Flussi di Sergio Benvenuto

L'IMITATORE EGOISTA. DAWKINS E LA MEMETICA30/giu/2016


”Dawkins e la memetica”, Lettera Internazionale, 62, 4° trimestre 1999, pp. 22-26.

 

 

          Per il biologo inglese Richard Dawkins quel che caratterizza essenzialmente la vita è la sua replicatività.

          Diciamo di certe cose che sono senza vita perché non fanno copie di se stesse, anche se spesso si ripetono. Far copie, riprodursi fu una novità - non sappiamo se unica o meno - emergente nel mondo fisico. I famosi geni non sono altro che replicatori. Gli organismi, gli individui, sono l'espressione fenotipica dei replicatori della linea germinale nel senso che sono solo i veicoli dei replicatori: mezzi di locomozione "usa e getta", dato che di solito sono mortali. Gli organismi, dice Dawkins, sono "una sorta di azienda comunale di trasporti per i replicatori"[1].

         Ma perché ci sia evoluzione - storia della vita - occorre che la copiatura non sia perfetta, per quanto infinitesima possa essere l'infedeltà. La vita ha una storia perché nella copiatura si producono delle differenze, i replicanti sono anche un po’ mutanti. La selezione naturale darwiniana opera su queste differenze contingenti.

          Ma quelle molecole del DNA chiamate geni non sono il solo agente della vita. Per Dawkins nel nostro pianeta non esiste solo la vita biologica, esiste anche un altro tipo di vita: quella culturale. Prospera quindi sulla terra un replicatore culturale, del tutto diverso dal replicatore genetico.

 

Io credo che un nuovo tipo di replicatore sia emerso di recente proprio su questo pianeta. Ce l'abbiamo davanti, ancora nella sua infanzia, ancora goffamente alla deriva nel suo brodo primordiale ma già soggetto a mutamenti evolutivi a un ritmo tale da lasciare il vecchio gene indietro senza fiato. Il nuovo brodo è quello della cultura umana[2].

 

Dawkins chiama meme questo artefice dell'evoluzione culturale. "Meme" viene da mimesis, imitazione; ma evoca anche mneme, ricordo.  E' l'unità capace di replicarsi non attraverso la riproduzione biologica, ma "saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione"[3].  Questa teoria dei memi è a sua volta un meme che ha avuto successo: specialisti delle discipline più diverse, dall'etologia alla sociologia, dallo studio dell'intelligenza artificiale all'economia, si incontrano sempre più spesso come cultori di memetics. Insomma, la scienza oggi alla moda[4].

 

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          L'immagine pubblica di Dawkins è quella di un gelido e disincantato paladino del verbo darwinista. Così lo descrive John Horgan:

 

[Dawkins] è un uomo di una bellezza gelida, con occhi da rapace, naso affilato e guance incongruamente rosee [...] Le sue mani elegantemente segnate dalle vene avevano un lieve tremore (...) Non era il tremore di un uomo nervoso, ma quello di un ben rodato e agguerrito contendente nella battaglia delle idee: il mastino di Darwin.  Come nei suoi libri, anche di persona Dawkins emanava un'enorme sicurezza di sé.[5]

 

Dawkins, insieme a E.O. Wilson, è il campione della teoria del selfish gene. Secondo questo approccio ultradarwinista, gli individui non sono necessariamente egoisti - di solito madri e padri, per esempio, sono altruisti nei confronti dei figli.  Sia l'egoismo che l'altruismo degli individui trova la sua ultima ratio nell'egoismo del gene, il quale aspira solo - per dirla in linguaggio antropomorfico - a perpetuarsi e a moltiplicarsi.  Il fatto che ognuno di noi di solito sia più egoista che altruista – a parte alcuni eroi e santi, di fatto alquanto minoritari - dipende dal fatto che il solo individuo che ha il 100% di geni in comune con ognuno è solo se stesso (e il gemello omozigote[6]); mentre solo il 50% dei propri geni è presente nei figli e nei fratelli, se si tratta di mammiferi.  La Mano Invisibile non è più quella che armonizza gli egoismi di ciascuno, secondo la classica teoria liberale da Adam Smith in poi, ma è un pezzettino di proteina - il gene.  Possiamo spiegare allora la cultura umana, mutatis mutandis, come frutto di memi egoisti?  Certamente.  Anzi, i memi - precisa Dawkins - sono spesso e volentieri spietati.  Egli ce l'ha in particolare con i memi religiosi: le guerre di religione, a Beirut, a Belfast, come nel Kosovo o a Gaza o a Kabul, sono spietate.

