorietà e incompletezze. Non per denunciarlo, ma per mostrare attraverso queste contraddizioni e incoerenze il travaglio e la tensione del suo pensiero. Il pensiero di Freud, come quello di ogni grande maestro, non è coeso, perfettamente integrato: è un nodo da cui si diramano molte vie di fuga.

          Per mettere un po' di ordine nel labirinto della teoria del narcisismo, ho fatto ricorso ad alcune semplici funzioni matematiche. Una funzione in matematica definisce i valori di un termine (detto variabile) in quanto essi variano secondo una certa corrispondenza con i valori di un altro termine (detto variabile indipendente). Un concetto funzionale non è un’identità assoluta, ma variabile: questa esiste nella misura in cui varia un’altra variabile in modo corrispondente[6].

          Nel saggio sul narcisismo Freud essenzialmente gioca su tre concetti principali: Ich (Io)[7], Ideal (Ideale) e Objekt (oggetto). Si capisce che quando parla dell’"Io”, degli Ideali e degli Oggetti, Freud intende che ognuno di questi termini esiste in relazione agli altri due. E che quindi egli sta parlando di variabili, cioè di funzioni.

 

                              Fig. 1

 

          Come potete vedere in questa figura, ho scritto accanto all’Ideale e accanto all’Oggetto i loro equivalenti nel vocabolario lacaniano: Altro (con una A maiuscola) occupa il posto dell’Ideale dell’Io freudiano; altro (con una a minuscola) occupa il posto dell’oggetto freudiano[8].

          Freud intende per Libido dell’Io una relazione tra Io e il mio Ideale: più è ricco il mio Ideale, più è povero il mio Io, e viceversa.  In Freud c’è un’ambiguità su Ich, Io: è allo stesso tempo l’intero soggetto, preso nel suo insieme, e parte di esso. Anche prima di aver tracciato la seconda topica, Io (Ich) in Freud è un insieme di istanze e allo stesso tempo solo una di queste istanze. Penso che l’elaborazione, nella psicoanalisi di lingua inglese, del concetto di Self sia stato un modo di risolvere questa ambiguità. Io preferisco rispettare l’ambiguità, piuttosto che medicare o riparare la teoria di Freud.

          Freud intende di converso per Libido d’Oggetto una relazione funzionale tra Io e i miei Oggetti. Ma naturalmente c’è anche una relazione tra il mio Ideale e il mio Oggetto: più il mio oggetto è idealizzato, meno esso è oggetto; più il mio ideale è oggettivato, meno esso è ideale. Le frecce che vanno nelle due direzioni indicano che la relazione è sempre reciproca e contraria: per questo Libido dell’Io può significare "Io idealizzo me stesso" ma anche, in senso inverso, "Me stesso idealizza io [me]". E anche, Libido d’Oggetto può significare "Io amo questo" ma anche "Questo ama me". Stupisce comunque che qui Freud paia situare il narcisismo nello spazio della Libido dell’Io, ovvero nelle relazioni tra Io e il mio Ideale.   Eppure in altri punti egli definisce il narcisismo come non specifico della Libido dell’Io, piuttosto come la modalità passiva della Libido, anche di quella d’Oggetto. Il narcisismo è appunto quando "l’Ideale ama me" e "Questo ama me", quando "Io" sono/è in una posizione passiva, come Me, mySelf potremmo scrivere in inglese. In effetti, in italiano non diciamo mai Io-stesso mi amo, ma sempre Amo me stesso. (In inglese non si dice mai Iself loves me ma sempre I love myself; in francese non si dice mai Moi-même m’aime, ma J’aime moi-même). Stesso e self sono sempre un riflesso, un’immagine, di Io, scivolano verso l’oggetto.

          Nel mio diagramma esprimo la relazione attiva tra il desiderio oggettuale e l’idealizzazione con due vettori che vanno da sinistra a destra. Questo perché in Freud Ich è la fonte allo stesso tempo del desiderio e della forza idealizzante. Come fonte della Libido d’Oggetto, Io è essenzialmente un corpo erogeno: organi eccitati, erezione o secrezione vaginale, bocca, ano, muscoli. Ma allo stesso tempo Io è un punto di riflessione, da cui la stessa fonte libidica è osservata. Parafrasando Shakespeare[9], che gioca sull’omofonia tra eye ed I: as the source of the Ilibido I am just... eye ("come fonte della libido dell’Io sono occhio."). Voglio dire che la libido dell’Io è essenzialmente visione e desiderio degli Ideali, occhio o corpo mentali. Ma siamo sicuri che questi due "Io" coincidano? Freud talvolta dà per scontato che Io che desidero toccare e accarezzare il seno di mia madre,  e Io che realizzo che sono amato da chi porta quel seno, siano la stessa cosa. Ma ne possiamo essere sicuri? Talvolta i due Io si possono rivelare diversi, o addirittura opposti; sono sfasati tra loro.

          Nelle relazioni passive  espresse nel mio diagramma dalle frecce che vanno da destra a sinistra  Io occupa il posto dell’oggetto. Qui do spazio all’ambiguità del concetto di Ichbesetzung, di investimento dell’Io. In questo caso abbiamo un va e vieni tra il senso oggettivo del genitivo ("Io sono investito da pulsioni") e il senso soggettivo dello stesso ("Io investo oggetti con le mie pulsioni") di "Investimento dell'Io"[10]. Questa ambiguità in Freud è essenziale, perché nel narcisismo abbiamo sempre una pendolarità dal passivo all’attivo, dal senso soggettivo a quello oggettivo degli investimenti.

 

 

                           Fig. 2

 

          Nella figura 2 continuo a sfruttare il mio strumentario grafico. Qui sottolineo le relazioni  o sovrapposizioni  tra Oggetto e Ideale, quando la Libido dell’Io e la Libido d’Oggetto si sovrappongono. Sfrutto una distinzione avanzata da Lacan. Egli notò che Freud talvolta scrive IchIdeal (Ideale dell’Io) e talaltra scrive Ideal-Ich (Io ideale)[11]. Si tratta di una semplice oscillazione retorica, o si delinea là una distinzione concettuale pertinente? Lacan ha cercato di mostrare che Freud intendeva distinguere due concetti diversi. Per esempio: quando sogniamo una Ferrari, stiamo sognando un’auto ideale. Ma se sono un ingegnere che progetta un’auto, ho in mente un modello di auto, qualcosa che nessuna auto reale sarà di preciso, un Ideale di auto. Anch’io penso che Freud scriva Ideale dell’Io quando egli indica il puro Ideale di me stesso (nel nostro esempio: un ideale di auto). Egli usa invece Io ideale quando indica un oggetto idealizzato, qualcosa a metà strada tra il puro oggetto e il puro ideale (come una Ferrari può essere un’auto ideale). In questo ultimo caso, "Io ideale" è un limite, un borderline che segna il confine tra la Libido dell’Io e la Libido d’Oggetto, un punto dove Ideale e Oggetto si fondono l’uno nell’altro.