          Nei paesi anglo-americani da un secolo e mezzo si trascina una guerra di religione: tra i biblisti (protestanti) e i darwinisti.  In epoca vittoriana i positivisti giuravano non sulla Bibbia ma sulla Origin of the Species - e scommetto che Dawkins lo fa ancora.  (A noi educati in paesi cattolici, dove non si legge mai la Bibbia, questo conflitto appassionato risulta alquanto incomprensibile.)  Per Dawkins si tratta di mostrare che la fede religiosa non svolge alcuna importante funzione biologica.  Il cristiano è solo una specie di taxi del meme religioso.  Un determinismo culturale sostituisce il determinismo biologico.

          Durante la guerra contro l’Iraq [dal 1979 in poi], gli ayatollah iraniani arruolarono tantissimi adolescenti desiderosi di immolarsi.  Cosa può portare tanti giovani vergini in buona salute a voler diventare carne da cannone, anziché riprodursi?  Il meme shiita.  Se il gene è alla base dei comportamenti, spesso spietati, degli animali, il cieco impulso del meme a sopravvivere e predominare è alla base di quella lunga serie di massacri in cui, tutto sommato, consiste la storia umana.  Il meme può insomma uccidere il proprio veicolo umano.  Si pensi, dice Lee Borkman, al meme "fumare è bello" che porta tanti adolescenti a cominciare a fumare - a lungo andare questo meme può uccidere il suo ospite.  Anche se Dawkins pensa al meme come a un equivalente del gene, in fin dei conti lo assimila piuttosto a un parassita, come un virus.  E’ la cultura umana un parassitismo della natura umana?

          La tendenza dei memi a prevalere sui geni potrebbe portare addirittura all'estinzione della specie umana.  Cosa a cui in questo secolo siamo arrivati vicini - ad esempio nel 1962, durante la crisi dei missili a Cuba.  Se lo sterminio atomico fosse accaduto, dei biologi marziani avrebbero potuto trarre la conclusione che i memi delle tecnoscienze si erano dimostrati incompatibili con i geni umani, e che Homo sapiens sapiens è risultato poco adatto all'ambiente memetico che egli stesso aveva prodotto.  Il futuro potrebbe confermare questa ipotesi.

 

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          Eppure per questo "mastino di Darwin" i biologi peccano di riduzionismo in quanto, nei confronti di certi aspetti della civiltà umana, si chiedono continuamente "qual'è la funzione biologica di questo aspetto?"  "Per esempio - scrive Dawkins[7] - la religione tribale è stata vista come un meccanismo per consolidare l'identità di gruppo, utile per una specie che caccia in branco, i cui individui devono affidarsi alla cooperazione per catturare prede grosse e veloci."  Ma l'impresa di trovare vantaggi biologici alla grande varietà degli assetti culturali è votata al fallimento.  Le culture umane presentano caratteri irriducibilmente diversi, come se ogni cultura fosse il prodotto di una specie animale diversa.  Società dove domina uno squisito altruismo e altre dove domina il cinico egoismo; società ultra-puritane e bacchettone e società libertine e gioiosamente sensuali; società rigidamente monogamiche e altre poligamiche e promiscue; ecc.

          La soluzione consiste allora non nel ridurre le varietà culturali ai meccanismi genetici, ma nell'ipotizzare che le varietà culturali abbiano leggi evolutive simili a quelle genetiche.  Tra natura e cultura c'è insomma un isomorfismo evolutivo, ma le due sfere restano separate.  I geni sono pezzi di proteine, mentre i memi sono idee e modelli di comportamento.  Le evoluzioni della natura e della cultura avvengono attraverso gli stessi meccanismi - mutazione e selezione - ma sono tra loro indipendenti.  "Credo che il darwinismo sia una teoria troppo grande per essere confinata nel ristretto contesto del gene"[8].  In effetti: "Ogni volta che si verificheranno le condizioni in cui un nuovo tipo di replicatore potrà fare copie di se stesso, il nuovo replicatore tenderà a prendere il sopravvento e a iniziare un nuovo tipo di evoluzione"[9].  Il mondo elettronico in questo rappresenta un salto di qualità in questa invasione del pianeta da parte dei Memi: da qualche anno spazi sterminati si stanno aprendo alla loro diffusione.

 

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          Perché Dawkins ha proposto la sua teoria del meme egoista?  Perché, tra tutte le specie animali, l'uomo è una specie che oppone alla teoria del gene egoista  difficoltà forse insormontabili.  Dawkins ne conviene, e porta lui stesso alcuni esempi.  Come il comportamento sessuale nella nostra cultura moderna.