          Quando H. Kohut distingue tra oggetto idealizzante (idealizing object) e oggetto speculare (mirror object), egli intende qualcosa di molto vicino alla distinzione tra Ideale dell’Io e Io ideale, nel senso in cui io stesso l’ho riproposta or ora.

          Freud, quando interpreta gli stati maniacali, li considera molto prossimi a questo "Io ideale" vissuto come tale. Nella mania Io è descritto da Freud come molto ricco, non volto al proprio interno ma proteso fin troppo all’esterno, verso un punto dove gli oggetti esterni e le autoidealizzazioni si toccano. La melanconia viene descritta come l’opposto della mania sullo stesso asse: la malinconia coincide con un Io povero, quando io sono schiacciato in una volta sola dal mio Ideale e dal mio Oggetto, perché nella malinconia, come nella mania, Ideale e Oggetto coincidono. "Nella malinconia l’ombra dell’oggetto [idealizzato] cade sull’Io"[12], dice Freud.

          E' istruttivo il fatto che l’idealizzazione prenda una doppia direzione opposta tra Ideale e Oggetto (si guardi la parte destra del grafico 2). Che cosa accade quando gli oggetti si sovrappongono all’ideale, e quando in senso inverso l’ideale si sovrappone all’oggetto? Per Freud questi due movimenti producono due fenomeni diversi. Quando il mio oggetto è messo in una posizione idealizzata, abbiamo qualcosa che Freud descriverà come ‘sindrome’ del leader, in Psicologia delle folle e analisi dell’Io[13]. Secondo Freud, abbiamo una folla strutturata quando un oggetto esterno  il leader  prende il posto del mio oggetto libidico, ed è messo nella posizione di mio Ideale dell’Io.

 

5. Da Don Giovanni a Tausk

          Per meglio capire questi grafici funzionali, proviamo ai sostituire a questi termini puramente teorici dei nomi di eroi ed eroine ben noti. Nella vita reale incontriamo sempre modeste proporzioni di relazioni tra Io, Ideale e Oggetti; eccetto nella psicosi, non incontriamo mai casi e relazioni estremi. La letteratura, la psichiatria e la filosofia ci forniscono casi più netti (vedi fig. 3).

 

 

                           Fig. 3

 

          Don Giovanni, l’eroe creato nel Seicento, incarna il puro limite della libido oggettuale attiva. Don Giovanni dice "Sono tutto libido verso le donne [oggetti], ma queste donne non sono mai i miei ideali; per questo le conto come oggetti di conquista." Nel dongiovannismo, messo in scena da Tirso de Molina, Molière, Mozart, Zorilla, ecc., vediamo un’asimmetrica espansione dell’Io come libido oggettuale assoluta, dove gli oggetti  tutte le donne, vecchie o giovani, ricche o povere, belle o brutte  sono solo oggetti calcolabili ("Ma in Spagna... in Spagna son mille e tre"). Don Giovanni rappresenta la cieca innocenza di un puro Io libidico. Ed è una nefasta innocenza, perché l’Ideale dell’Io, a un certo punto, irrompe in questa orgia libidica nella forma terribile del Convitato di Pietra, la statua che ucciderà Don Giovanni. Ma questo Convitato è un Ideale talmente lontano dal soggetto che non ha alcuna qualità ideale, è un mero SuperIo come istanza di pura punizione e vendetta.  Insomma il mito teatrale può introdurre l’Ideale dell’Io nell’universo dongiovanneo solo nel modo più antisoggettivo: come un morto, uno spettro, una statua, come qualcosa al di fuori di ogni relazione libidica vivente.

          La relazione inversa  dove l’Io è desiderato dagli oggetti, è in una posizione passiva  è stata anch’essa messa in scena dal teatro: è la bella e misteriosa Lulu, creatura di Franz Wedekind in Il vaso di Pandora e nello Spirito della Terra[14]. Lulu è il prototipo della femme fatale. Se Don Giovanni è troppo Io, Lulu in fondo non ha alcun Io. Lei è solo e sempre amata, da uomini e donne, ma lei non ama. Lei esegue solo quel che le dice di fare suo padre, di cui è come il burattino. Ma non è una coincidenza che i suoi amanti siano generalmente artisti, impresari, che insomma essi siano facitori di immagini; Lulu è il loro artefatto, la loro pura "immagine d’amore". Da notare che Lulu seduce essenzialmente attraverso un suo ritratto. Essa è fondamentalmente una parvenza, la chimera dei suoi amanti.  E' un mistero per gli altri, perché la sua essenza consiste solo nell’essere amata da altri. Così alla fine Lulu muore come Don Giovanni, ma per ragioni inverse: viene uccisa da Jack lo Squartatore, cioè da una figura maschile che non ama né desidera le donne, ma le odia.

           Se passiamo alla relazione tra Io e mio Ideale, anche qui possiamo trovare incarnazioni estreme di una pura libido dell’Io, ai limiti dell’esperienza mistica. Don Giovanni e Lulu sono rappresentanti della libido oggettuale senza l’ombra di idealizzazione. Ora troveremo rappresentanti della Libido dell’Io senza l’ombra di un oggetto. In questi casi estremi, troveremo al posto dell’Ideale dell’Io la tipica metafora di ogni idealizzazione suprema: Dio.  Ma per ogni mistico diciamo normale la sua relazione con l’Ideale dell’Io supremo, la divinità, è generalmente umanizzata, perché il Dio incontrato dai mistici è sempre in un certo modo oggettivato. E' "il dio di Abramo e Isacco", oppure è Gesù Cristo, "Iddio fattosi uomo". Dio nelle religioni monoteistiche è piuttosto il capo supremo delle folle, l’Ideale delle chiese affollate, il che implica che Egli è sempre anche come un oggetto.

          Nel delirio mistico del presidente Schreber – forse il caso psichiatrico più commentato nel Novecento - possiamo trovare la pura incarnazione di un soggetto completamente sopraffatto dal suo Ideale, impersonato dal suo dio perverso e libidinoso[15]. La paranoia di Schreber dispiega una possibilità estrema, quando Io è completamente investito, passivamente, dal suo Ideale, il quale allora assume la forma perturbante di un dio senza scrupoli. Questo Ideale onnipotente e senza regole assorbe anche la libido oggettuale.

          L’opposto dell’esperienza di Schreber è quella descritta da un filosofo che avrà egli stesso uno sbocco psicotico: da Nietzsche, quando parla in Così parlò Zarathustra. Zarathustra, profeta del SuperUomo od OltreUomo, è appunto un soggetto che ha preso il posto di Dio: eliminato Dio, ogni Ideale dell’Io, piazza se stesso al posto del proprio Ideale. E' la profezia di una rivolta radicale della soggettività umana contro tutte le forme teologiche di idealizzazione: è il progetto di divinizzare Io. Sartre dirà, a sua volta, che il desiderio fondamentale di ogni essere umano, se è libero, è il desiderio di essere Dio. Zarathustra rivendica questa uccisione del SuperIo, del Convitato di Pietra, e fa derivare una divinizzazione dell’Io in quanto Oltreuomo.

          Nella linea mediana, la linea timica, cioè dell’umore, divide libido dell’Io e libido d’Oggetto, che va dalla melanconia alla mania. Qui troviamo due poli, descrivibili attraverso il mito di Narciso e di Eco. Narciso è nella posizione dell’"Io ideale", in quel fragile punto dove l’Ideale e gli Oggetti sono a eguale distanza da Io, dove l’idealizzazione e l’oggettualizzazione raggiungono un equilibrio instabile. All’estremo opposto troviamo Eco, la ninfa che ama Narciso, ma che non può essere da lui amata perché lei è solo eco di Narciso[16]. Lei rappresenta l’annullamento soggettivo dell’amante ridotto a ombra evanescente dell’amato. E' l’eterna zitella rifiutata a un tempo dall’Ideale e da ogni maschio coniugabile. Ma sulla stessa linea, tra la ninfa Eco che sta svanendo e Narciso superappariscente, possiamo infilare – a distanze più temperate - i due eroi opposti creati da Goethe. Al polo malinconico di questo continuum mettiamo il suicida giovane Werther, al polo maniacale il trionfante e superumano Faust, che va oltre le leggi degli dei e degli uomini.  Nel mondo di Goethe troviamo le incarnazioni poetiche di un tipo di soggettività sempre sospesa tra l’idealizzazione e le pulsioni libidiche nude e crude.

          Quando l’Ideale dell’Io si muove verso quei piccoli Oggetti amabili qual sono uomini e donne, allora troviamo le celebri coppie amorose della letteratura occidentale. Su questa linea ho messo quella di Dante e Beatrice.  Beatrice era per Dante l’ombra del proprio Ideale dell’Io che cade sul suo oggetto: in quanto è Teologia nella Divina Commedia, Beatrice conduce Dante verso Dio, l’Altro Ideale.

          Dall’altro lato, troviamo il tipico meccanismo di gruppo nella folla psicoanalitica  cioè nelle istituzioni psicoanalitiche. Cito qui la relazione letale tra Freud e il suo brillante discepolo Victor Tausk, il quale si suicidò[17]. Il suo rapporto con Freud pare essere la ragione essenziale di questo gesto. Nell’amore sessuale idealizzato l’oggetto amato deve morire, nell’amore ideale oggettivato per il Maestro (in questo caso Freud) spesso è l’allievo che deve morire. Rovesciamento impressionante: ogni istituzione (compresa quella psicoanalitica) tende a essere come un Esercito dove i generali sopravvivono e i soldati muoiono, e ogni amore sublime tende verso un lutto nel quale l’amante sopravvive e l’amata è giusto un ricordo.

 

6.  I tre narcisismi

          Non so se i miei riferimenti letterari abbiano aiutato a trovare il bandolo nel labirinto della teoria freudiana. Ma il peggio deve ancora venire. Confesso che dopo aver elaborato i miei grafici, ho capito che erano inadeguati, che tutto questo mio sforzo era, per altri versi, un fallimento.

          Rifiuto questo schema (per il quale ho preteso tutta la vostra attenzione di lettori!) non perché non sia abbastanza ben congegnato, ma perché è troppo ben congegnato. Il narcisismo freudiano sgaiattola fuori dalla rete che gli ho gettato addosso per dargli finalmente un ordine razionale e definito. Non sono riuscito a fissare il narcisismo freudiano in una struttura logica. In effetti, si dà il caso che il narcisismo è dappertutto nel mio diagramma, e perciò infondo non è da nessuna parte. E' dappertutto nella misura in cui è una figura dell’Io o del Se, e quando raffiguriamo noi stessi siamo sempre in una posizione narcisistica. Non è da nessuna parte perché il diagramma non è in grado di delimitare, inscrivere, la modalità narcisistica in un posto determinato. Mi consola pensare che la consapevolezza del mio fallimento è forse anche il mio successo  se non addirittura il successo di Freud.

          Freud è incapace di circoscrivere il suo concetto di narcisismo attraverso i concetti basilari di Io, di Ideale e di Oggetto, perché abbiamo più di un significato di narcisismo nella sua teoria:

1) narcisismo come campo della libido dell’Io, come spazio chiaramente distinto dalla libido d’Oggetto (questo è il senso accettato e sviluppato da H. Kohut, per esempio);

2) narcisismo come modalità di relazione passiva dove Io è l’oggetto passivo vuoi dell’Ideale vuoi dell’Oggetto;

3) narcisismo come esperienza speculare (questa è l’accezione accettata da Lacan nella sua teoria dello stadio dello specchio e del registro immaginario).

          Ma il mio modello ha almeno il merito di mostrare visivamente che questi significati diversi non coincidono. C’è una fluttuazione concettuale nella teoria di Freud, la quale non è veramente rotonda, completa, autosufficiente, come gli splendidi gatti o i criminali alteri. Questa non è una ragione sufficiente per rifiutare semplicemente quella teoria; del resto tutti i principali concetti freudiani sono fluttuanti e incoerenti. E' l’occasione buona allora per andare un passettino oltre, per decostruire finalmente la Konstruktion di Freud.

 

7.  Lustprinzip

Abbiamo visto che, per Freud, per gli esseri umani c’è una sola via di accesso alla realtà: prendere le cose esterne come loro oggetti, di odio e di amore. Freud usa la parola Objekt, non la parola Gegenstand, anche se traduciamo ambedue con oggetto (object in inglese). Gegenstand significa letteralmente "star contro (al soggetto)", è l’oggetto della conoscenza. Al contrario, Objekt proviene dalla parola latina objectum, che letteralmente significava "gettato via". Per Freud gli esseri umani hanno a che fare essenzialmente non con cose ma con i loro stessi oggetti: questi oggetti sono pezzi di cibo, o di seno, cose sputate fuori, gettate via da un bambino disgustato. Per questa ragione Freud scrisse che "l’esterno, l’oggetto, la cosa odiata all’inizio sarebbero identici"28. E quando in seguito dobbiamo sforzarci di venire a contatto di nuovo con il mondo esterno, dobbiamo essere capaci di reintroiettare questa merda che abbiamo buttata fuori; dobbiamo essere capaci di perdonare al mondo di essere precisamente... im-mondo. Difatti il mondo è, come sappiamo tutti, “una valle di lacrime", spazzatura dello spirito.

          Insomma, per Freud amare un oggetto non è mai amare giusto una cosa o una persona: intravvediamo la cosa reale giusto così come percepiamo la luce alla fine del tunnel del nostro desiderio, attraverso la penombra dei nostri oggetti libidici. Quando amiamo un objecum, in termini freudiani noi mettiamo di nuovo dentro noi stessi qualcosa che avevamo previamente rigettato.