          In tantissime specie animali è il maschio a essere "il bel sesso", che si ostenta per conquistare le femmine restie.  Tra i cervi sono i maschi ad aver sviluppato corna spettacolari - e alquanto ingombranti per loro - proprio perché le femmine hanno un debole per le corna grandi e intricate.  E tra i pavoni solo i maschi hanno sviluppato una coda lunghissima, anche se questa li intralcia, perché le femmine sono tanto più attratte da una coda quanto più essa è lunga e variopinta.  Ciò è geneticamente comprensibile: siccome i maschi dispongono di milioni di spermatozoi, mentre le femmine solo di poche centinaia di ovuli nella loro vita, si capisce perché le femmine siano oculate nella loro scelta del partner, e il maschio debba avere particolari attrattive e offrire particolari garanzie[10].  E' evidente perché le femmine tendano a essere ritrose - scatenando così la competizione tra i maschi - mentre i maschi tendono alla promiscuità.  In molte società umane le cose sembrano andare nello stesso modo.  Ma nella nostra società sono le donne a proporsi come oggetti erotici preziosi, si truccano, si esibiscono in vestiti e pose accattivanti.  "Di fronte a questi fatti - nota Dawkins[11] - un biologo sarebbe costretto a ritenere che sta osservando una società in cui sono le femmine a competere per i maschi e non il contrario. [...]  Che cosa è successo all'uomo occidentale moderno?  Davvero il maschio è diventato il sesso ricercato, quello che è molto richiesto, il sesso che si può permettere di fare il difficile? E se è così, perché?"  Dawkins non dà una risposta.  O meglio, la darà a suo tempo, introducendo i memi.

          In effetti, se le donne moderne sembrano competere tra loro per i maschi, ciò non è dovuto certo a una scarsità di maschi, ma al dominio dei memi.  La cultura umana sta insomma ristrutturando i comportamenti amorosi naturali.  Per un rousseauiano DOC è una catastrofe, eppure se c'è una possibilità, per gli esseri umani, di essere anche etici, altruistici, talvolta nobili, nei confronti di non-parenti, ciò è dovuto all'evoluzione memetica indipendente da quella genetica.  Il fatto che a ogni generazione escano fuori persone come madre Theresa di Calcutta non è spiegabile geneticamente: una suora non si riproduce e quindi geneticamente è un binario morto; e spende la vita a permettere la sopravvivenza e la riproduzione di esseri umani con i quali essa spesso non ha la minima comunanza genetica.  Theresa era albanese, ma aiutava a riprodursi indiani.

          Proprio il celibato dei preti è portato da Dawkins come esempio del fatto che geni e memi possono trovarsi in opposizione.  Le menti migliori dell'Europa cristiana nel Medioevo erano spinte al sacerdozio e al convento.  Ma il celibato dei preti non ha alcuna funzione genetica, ha solo una funzione memetica: per diffondere il meme religioso nel miglior modo, risponde Dawkins, il prete - "questa macchina da sopravvivenza dei memi" - non deve perdere tempo con moglie e figli.  Il celibato gli permette di essere totalmente al servizio della "parola del Signore", cioè del meme religioso.

          "Quando moriamo ci sono due cose che possiamo lasciare: i geni e i memi"[12], dice Dawkins.  In realtà, dei nostri geni resta ben poco nei nostri discendenti.  I casati nobiliari hanno un culto dei loro antenati, ma di fatto la probabilità che un mio nonno di quinto grado abbia alcuni dei miei stessi geni non è molto superiore alla probabilità che ce n'abbia una persona qualsiasi che incontro per strada. Il nostro pool genetico individuale è come un secchiello di liquido buttato nelle acque del fiume del tempo: dopo un po' è completamente sciolto nella massa.  Invece i memi di Leonardo, Michelangelo, Kant, Nietzsche, Wittgenstein... - tutti grandi creatori che non hanno avuto figli - stanno andando ancor oggi forte.  Produrre un meme di successo garantisce molto più l'immortalità che mettere al mondo una carretta di figli.

          Questo bisogno di immortalità attraverso i memi ci aiuta forse a capire la svolta malthusiana delle nostre società occidentali, la caduta della prolificità.  Nelle società iperindustrializzate la militanza per i memi prevale ormai sull'investimento sui geni.  Si ha il sospetto che lo stesso egoismo del meme - vale a dire la nostra facilità a farci soggiogare dalle ideologie - sia in qualche modo un effetto memetico sugli esseri umani.  Ognuno di noi preferisce oggi puntare su uno straccio di sopravvivenza post-mortem attraverso memi - la sua azienda, le sue opere intellettuali o artistiche, il suo istituto scientifico, la sua clinica, le sue foto su Playboy, ecc. - alla cui sopravvivenza egli ha deciso di contribuire.  Il meme egoista ci comanda oggi ancor più del gene egoista.