          Non sto forzando la solare teoria freudiana nelle ombre di una pura speculazione filosofica. La divisione, Spaltung, tra gli oggettiperme e le coseinsè è un problema molto concreto per gli esseri umani normali, non solo per i metafisici. Quante volte una donna dice al suo amante "Ma che cosa ami in me? Chi ami quando fai l’amore con me? o quando mi dici che ami me, solo me?" Questa domanda patetica è anche una delle domande più squisitamente freudiane: abbiamo il sentimento imbarazzante che persino l’amore non possa compiere il miracolo di far coincidere la cosa reale con il nostro oggettosé [self object], con il nostro autooggetto per così dire. Per questo molto spesso facciamo soffrire la persona reale che è il nostro oggetto d’amore. Persino nell’amore felice non siamo capaci di superare la natura narcisistica della nostra relazione con il/la nostro amato/a. Freud pensa che viviamo in un sogno narcisistico: il nostro mondo è essenzialmente il mondo dei nostri oggetti. Ma per altri versi Freud scommette sul fatto che possiamo evadere da questo “mondo” grazie all’analisi.

          L’essenza della psicoanalisi consiste nell’idea che c’è un gap tra chi amiamo od odiamo e che cosa veramente amiamo od odiamo. L’intera arte psicoanalitica consiste in questa sconnessione tra chi e che cosa. Quando Freud scrive che "il malinconico sa chi ha perso, ma non che cosa ha perso"29, egli sottolinea questo scarto, e in questa sottolineatura consiste tutta l’azione psicoanalitica. Ma non penso che l’obiettivo reale di uno psicoanalista consista nel dire chi è che cosa, nominare il vero oggetto, perché questo non può essere rappresentato come tale. E' un valore, una regola, un’interpretazione, non qualcuno o qualcosa. Il narcisismo è il tentativo di amare o di odiare l’oggetto reale, il che cosa si era realmente amato. Ma questo tentativo è sempre uno scacco.

          Il pasticcio però consiste nel fatto che allo stesso tempo, per Freud, il nostro self è sempre alienato: abbiamo accesso attraverso amore e odio al nostro "sé" perché questo "sé" era già l’oggetto dell’Altro. Era l’oggetto che l’Altro (primariamente, nostra madre) accettò come parte di sé, o che l’Altro rifiutò come escremento. Da una parte il nostro mondo è in gran parte un sogno narcisistico, dall’altra questo sogno nel quale viviamo è in gran parte il sogno di un Altro. L’abilità dell’arte psicoanalitica consiste nel mostrare a un soggetto l’altro sogno, quello dentro il quale egli non suppone di vivere.

 

8. “Io sono questo

          Ma anche quando parliamo di Io o di Ego fa capolino un dubbio parallelo: stiamo parlando del Self in se stesso, o delle sue rappresentazioni? Stiamo parlando di ciò che sono, o di ciò che vedo di me?

          Potremmo rispondere che il Self è l’insieme delle sue rappresentazioni. Ma in questo caso il problema non è risolto, perché possiamo allora chiedere se questo Self come insieme delle sue rappresentazioni sia ancora una rappresentazione per l’Io.  Ci stiamo avvicinando in modo pericoloso al famoso paradosso di Bertrand Russell sull’insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi come membri di se stessi...

          La soluzione a cui tendono gli analisti freudiani è di considerare sempre il “Sé” come la propria stessa rappresentazione, il proprio ideale. E chi è l’ultimo soggetto ad avere se stesso come la propria rappresentazione? Nessuno.  Intendo dire che, in molta psicoanalisi, risulta impossibile retrocedere fino al primo, reale, originale Sé. Nessuna verità soggettiva può consolidare una verità psicoanalitica, perché uno psicoanalista ha sempre a che fare con rappresentazioni, non con Selves.

          Per uno psicoanalista freudiano doc di solito essere un self significa che uno ha degli Ideali, e che io stesso [mySelf] sono/è il mio proprio Ideale. Quando faccio sforzi per idealizzare myself, me-stesso, il risultato è che idealizzo qualcun altro; e quando idealizzo un altro, idealizzo in fondo sempre me stesso. Non c’è mai alcun terreno solido, coerente, alla base delle interpretazioni narcisistiche. Identificazione narcisistica.

          Questa ambiguità è l’immagine teoretica della pratica analitica  pratica che troppo spesso le teorie cercano di riparare, anziché de-scrivere o addiritttura de-costruire. Quando un analizzante dice "Io sono questo!” (leggi: "E' impossibile cambiare qualsiasi cosa in me stesso"), l’analista probabilmente risponderà "Questo non è te stesso, il tuo Self". Ma quando un analizzante, parlando dei suoi amori infelici, dice "Lui è il mio Ideale", il bravo analista risponderà più o meno: ""No, è il sé dell’Altro".

 

9.  Godimento e successo

          Gli europei fanno una battuta: "Noi europei mangiamo bistecche, gli americani mangiano proteine." Similmente, un mio amico americano nei ristoranti italiani non chiede pasta, ma carboidrati. Noi europei ridiamo a questa battuta perché essa implica un pregiudizio diffuso sugli americani. Questo pregiudizio europeo dice: "Noi godiamo della carne, gli americani mangiano giusto per sopravvivere, per stare meglio, loro non conoscono il godimento". Prova ne sia che non c’è nemmeno una parola inglese per il francese jouissance, per l’italiano godimento, oppure per il gozar spagnolo - non pleasure, né enjoyment, e nemmeno orgasm traducono questi termini. Ora, si mangiano proteine per stare in buona salute, e si mangiano bistecche per il piacere.

          Penso che il "narcisismo americano" – ovvero, teorizzato da molti analisti americani - sia un po' come le proteine e i carboidrati: il soggetto della teoria americana è più il self, un corpo mentale di cui avere cura, che non una manifestazione di Lust, di godimentodesiderio. L’approccio (teorico e pratico) nei paesi anglo-americani è inseparabile dall’idea di Self, equivalente mentale del corpo personale. Per Freud Ich, inteso come insieme del soggetto, era una macchina per trarne piacere – nei paesi anglo-americani self è piuttosto un oggetto da mantenere funzionante to achieve, per riuscire. Da qui l’ideale analitico di un Self finalmente coeso, come deve essere coeso un organismo.

          Si leggano gli studi sulla depressione. Ridotta al succo, la teoria di Freud sulla malinconia sembra chiara: "A dispetto del fatto che un malinconico sembri confutare il mio principio di piaceredesiderio, io dico che la malinconia è Lust: è il godimento di lamentarsi, cioè di rimproverare un oggetto identificato a se stesso. Il godimento di 'querelare' l’oggetto è così prepotente che il malinconico è disposto persino a suicidarsi per questo godimento."30

          In America l’interesse invece slitta non perché, credo, i malinconici americani siano così diversi da quelli austriaci (anche se i malinconici, come tutti i sofferenti psichici, sono influenzati dalla psichiatria del loro paese). Gli psicoanalisti americani hanno preso a parlare di selfesteem, e poi di disperazione, di hopelessness, di helplessness, di despair, e così via. Con loro la depressione è diventata una reazione contro gli scacchi della vita, qualcosa di legato a quel che è essenziale negli esseri umani per la filosofia americana: la capacità to achieve, di riuscire thinking positive, di essere in buona salute mentale per essere in grado di superare le difficoltà31.

          Il risultato è che l’analista americano cerca di rendere il self del paziente più fit, più adatto, ai suoi compiti – di cui certo il raggiungimento della happiness è uno di essi. Per questa ragione il processo analitico è concepito come una opportunità offerta al paziente di vivere una seconda infanzia: è un processo di maturazione, di crescita. Tanti analisti americani mettono l’accento sull’empatia perché cercano di impiegare appunto alcuni strumenti, e sentimenti, dei genitori per far crescere i loro rampolli.

          Invece, lo psicoanalista freudiano non concepisce se stesso come un genitore di riserva. Per lui, l’analista non deve essere tanto l’alleato dell’istinto di autoconservazione, quanto l’alleato del desiderio  ovvero della sua rivelazione. L’analista non influenzato dalle scuole anglo-americane pensa che egli debba aiutare il soggetto a entrare in contatto con il proprio Lust, ma non perché è possibile migliorarne il funzionamento - lo psicoanalista freudiano è disincantato sulle possibilità di cambiare l’inconscio della gente. Naturalmente, questo riconoscimento del proprio Lust, del desideriopiacere, spesso porterà alla sparizione dei sintomi nevrotici, non come risultato di una maturazione, ma perché questi sintomi erano una rivolta del soggetto contro il proprio desiderio e/o godimento. La nevrosi è una mancanza di rassegnazione, un rifiuto di riconoscere che il nostro Lust non è regolato da noi stessi - dai nostri Io - ma è sempre Lust dell’Altro. La fine di una cura, nel senso latino, è una sottomissione alla legge, e questa non è mai la legge del mio piacere e del mio desiderio. Questo modo di pensare è vicino al modo di pensare, alquanto pessimistico, di Freud.  Egli è stato il primo a pensare che siamo il prodotto del desiderio dei nostri genitori, e che non c’è alcun nostro desiderio che sia adulto e adatto. Possiamo scegliere talvolta chi amare, ma non certo che cosa amare.

          Perché allora tutto questo accento messo sull’Ego o sul Self, e sulle sindromi narcisistiche?

          Come è noto, Kohut sviluppa la sua intera teoria sui pazienti narcisistici basandosi su un tipo particolare di transfert33. Abbiamo dovuto aspettare un uso e abuso di massa di sostanze stupefacenti per avere la categoria psichiatrica del Tossicodipendente; analogamente, abbiamo dovuto aspettare il trattamento psicoanalitico per scoprire la categoria Personalità Narcisistica. La caratterologia classica, da Teofrasto a La Bruyère e a Goldoni, includeva l’avaro, il millantatore, lo sciupafemmine, il misantropo, l’ipocondriaco, l’ipocrita, ma non il narcisista - perché non c’erano analisti. Però Kohut pare dimenticare il suo punto di partenza clinico, e parla della personalità narcisistica come di un tratto psicologico oggettivo, del tutto indipendente dalla tecnica ed etica psicoanalitiche. Potreste considerare questo scivolamento ovvio, o non importante; eppure, di fatto, esso è di capitale importanza ai miei occhi. Infatti il narcisismo descrive un tipo particolare di transfert  differenziato ulteriormente da Kohut in "transfert idealizzante" e in "transfert speculare". Ma il transfert è una relazione particolare, qualcosa tra l’amore sessuale e la psicologia delle folle. Ora, gli psicoanalisti americani chiamano narcisista il tipo di cliente che stabilisce un legame di "folla psicologica" con l’analista. Questo può significare che il concetto "americano" di narcisismo descrive un tipo di soggettività culturalmente indotta: descrive come i soggetti moderni avrebbero a che fare con Ideali, con oggetti sessuali, e con il sapere - un modo caratterizzato da una secolarizzazione degli Ideali, del sesso, e del sapere. Insomma, descrive una cultura nella quale la gente crede sempre meno nella psicoanalisi. E questo, lo sappiamo bene, è proprio il caso dell’America, dove la gente crede sempre meno nella psicoanalisi.

          Ma perché in America e in Europa i pazienti narcisistici sembrano essere i pazienti più tipici?

          Un prete cattolico, che conosceva bene la letteratura psicoanalitica, mi disse che io non credevo nella religione perché ero narcisista. Se io fossi stato un kohutiano, sarei stato d’accordo con lui. Aveva ragione nel pensare che una mancanza di fede è un tratto narcisistico; anche perché religione viene da religere, cioè dal legarsi assieme ad altri.  Possiamo caratterizzare un narcisista come uno che non crede più in nulla (di diverso da sé) e quindi non in Dio. Se qualcuno ci dicesse "credo nel marxismo" oppure "amo mia moglie", ma aggiungesse "...perché il marxismo è la mia passione personale irrazionale" oppure "...perché in mia moglie ho trovato i tratti della mia adorata sorellina", avremmo il diritto di pensare che costui "crede" nel marxismo o "ama" la sua donna... tra virgolette. Proprio perché il nostro uomo parla come uno psicoanalista delle sue credenze e amori, sospettiamo che egli sia narcisista... cioè, che non ami il marxismo e non creda in sua moglie.

In particolare un narcisista non crede nella parola, e per questo sfida in modo così provocatorio la psicoanalisi, che si basa invece proprio sul potere della parola. Per questa ragione Freud descriveva il narcisismo in relazione all’"Io ideale" e agli specchi, d’acqua o di vetro: in un universo in cui è cancellata la fede nella parola, solo le immagini restano. Quando non è più possibile credere in ciò che l’Altro dice, ci resta solo credere nella nostra immagine, cioè, in quello che gli altri vedono di noi.

Ma quel prete si sbagliava quando pensava che la mia mancanza di fede nel Dio cristiano era legata alla mia personalità. Credo di non credere nelle verità religiose fondamentalmente perché appartengo a una società in cui la fede non viene più idealizzata. Nella mia cultura ci si consente di credere solo in ciò che brilla alla superficie in quanto può venir mostrato  Dio invece non si mostra mai, perciò non è poi così bene crederci. Questo significa che non sono io il narcisista, è la mia cultura ad avere un ideale narcisistico. Il prete credeva che io non credessi perché ero un narcisista; al contrario, posso essere facilmente un narcisista proprio perché non posso più credere nella religione.