 

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          Cosa spinge i memi a diffondersi?

          Si pensa che mentre l’evoluzione biologica è darwiniana, quella culturale è lamarckiana.  Lamarck pensava che gli animali trasmettessero alla discendenza dei caratteri acquisiti, ipotesi che la genetica moderna ha completamente falsificato.  Ma la trasmissione culturale, si dice, è lamarckiana: quel che ho imparato nella vita lo posso trasmettere ai più giovani, che erediteranno quindi quello che io ho acquisito.  Dawkins vuol mostrare invece che anche la trasmissione culturale è darwiniana, come quella dei geni.  Anche i memi non si replicano perfettamente, e questa infedeltà al prototipo scatena il processo evolutivo.  I geni però non vengono selezionati come tali, ma solo attraverso i fenotipi che essi producono; e il tribunale che seleziona i geni attraverso i fenotipi è l'ambiente, l’Umwelt.  Questo non consiste solo nell'ambiente esterno alla specie - come i predatori o le riserve di cibo - ma anche nell'insieme del genoma, e poi negli individui della propria specie.  In particolare, nelle specie sessuate, negli individui del sesso opposto.  Forza e potere degli individui contano biologicamente solo nella misura in cui li rendono eroticamente appetibili – questo è il corollario essenziale del darwinismo.  Al limite conta più la funzione afrodisiaca del potere che il potere in sé.  La global fitness dell'individuo consiste nelle sue capacità di sopravvivenza solo nella misura in cui queste capacità massimizzano la sua riproduzione.  Un campione veramente darwiniano è quindi il simpatico Liolà di Pirandello nella commedia omonima.  Questi non ha danaro né potere nel villaggio, ma ha un vantaggio darwiniano su tutti gli altri maschi, anche su quelli ricchi e potenti: tende a ingravidare sistematicamente le donne del villaggio.  E' vero che questo stallone letterario muore giovane, ma è quello che ha riprodotto di più i propri geni.

          Anche i memi sopravvivono quando producono ciò che chiamerei fenotesti - libri, canzoni, opere cinematografiche, prediche ed edifici, danze e vestiti, macchine e sinfonie, ecc. - che riescono a sedurre... chi?  I nostri cervelli o menti.  Il meme è ciò che, attraverso certe opere o prodotti, ci seduce o ci convince in un modo o nell'altro.  O perché queste opere e prodotti appaiono utili per risolvere certi nostri spinosi problemi, pratici o spirituali, o perché siamo incantati dalla loro bellezza e fascino.  I fenotesti etici ci piegano ai loro comandi con il nostro volontario assenso; i fenotesti scientifici si impongono per i vantaggi utilitari che ci danno, rendendo prevedibili certi fenomeni e permettendoci di costruire macchine utili; i fenotesti estetici ci seducono per il piacere specifico che ci danno. 

          Che si tratti del piacere di conoscere o della conoscenza del piacere, i fenotesti devono comunque interessare le nostre menti.  Una madre racconta per la prima volta, a parole sue, la storia di Cappuccetto Rosso al suo bambino: questi ne resta affascinato, e il giorno dopo chiede alla madre che gliela racconti di nuovo.  Attraverso uno specifico fenotesto, il meme-Cappuccetto-Rosso, come un virus, è stato inoculato nell'ennesimo bambino.  E' stato di nuovo selezionato dai cervelli di quella madre e di quel bambino.  Così oggi si parla di epidemiologia memetica, che studia le diffusioni di idee e comportamenti. 

           Ma un paragone altrettanto pertinente andrebbe fatto con le tossicodipendenze: certi memi producono piaceri così intensi in certe menti, che queste non possono fare a meno di riassaggiarli e perpetuarli.  Gran parte dei serbi oggi non sono letteralmente parassitati da memi nazionalistici, che li stanno portando alla catastrofe?  Probabilmente il fenotesto “il Kosovo è serbo!” dava loro un piacere a cui non sapevano rinunciare.  Certe idolatrie culturali hanno una forma simile all'addiction

 

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          Ma fino a che punto il replicatore-meme è simile al replicatore-gene?  Ogni gene compete con il proprio allele, cioè con un gene che produce un tratto opposto.  Ma in che senso possiamo dire che un meme compete con un altro meme?  Certo memi incompatibili come quello cristiano e islamico, quello cattolico e protestante, quello positivista e husserliano, si sono combattuti aspramente per il predominio.  Ma non tutti i memi appaiono alternativi.  Eppure, nota Dawkins, ogni meme è in competizione con qualsiasi altro per guadagnarsi la nostra attenzione e il nostro tempo.  Lo sa bene chi pubblica un libro.  Ogni anno si pubblicano decine di migliaia di libri solo in italiano, per cui la qualità del libro è forse necessaria (almeno lo spero) ma non certo sufficiente per guadagnarsi l'attenzione del pubblico.  Non abbiamo tempo di leggere tutto, di occuparci di tutto quello di cui vorremmo occuparci, per cui un meme per imporsi ha bisogno di straordinarie doti competitive.  Deve esibire allora delle inutili ma attraenti corna, come i cervi maschi.  Sono le corna che richiedono gli editori, di solito, ai loro autori.