          Oggi il paziente medio è l’effetto della nostra società democratica, secolarizzata, antidogmatica. L’ideale di questa società è che nessuno venga più governato da una legge trascendente e indiscussa: ognuno deve trovare in se stesso la regola non solo del proprio comportamento, ma anche dei propri desideri, godimenti, piaceri. E' come se la nostra cultura dicesse a chiunque "trova in te stesso [nel tuo Io] la regola dei tuoi desideri e dei tuoi piaceri". Ma questo ideale comandato dalla nostra cultura è molto duro da soddisfare; perché prendere la mia immagine come mio ideale non è affatto la mia regola, è una regola culturale. Seguire "il mio" ideale è obbedire comunque all’ideale dell’Altro. E’un diabolico paradosso, un double bind. Difatti, una persona con un disordine narcisistico è di solito una persona la cui autostima dipende strettamente dalle opinioni degli altri: quando un soggetto è liberato dall’Altro, cade prigioniero degli altri. Per questa ragione la gente esibisce in maniera crescente "disordini della personalità": perché essi non possono vivere all’altezza di questo ideale narcisistico (culturale) troppo esigente.  Perciò troviamo i disordini narcisistici in persone che appaiono non abbastanza narcisistiche, in individui che non si stimano, depressi, autocolpevolizzati: costoro non sono in grado di soddisfare l’ideale altamente narcisistico del nostro tempo.

 

10. Il quarto tentatore

          In Delitto nella Cattedrale di T.S. Eliot, Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, viene visitato da tre Tentatori. Il primo è l’uomo sensuale; il secondo è l’uomo che ama il potere politico; il terzo è l’uomo che vuole usare il potere della Chiesa in maniera secolare.  Becket attendeva tre Tentatori. Ma poi ne arriva un altro, il quale non dà, come gli altri, consigli a Thomas: si limita a elogiarlo per la sua scelta eroica di non cedere alle tentazioni.

          "Io precedo sempre l’aspettativa"34, dice il quarto Tentatore. "Chi sei tu  dice Thomas  a tentarmi con i miei propri desideri?/ (...)/ Che cosa offri?" E il tentatore: "I offer what you desire. Offro quel che desideri. Chiedo/ Ciò che devi dare"35. In altre parole, il Tentatore inatteso offre l’orgoglio  la peggiore di tutte le tentazioni, perché è uno specchio del soggetto stesso.

          Il narcisismo freudiano è come questo quarto tentatore. L’orgoglio è narcisistico perché è uno specchio idealizzante di qualsiasi cosa il soggetto stia facendo, anche se egli sta agendo nel modo meno narcisistico possibile  come nel caso di Becket, da martire della fede. Il narcisismo  il tentatore inatteso  arriva in un momento di intervallo, quando un soggetto indulge a guardare se stesso come uno spettacolo. Il narcisismo patologico per Freud non è legato a uno scacco del grandiose Self [il Sé grandone]36 perché il Self è sempre "grandone". Il quarto tentatore dice al martire che lui è grandiose  gli sta dando un Self. Winnicott distingueva una falso Self e un vero Self37; ma per la psicoanalisi freudiana solo Es, Quello, è sempre vero, Self è sempre falso. Il narcisismo non è un contenuto - e per questa ragione mi sentivo così a disagio quando leggevo Per introdurre il narcisismo le prime volte. Freud parla del narcisismo in quanto proverrebbe da un soggetto, ma di fatto il narcisismo freudiano proviene da un altro: chi mette uno specchio davanti a noi è sempre un altro.

          Il narcisismo è allora un tempo inatteso, quando l’ultimo tentatore arriva; quando un soggetto viene sedotto dalle proprie qualità o azioni come se esse fossero qualità o azioni di un altro. Per questa ragione Freud può dire che il narcisismo è sempre passivo (femmineo, suggeriva lui in una modalità un po' misogina38). Becket deve superare il venir guardato ed elogiato da se stesso: il suo diventare un V.I.P. martire, una personalità. Per questa ragione, "personalità narcisistica" è un termine alquanto pleonastico, perché "una personalità" può essere solo narcisistica.

          Per questa ragione Freud dice che siamo sedotti da certe belle donne, da bambini contenti, e da gatti paciosi. Che cosa hanno costoro in comune? In qual senso essi ci seducono come narcisisti? Chi è il narcisista, il seduttore o il sedotto? E' difficile saperlo, perché narcisismo significa che la divisione tra soggetto e oggetto, tra amante e amato, è incerta. Le belle ragazze narcisiste, i bambini e i gatti non paiono volerci sedurre, ed è per questo che risultano così affascinanti. Le persone narcisistiche ci seducono perché non lavorano  sembrano soddisfatte da quello che sono. Ma non mostrando il loro desiderio nei nostri confronti salgono sul palcoscenico, diventano selves, dei "divi". Esse sono narcisistiche non perché hanno una personalità narcisistica, ma perché sono oggetti d’amore in ogni modo39. Quando dalla posizione quasi divina di amati scivolano nella posizione scomoda di amanti dell’essere amati, il narcisismo fallisce, e allora parliamo di patologia narcisistica, cioè di una sofferenza soggettiva. Il vero narcisismo è sempre una relazione  opposta alla relazione di transfert analitico  più che una personalità: c’è narcisismo quando sono sedotto dall’altro in quanto è il mio stesso Narciso.

 

11.  Coerenza narcisistica

          Il pensiero cristiano ha chiamato "orgoglio" il tentativo non di amare una cosa che vale  una causa, una donna, l’umanità, ecc.  ma di amare il valore in se stesso. L’orgoglio è un tentativo di un soggetto di dare coerenza al proprio desiderio, facendo di questo desiderio l’oggetto del proprio amore. Chi è un re orgoglioso? E' uno che ama la regalità e non i suoi sudditi. Thomas Becket è tentato dall’orgoglio perché egli è invitato ad amare il valore in sé e per sé - a fare dell’amore (il valore) il proprio oggetto d’amore. E l’orgoglio è narcisismo perché il soggetto orgoglioso ama la propria soggettività, non veri oggetti.

          I narcisisti fanno degli sforzi per amare quel che è essenziale oggi: il valore stesso della vita. Ma non possiamo amare l’amore in quanto tale, non possiamo dare valore al valore stesso. Il narcisismo è un tentativo di coerenza affettiva  il tentatore peggiore. Il narcisismo ha la stessa passione delle teorie: la passione per la coerenza e consistenza. Il narcisista vuole amare quel che dà valore all’amore: la sua soddisfazione.  Ma questo è impossibile.

Naturalmente, possiamo essere più o meno egoisti. Ma il paradosso è che il solo modo reale di amare noi stessi è di amare degli altri.  Perché se accettiamo seriamente il compito di amare solo noi stessi  in quanto diamo valore a ogni oggetto amabile  saremo depressi, infelici, come Freud sottolinea. La malinconia è il solo modo coerente di amare noi stessi, di amare cioè il valore in sé. Allora, quando amiamo solo noi stessi, troveremo che stiamo in realtà odiando noi stessi.