 

          I biologi che respingono la tesi del gene egoista generalmente respingono anche la tesi del meme egoista.  Essi non pensano che processi biologici e processi culturali abbiano un isomorfismo.  Scrive Gould:

 

L'evoluzione culturale umana è lamarckiana[13]: le scoperte utili di una generazione vengono trasmesse direttamente alla prole attraverso gli scritti, l'insegnamento e via dicendo.  L'evoluzione biologica è costantemente divergente: una volta che due linee evolutive si separano non possono tornare a fondersi (...). Gli alberi sono rappresentazioni topologiche corrette dell'evoluzione biologica.  Nell'evoluzione culturale umana, invece, dominano la trasmissione e l'anatosmosi. [...]  Fra evoluzione biologica ed evoluzione culturale si possono istituire analogie feconde, ma si tratta pur sempre solo di analogie. [...]  L'evoluzione culturale ha bisogno di leggi proprie.[14]

 

Di solito la copiatura di un gene da una generazione all'altra avviene in modo fedele; le mutazioni casuali sono relativamente rare.  Invece un meme cambia ogni volta che viene trasmesso da un essere umano all'altro - la copiatura non è mai identica.  Ad esempio, osserva Dan Sperber[15], ogni volta che un adulto racconta a un bambino la favola di Cappuccetto Rosso, vi aggiungerà o toglierà qualche elemento.  Così Sperber preferisce parlare, anziché di memi, di "rappresentazioni", che nella replica mutano continuamente.

          Ora, quando Dawkins parla di un meme che si perpetua e si diffonde, non pensa a un testo manifesto specifico.  Si prenda la teoria di Darwin: essa è vitale tutt'oggi in biologia anche se forse solo una minoranza dei biologi ha letto i testi originali di Darwin, e anche se la maggior parte di loro l’ha in mente in una forma molto diversa da quella originariamente proposta da Darwin.  "Eppure, a dispetto di tutto ciò, c'è qualcosa, una sorta di essenza del darwinismo, che è presente nella testa di ogni individuo che capisce la teoria"[16].  Per Dawkins il meme non è un testo, ovvero un fenotesto, ma direi piuttosto un genotesto: egli descrive il meme, in termini quasi platonici, come un'essenza nei testi.

          Ma come descrivere queste “essenze”?  Per Dawkins si tratta di certe regole che vengono trasmesse, come ad esempio le regole per giocare a scacchi o quelle di una lingua[17].  Posso imparare le regole degli scacchi osservando molte partite a scacchi, e quindi essere in grado di giocare una partita del tutto originale, mai giocata prima di questa.  Un bambino di cinque anni può pronunciare una frase italiana che non è mai stata pronunciata mai prima da alcun essere umano, segno che egli non imita le frasi degli adulti, ma ha assimilato i memi della lingua italiana.  I memi sono allora le regole che vengono trasmesse attraverso fenotesti, come per esempio le frasi italiane che un bambino ascolta sin dalla nascita?  Ma allora, se i memi dell’italiano sono solo regole, non sono memi opere ancora vive come la Divina Commedia, le poesie di Leopardi o Se questo è un uomo di Primo Levi?

          La storia ci insegna che continuamente alcuni testi diventano “regole” solo successivamente.  Ad esempio, Michelangelo col David inseguiva una sua immagine di bellezza maschile, ma poi la scultura accademica successiva ne ha fatto un paradigma, un modello, insomma una regola per rappresentare il corpo maschile.  Questo significa che nella storia culturale un fenotesto diventa genotesto, il che è in contrasto con un principio fondamentale del darwinismo: che il gene produce fenotipi, ma non avviene mai il contrario.