 

 

1. G.W., X, 138-170. Ed.it. Introduzione al narcisismo, in S. Freud, Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino, pp. 435-475. Il titolo originale ("Per introdurre il narcisismo") allude all’introduzione di un nuovo ospite concettuale nel club dei concetti psicoanalitici.

2. L. Wittgenstein, Philosophische Grammatik (1932-34), a cura di R. Rhees, Suhrkamp, Frankfurt 1964, pp. 381-2.

3. "Specialmente quando sviluppandosi le donne acquistano in bellezza, interviene in esse una sorta di autosufficienza che le compensa dei sacrifici che la società impone loro... (...) In verità i loro bisogni non le inducono ad amare, ma piuttosto ad essere amate (...) Esse esercitano un enorme fascino sugli uomini non solo per ragioni estetiche (di regola sono le più belle), ma anche in virtù di alcune interessanti costellazioni psicologiche.  Il narcisismo di una persona suscita una grande attrazione su tutti coloro i quali, avendo rinunciato alla totalità del proprio narcisismo, sono alla ricerca di un amore oggettuale; l’attrattiva del bambino poggia in buona parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e inaccessibilità, al pari del fascino di alcune bestie che sembrano non occuparsi di noi, come i gatti e i grandi animali da preda." In S. Freud, Introduzione al narcisismo, Op. cit., p. 459.

4. S. Freud e K. Abraham, Briefe 1907-1926, Fischer, Frankfurt-am-Main, 1965; lettera di Freud del 16 marzo 1914.

5. Ibid., lettera di Abraham del 2 aprile 1914.

6. Ibid., lettera di Freud del 6 aprile 1914.

8. Vedi K.J. Dover, L'omosessualità nella Grecia antica, Einaudi, Torino 1985; F. Buffière, La Pédérastie dans la Grèce antique, Ed. Guillaume Budé, Paris 1980; P. Veyne, "L’homosexualité à Rome", Communications. Sexualités occidentales, 1982, n. 35, pp. 26-33; M. Foucault, L’uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 1984; La cura di sé, Feltrinelli, Milano 1985; S. Benvenuto, "Erotismo platonico e sublimazione freudiana", Psicoterapia e Scienze Umane, 1993, 3, pp. 67-85. In effetti, nel greco antico, come in latino, non esiste nemmeno un termine che corrisponda al nostro "omosessuale". L’erastes greco non è chi desidera i maschi in generale, ma solo, specificamente, i giovani adolescenti (eromenoi). Oggi (grazie anche alla propaganda omosessuale, ai movimenti per i diritti civili, ecc.) siamo così convinti dell’esistenza degli omosessuali che ci pare quasi incredibile che i greci e i romani mancassero di questo concetto.

10. G.W., V, 44, n. 1; ed.it., Tre Saggi sulla Teoria Sessuale, S. Freud, cit., vol. IV, p. 461.

11.

12.

13.

14. Per esempio, cfr. Claude Lévi-Strauss, Antropologia strutturale II, Il Saggiatore, Milano 1979; Mito e significato, Il Saggiatore, Milano 1980.

 

16. 1718.

20.

21. 22. G.W., XIII, 128; ed.it., vol. IX, p. 304.

23. G.W., X, 168-9; ed.it., vol. VII, pp. 470-1 (la traduzione italiana è stata da me leggermente modificata).

24.

25.

26. 

27. Come ha sottolineato in modo convincente Bruno Bettelheim, le traduzioni inglesi dei testi di Freud in genere non rendono la concretezza e lo spessore dei principali concetti freudiani. Cfr. B. Bettelheim, Freud e l’anima dell’uomo, Feltrinelli, Milano 1983.

28. G.W., X, 228; ed.it., Pulsioni e loro destini, vol. VIII, p. 31.

29. In "Lutto e malinconia"; G.W., X, 431 ("Ja, dieser Fall konnte auch dann nach vorliegen, wenn der die Melancholie veranlassende Verlust dem Kranken bekannt ist, indem er zwar weiss wen, aber nicht,was er an ihm verloren hat" (corsivi di Freud). Segnalo qui una svista grave dell’edizione italiana, che traduce la parte finale di questo passo con "...egli sa quando ma non cosa è andato perduto in lui" (ed. it., vol. VIII, p. 104). Evidentemente il traduttore ha preso wen per wenn.

30. Questo mi pare il succo della tesi di Lutto e malinconia (G.W., X, 428-450; ed.it., vol. VIII, pp. 102-119), e in altri punti, da Freud. 

31. Sulle teorie psicoanalitiche americane sulla depressione, cfr. W. Gaylin, op.cit.. Mi riferisco in particolare alle tesi di S. Rado, O. Fenichel, E. Bibring, E. Jacobson. S. Rado, "The Problem of Melancholia", Int. Jour. of Psycho-Anal., vol. IX, 420-36; "Psychodynamics of Depression from an aetiologic point of view" in Psychoanalysis of Behaviour (Collected Papers), Grune & Stratton, New York-London 1956-61. E. Bibring, "The Mechanism of Depression", Affective Disorders. Psychoanalytic Contribution to Their Study, P. Greenacre, ed., Int. Univ. Press, New York 1953. O. Fenichel, "Depressione e Mania" in Trattato di Psicoanalisi, Astolabio, Roma 1951. E. Jacobson, La depressione, Giunti-Barbera, Firenze 1980.  Rimando anche a: S. Benvenuto, "La strategia del perdono. Sulla teoria della malinconia di S. Rado e O. Fenichel", Giornale Storico di Psicologia Dinamica, n. 14, gennaio 1984, pp. 138158.

32. H. Bloom, The American Religion, Simon & Schuster, New York 1992.

33. H. Kohut, Narcisismo e Analisi del Sé, Boringhieri, Torino 1976; La guarigione del Sé. Boringhieri, Torino 1980.

34. Murder in the Cathedral, 480.

35. Ibid., 57478.

36. Grandiose in inglese ha una connotazione alquanto negativa, che la traduzione "grandioso" non rende. Da qui la mia opzione per il più colloquiale grandone.

37. Cfr. in particolare D.W. Winnicott, "Ego Distorsion in Terms of True and False Self" in The Maturational Processes and the Facilitating Environment, Hogath Press and Institute of Psychoanalysis, London 1965; "La schizophrénie infantile en termes d’échec d’adaptation" in Recherches. "Enfance aliénée", II, décembre 1968. 