          Si prenda la Divina Commedia, un'opera ritenuta ancora viva nella nostra cultura.  Se verificassimo che cosa rimane davvero del poema di Dante nella memoria della gente, vedremmo che - a parte una sparuta minoranza di specialisti - della Commedia si ricordano tutt'al più una decina di episodi, quasi tutti dell'Inferno.  Gli amori di Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, il conte Ugolino chiuso nella torre di Pisa, l'ultimo viaggio di Ulisse, e pochi altri.  E versi come "nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura", o come "amor che a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte", e pochi altri.  Questi spezzoni di fenotesti rimandano a memi sottostanti?  Non esprimono regole, sono solo frammenti testuali.  Certo, oltre questi molte persone hanno un'immagine complessiva stilizzata del poema: ricordano che Dante attraversa prima l'Inferno e il Purgatorio con Virgilio, poi percorre il Paradiso con Beatrice, e poche altre grandi linee.  Queste forme generali del racconto sarebbero allora "il meme Divina Commedia" oggi diffuso tra chi parla italiano?  Ma non possiamo dire che si tratti di un insieme di regole.  Allora, la Divina Commedia oggi ricordata non è un meme?  Sono memi solo enunciati che hanno il carattere di regole, e non l’essenza di un testo?

          Un gene non è un'essenza: è solo una sequenza di proteine.  A dire il vero, parlare di un gene è una convenzione.  Un gene non è altro che una porzione, scelta arbitrariamente, di un cromosoma, una porzione abbastanza piccola da avere buone probabilità di essere trasmessa ai discendenti senza variazioni. Ad ogni riproduzione, in effetti, metà dei geni del genitore vengono scelti e ricombinati.  Il taglio e la ricombinazione (crossing over) avvengono a caso.  Nulla di "essenziale" si trasmette dai genitori al figlio.  Certo i geni sono delle sorte di regole per costruire fenotipi, ma sono regole-cose che si ricombinano a ogni generazione.  E’ vero che la mutazione genetica è rara, ma in compenso ogni fenotipo (cioè ogni organismo) è il risultato di una ricombinazione di geni del tutto originale a partire dai geni dei due genitori (se la riproduzione è sessuata).  E' vero che ogni occorrenza di Cappuccetto Rosso è diversa dalle altre - ma possiamo pensare che una Gestalt o “regola” generale del racconto comunque si trasmetta alquanto fedelmente nel corso del tempo.  Ad esempio, una madre potrà aggiungere che la bambina, oltre a un cappuccetto rosso, aveva anche una gonnellina blu; una variante che probabilmente non avrà futuro.  Ma l'importante è che l'aggiunta di un epiciclo narrativo, come la gonnellina blu, non cambi la struttura del racconto.

          Sperber porta invece l'esempio di un genitore il quale, raccontando la favola al suo piccolo, dicesse che il cacciatore uccide il lupo ed estrae Cappuccetto Rosso dalla sua pancia, ma senza nominare la nonna.  E' facile pronosticare che questa variante non avrà molto successo: i bambini vogliono che venga salvata anche la nonna.  Le menti infantili sono l'ambiente selettivo dei memi, equivalente all'ambiente che opera la selezione dei geni: eliminerebbero questa variante.  Ma una variante così grave - dimenticare di salvare la nonna - ha una portata molto maggiore della variante della gonnellina blu.  Quando Dawkins parla dei memi, si riferisce appunto a questo scheletro regolativo del racconto, non alle varianti fenotestiche introdotte da ogni narratore.  Ma questo scheletro è qualcosa di molto difficile da isolare: lo scheletro di un racconto si confonde spesso e volentieri con la sua carne.

          Comunque sia, quando Dawkins, sei anni dopo The Selfish Gene, torna sul meme, ammette che ci sono "differenze significative tra i processi di selezione del meme e quelli del gene":

 

I memi non sono disposti linearmente su un cromosoma e non è chiaro se essi occupano e competono per 'loci' discreti o se abbiano degli 'alleli' identificabili. {...]  Il processo di replicazione è probabilmente molto meno preciso che nel caso dei geni: potrebbe esserci una certa quantità di elementi 'mutazionali' in ogni evento di trascrizione e questo, per inciso, è anche vero per quanto riguarda la 'selezione della specie' (...).  Le nuove 'mutazioni' potrebbero essere 'dirette' anziché randomizzate rispetto alle tendenze evolutive. […]  Per i memi […] potrebbero esistere delle frecce causali di tipo 'lamarckiano' che portano dal fenotipo al replicatore e viceversa.  Queste differenze potrebbero essere sufficienti a rendere inutili le analogie con la selezione naturale o anche a generare una certa confusione[18].

 

Si tratta di concessioni gravi ai critici.  Se i memi fossero davvero lamarckiani e non darwiniani, come pensa Gould, la memetica cadrebbe a pezzi.  L'assunto fondamentale del darwinismo è appunto che le frecce causali vanno dal gene al corpo, e che non esistono frecce in senso inverso.  Invece un fenotesto in cui si dicesse che Cappuccetto Rosso indossava un gonnellino blu potrebbe avere successo e diventare un tratto memetico nuovo, entrare a far parte della “regola” del racconto.  Se è così, l'analogia tra geni e memi va abbandonata.

           Eppure il successo del meme memetico non si è arrestato per questo.  Una teoria falsificata può continuare a essere popolare per secoli.  Lo sappiamo bene noi, che ancora discutiamo su teoria falsificate dalla storia come se fossero ancora valide.

 

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          Comunque sia, l’idea del meme o imitatore resta una metafora scientifica seducente, che può aiutare a riformulare in modo più interessante alcune vecchie questioni.  Il fatto che l'essere umano sia veicolo di due replicatori così diversi - i geni e i memi - ripropone la stessa assillante domanda che da qualche secolo ci si pone: questo o quel tratto umano è naturale o culturale?  Ovvero, nella nuova terminologia, è frutto della selezione genetica o di quella memetica?  Su questo punto Dawkins oscilla.

          Si prenda l'annosa diatriba sull'omosessualità.  L'obiezione al darwinismo adattativista è in sostanza questa: "Perché l'evoluzione non ha eliminato l'omosessualità milioni d'anni fa?"  Di fatto, l'omosessualità è un problema per i darwinisti solo se esiste davvero una componente genetica per la differenza tra fenotipi omosessuali ed eterosessuali - il che non è dimostrato.  La differenza potrebbe essere piuttosto memetica: alcuni individui verrebbero "colonizzati" da memi omosessuali, prodotti a loro volta da altri memi (ad esempio, dal modo in cui sono stati trattati nella loro infanzia, ecc.).  Ma Dawkins non esclude che la differenza possa avere basi genetiche. Di fatto:

 

l'effetto fenotipico di un gene è un concetto che ha senso solo se viene specificato il contesto ambientale in cui si manifesta, e nell'ambiente includiamo anche tutti gli altri geni del genoma. [...]  Quindi, se esistono geni che nell'attuale contesto ambientale producono omosessualità, questo non significa che in un altro ambiente, diciamo quello dei nostri antenati nel Pleistocene, essi avrebbero avuto lo stesso effetto.  Un gene per l'omosessualità nel nostro ambiente attuale, potrebbe essere stato un gene per qualcosa completamente diverso nel Pleistocene.  Così in questo caso ci troviamo di fronte alla possibilità che esista uno speciale time lag [effetto ritardo].  Potrebbe essere che il fenotipo che stiamo cercando di spiegare non sia mai esistito in ambiente più antico[19].

 

Detto in altre parole: alcuni geni sono stati selezionati perché in epoche passate hanno prodotto effetti adattivi ma, cambiato il contesto genetico, essi hanno perso questa funzione.  Ma questa è solo una congettura, grazie alla quale possiamo “risolvere” ogni problema spinoso per la teoria adattativista.  E' facile cavarsela sempre dicendo che ciò che oggi non appare adatto lo era forse milioni di anni fa!  La scienza non è fatta con i forse.  E il fatto stesso che gli organismi esibiscano comportamenti o tratti che forse erano adattivi un tempo, e che ora non lo sono più, dimostra appunto che non tutto nei fenotipi è attualmente adattivo.  Il time lag può occupare l’esistenza quasi intera di una specie.  Un tratto può essere stato adattivo per un tempo relativamente breve, ed essersi conservato per tempi molto più lunghi.  Se un tratto non più adattivo continua a riproporsi, questa è la prova del fatto che molti aspetti vengono trasmessi senza essere più adattivi, per pura inerzia ereditaria.  Un possibilità che Darwin stesso aveva descritto.

          L'adattamentismo memetico è contestabile proprio come l'adattamentismo genetico.  Ci vorrebbe un Gould della memetica.  Il meme cattolico può essere globalmente vantaggioso per gli individui che si convertono al cattolicesimo o vi persistono, ma è probabile che l'adozione di questo meme comporti anche effetti sgradevoli o neutri.  Ad esempio, mi chiedo quanti cattolici siano davvero felici di adeguarsi al precetto di rinunciare al controllo delle nascite, o a quello di non divorziare quando si pone il problema.  Di solito, quando ci lasciamo colonizzare da un blocco memetico, pensiamo di avere ottime ragioni per farlo, anche se siamo costretti ad accettare nel pacchetto tutta una serie di aspetti correlati di cui faremmo volentieri a meno.