38. "L’amore d’oggetto che corrisponde pienamente al tipo di scelta oggettuale per appoggio [anaclitica] è invero caratteristica tipicamente maschile. (...) Lo sviluppo segue un corso diverso nel tipo di donna (...) che rappresenta (...) anche il tipo femminile più puro e autentico. Con lo sviluppo della pubertà (...) sembra prodursi nella donna un incremento dell’originario narcisismo che non risulta propizio alla configurazione di un amore d’oggetto vero e proprio (...) A rigore queste donne amano, con intensità paragonabile a quella con cui sono amate dagli uomini, soltanto se stesse. In verità, i loro bisogni non le inducono ad amare, ma piuttosto ad essere amate." G.W., X, 154-5; ed.it., vol. VII, 458-9.

39. A questo proposito abbiamo già evocato il personaggio di Lulu. Ritroviamo "la bella donna narcisista" di Freud, ad esempio, nell’Elena Andreevna di Zio Vanja di Cechov: è chiaro che lei, bella e giovane moglie di un vecchio gottoso, non ama nessuno, anche se si compiace dei vortici di desiderio che ella crea tra gli uomini attorno a sé. Indolente, sfaccendata, senza ambizioni né progetti, passiva, essa pare vivere per farsi desiderare dagli altri.



[1] OSF, p. 452; G.W., X, p. 148.

 

[2] Anche se Freud ha ripreso questo concetto da P. Näcke e da H. Ellis, i quali però si riferivano unicamente a una perversione sessuale.

[3] Da qui l’importanza degli studi di René Spitz sull’ospedalismo, ad esempio, come conferma quasi empirica della giustezza del postulato freudiano. Infatti, se nessuno desidera la sopravvivenza del bebé, questi con ogni probabilità muore  anche se vengono soddisfatti i suoi bisogni fisici fondamentali. R. A. Spitz, "Hospitalism: An Inquiry into the Genesis of Psychiatric Conditions in Early Childhood", The Psych. Study of the Child, I, 1945; R.A. Spitz e K.M. Wolf, "La depressione anaclitica - Indagine sulla genesi delle malattie psichiariche nella prima infanzia" in W. Gaylin, Il significato della disperazione, Astrolabio, Roma 1973, pp. 173-200.

 

[4] Cfr. in particolare S. Freud, G.W., XVI, 43-56; ed.it. Costruzioni nell’analisi, vol. XI, pp. 541-554.

 

[5] Questo però non toglie che, a un altro livello, queste interpretazioni possano ispirare delle vere e proprie ipotesi scientifiche (e allora si parla di potere euristico della psicoanalisi). D’altro canto è vero che le interpretazioni dell’analista molto spesso sono ispirate da ipotesi che, anche se non corroborate, vengono formulate come, appunto, ipotesi scientifiche.

[6] Si consideri una variabile x, reale, che possa assumere dei valori (in numero finito o infinito), appartenenti ad un certo "insieme" (di definizione). Se si stabilisce una qualche corrispondenza tra i valori assunti da x, variabile dell’insieme, e i valori assunti da un’altra variabile y, si dirà che la variabile y è definita come f. di x. Questa dipendenza di solito viene scritta come y = f(x). La variabile x si dice variabile indipendente; la y variabile dipendente. Come vedremo, "Io" (in senso freudiano) è una variabile nel senso che le sue dimensioni dipendono da quelle di altre due variabili, "Ideale" ed "Oggetto". Ognuna di queste variabili dipende dalle altre due.

 

[7] A differenza del tedesco (che ha solo Ich) e dell’italiano (che ha solo Io), il francese ha due modi di dire il soggetto parlante, a seconda che la sua posizione sia nominativa (Je) o in un caso obliquo (Moi). Gli psicoanalisti francesi hanno sfruttato questa distinzione nella loro teorizzazione. L’inglese ha una distinzione simile, tra I e –self (myself, etc.). La fortuna del termine Sé in Italia si giustifica con l’influenza culturale americana: in inglese Self è difatti un modo di dire qualcosa che noi italiani possiamo dire anche con Io; l’adozione del termine è quindi alquanto ingiustificata.

 

[8] Tralascio qui la distinzione di Lacan tra oggetto a e altro immaginario, dato che nel narcisismo abbiamo una certa eclisse dell’oggetto a. Notiamo inoltre che l’a di oggetto a deriva proprio da altro: immaginario e reale condividono insomma un carattere di alterità rispetto alla soggettività simbolica.

 

[9] "Hath Romeo slain himself? Say thou but "I",/ And that bare vowel "I" shall poison more / Than the deathdarting eye of cockatrice / I am non I, if there be such an "I" / Or those eyes' shot that makes the answer "I"". W. Shakespeare, Romeo and Juliet, III, 2.

 

[10]"...Possiamo addirittura porci il problema di dove sorga la necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di applicare la libido agli oggetti. (...) Dovremmo rispondere (...) che tale necessità interviene quando l’investimento dell’Io con libido [Ichbesetzung mit Libido] ha oltrepassato una certa misura" (ed.it., vol. VII, p. 455). Qui il concetto di "investimento dell’Io con libido" mantiene una sua sottile ambiguità, che il curatore italiano si affretta ad eliminare in nota (ibid., n.4): "In questo caso 'investimento dell’Io' significa che è l’Io ad essere investito." Egli stesso però riconosce che almeno in un altro caso (nello scritto su Schreber) Freud usa lo stesso termine, Ichbesetzungen, in senso inverso: è l’Io ad investire gli oggetti. Ma lo slittamento tra le due accezioni è in Freud, se non voluto, per lo meno significativo.

 

[11] Sulla distinzione tra Ich-Ideal e Ideal-Ich, cfr. J. Lacan, Le Séminaire. Livre I. Les écrits techniques de Freud, Seuil, Paris 1975, cap. X-XI (in particolare, pp. 152-7). Lacan fa notare che Freud, in uno stesso paragrafo di Per introdurre il narcisismo, usa le due diverse espressioni. Si riferisce in particolare al capoverso che inizia con "A questo Io ideale..." e si conclude con "...egli stesso era il proprio ideale" (ed.it., vol. VII, p. 464; G.W., X, 160-1). Secondo Lacan, in questa differenza Freud prefigurerebbe la distinzione tra il registro immaginario (Io ideale) e simbolico (Ideale dell’Io).

 

[12] S. Freud, G.W., X, 435; ed.it., Lutto e malinconia. vol. VIII, p. 108: "L’ombra dell’oggetto cadde sull’Io che d’ora in avanti poté esser giudicato da un’istanza particolare come un oggetto, e precisamente come l’oggetto abbandonato".

 

[13] G.W., XIII, 73-161; ed.it., vol. IX, pp. 261-330.

 

[14] Drammi musicati da Alban Berg, e da cui Pabst trasse un film.

 

[15] D.P. Schreber, Memorie di un malato di nervi, Adelphi, Milano 1974.

 

[16] Ovidio, Metamorfosi, libro III, 346-510.

 

[17] Sul "caso Tausk", vedi P. Roazen, Brother Animal. The Story of Freud and Tausk, Knopf, New York 1969.

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