          L'evidenza secondo cui i memi non sono necessariamente al servizio del principio di piacere dei loro portatori - anche se il principio di piacere dominasse nell'ambiente mentale che seleziona i memi - ha spinto i memetici a parlare volentieri dei memi come di virus, di parassiti.  Abbondano oggi le metafore patologiche ed epidemiologiche.  Glenn Grant definisce il meme "un pattern informativo contagioso che si replica infettando parassiticamente le menti umane e che altera il loro comportamento, portandole a propagare il pattern".  Dawkins pare affascinato dai parassiti.  Non si stanca di citare il caso dei cuculi, che fanno credere ai pettirossi di essere loro rampolli, e vengono allevati dai pettirossi come se fossero appunto figli loro.  Dopo tutto, la vittima del parassita, come il pettirossso, è "fesso e contento", come si dice tra la gente del Sud.  Allo stesso modo, molti memi ci fanno "fessi e contenti".  Ma se i memi ci rendono contenti, in che senso ne saremmo vittime come dei fessi?  Se pensiamo che il criterio ultimo dell'azione dell’individuo è il principio di piacere, come lo chiamava Freud, allora i memi, facendoci contenti, sono buoni per noi.  Ma il punto è che per Dawkins "il nostro bene" è di fatto quello dei nostri geni, o meglio, della loro riproduttibilità.

          Il desiderio di non riprodursi di tante persone, ad esempio, è effetto solo dei loro memi?  Eppure il fatto che a certi individui piaccia fare l'amore ma dispiaccia tirar su dei figli è probabilmente un'eredità genetica.  Né i cuculi che parassitano i pettirossi, né i memi che ci convertono in militanti, agit-prop e magari anche màrtiri della causa di un tiranno, fanno gli interessi dei geni di coloro che colonizzano.  Il fatto che un pettirosso non abbia gli strumenti per distinguere un cuculo dai suoi figli, e il fatto che un essere umano non abbia gli strumenti per smascherare certe ideologie come catastrofiche per lui, sono in ambedue i casi un difetto o limite (in senso darwiniano) della specie in questione.  In fondo, gli esseri umani finora sono sopravvissuti anche grazie ai memi – ma occorre capire fino a che punto essi sono sopravvissuti anche malgrado i loro memi.  Gran parte di noi sopravve al virus del raffreddore, così gran parte di noi è sopravvissuta persino al virus del fascismo e dello stalinismo.

 

 

 

 



    [1]Richard Dawkins, Il fenotipo esteso, Zanichelli, Bologna 1986, p. 144 (orig. The Extended Phenotype, W.H. Freeman, New York 1982).

    [2]Richard Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, Mondadori, Milano 1992, p. 201 (orig. The Selfish Gene, Oxford Univ. Press, Oxford 1976).

 

    [3]Ibid.

 

     [4] Comincia ad esserlo anche in Italia. Cfr. Francesco Ianneo, Meme, Castelvecchi, Roma 1999.

 

    [5]John Horgan, La fine della scienza, Adelphi, Milano 1998, pp. 184-5.

 

[6] E difatti, il fatto che in linea di massima il gemello reale preferisca in ultima istanza se stesso al proprio gemello viene talvolta evocato come confutazione di questa teoria.

 

    [7]Il gene egoista, cit., p. 200.

 

    [8]Ibid.

 

    [9]Op.cit., p. 203.

 

    [10]Ad esempio, i maschi europei hanno la barba mentre quelli cinesi no. Probabilmente la differenza è dovuta al fatto che le donne europee preferivano i barbuti, quelle cinesi no. Ma a sua volta queste preferenze femminili - come quelle delle cerve per le corna maschili - non hanno una ragione adattiva. Un maschio può essere forte, intelligente e buon padre sia che abbia la barba, sia che sia glabro. Possiamo supporre che ogni nuova mutazione o ricombinazione genica che produce un esemplare più seducente tende ad essere avvantaggiata, in un primo momento, rispetto ad altre mutazioni più efficienti. Potrebbe esserci nelle specie una pressione che tende a favorire la seduzione rispetto alla sopravvivenza?

 

    [11]Op.cit., p. 174.

 

    [12]Op.cit., p. 208.

 

    [13]Il lamarckismo è la teoria secondo cui gli animali sono in grado di trasmettere agli eredi dei caratteri acquisiti.

 

    [14]S.J. Gould, "Il fantasma di Protagora", Un riccio nella tempesta, Feltrinelli, Milano 1991, pp. 69-70.

 

    [15]Dan Sperber, La contagion des idées, Odile Jacob, Paris 1998.

 

    [16]Dawkins, op.cit., p. 205.

 

     [17] Dawkins, Foreword to Susan Blackmore, The Meme Machine, Oxford University Press, Oxford 1998.

    [18]Dawkins, Il fenotipo esteso, cit., p. 144.

 

    [19]Il fenotipo esteso, cit., p. 52.

 

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