Flussi di Sergio Benvenuto

No al Referendum 2020. Annuncio su Facebook16/ott/2020


 

 

              Non dirò perché personalmente voterò “No” al prossimo referendum sulla diminuzione del numero dei parlamentari in Italia, semplicemente perché le ragioni le ha già dette Romano Prodi su La Repubblica[1] in un intervento che condivido dalla prima all’ultima parola. Mi limiterò ad aggiungere solo qualche addenda a quel che dice Prodi.

              Votai invece “Si” al referendum del dicembre 2016 sulla riforma costituzionale detta Renzi-Boschi, e so che con ogni probabilità mi troverò a votare con la minoranza degli italiani nel 2020 così come mi trovai con la minoranza nel 2016. Anche la riforma Renzi-Boschi (che è stata respinta, a mio avviso, molto più per l’antipatia mediaticamente costruita nei confronti di Renzi e Boschi, che per le ragioni intrinseche della riforma) prevedeva un certo risparmio di spese per pagare i parlamentari, ma il suo fine principale era del tutto diverso: eliminare il bicameralismo perfetto, che è una stranezza del sistema costituzionale italiano. Questa denuncia del bicameralismo perfetto – Camera e Senato entrambe votano la fiducia al governo, entrambe votano esattamente le stesse leggi – risale a Nilde Iotti, quando era presidente della Camera dei Deputati (dal 1979 al 1992). Iotti, compagna di Togliatti, fu uno dei bastioni prima del partito comunista italiano, poi del partito democratico della sinistra. Ricordo molto bene la sua campagna per separare le mansioni di Camera e Senato in quanto si trattava di un doppione che allungava i tempi legislativi. La fallita riforma Renzi-Boschi non faceva che riprendere esattamente gli stessi temi di Iotti, anche se è stata fatta passare per una riforma liberticida di destra…

              Il voler riservare il voto di fiducia alla Camera nasceva del resto da un dramma della sinistra a partire dalla cosiddetta Seconda Repubblica: il fatto che più volte i governi di sinistra si siano trovati con una maggioranza alla Camera, e una non-maggioranza al Senato. Il secondo governo Prodi del 2006 aveva un’ampia maggioranza alla Camera ma due soli voti in più al Senato; Prodi cadde il 24 gennaio 2008 perché perse i voti di appoggio al Senato controllati da un galantuomo come Clemente Mastella. Ancora nel 2013, il centrosinistra ottenne una solida maggioranza alla Camera ma non al Senato, ragion per cui il governo Letta (dall’aprile 2013 al febbraio 2014) potette essere formato solo grazie al “mostruoso” appoggio di Forza Italia, ovvero di Berlusconi. Per questa ragione trovo difficile da capire il perché dell’opposizione di sinistra a una riforma costituzionale che liberava la sinistra dal vecchio incubo del Senato.

              Come ha detto Prodi, la vera riforma consisterebbe nel modo di eleggere deputati e senatori, non nell’averne qualcuno in meno. Oggi i parlamentari sono personaggi designati direttamente dalle segreterie dei partiti, senza alcun vero contatto con il proprio elettorato. Ho potuto vedere la differenza in paesi come la Francia e la Gran Bretagna, dove non solo ciascun elettore sa benissimo chi sia il proprio deputato al Parlamento, e spesso lo conosce anche personalmente. Bisogna però anche dire che un sistema elettorale fortemente territorializzato, dove il deputato o il senatore rappresenta più gli elettori del proprio collegio che il partito che lo ha candidato, ha anche i suoi svantaggi: i deputati si focalizzano sul territorio che li ha eletti, e possono perdere di vista le grandi opzioni ideali che dovrebbero ispirare le scelte parlamentari.

              L’attuale riduzione dei parlamentari – il cui effetto è una riduzione niente di meno che dello 0,007% della spesa pubblica italiana – è in realtà un risultato della demagogia anti-casta-politica, perno del cosiddetto “populismo”, che il Movimento 5 Stelle ha cavalcato in questi anni. Questa riforma è effetto “di vecchi slogan e di campagne folcloristiche” dice Prodi, ovvero di clichés che sfruttano la più becera invidia per politici e parlamentari, considerati origine di tutti i mali del paese (fosse il Cielo se la decadenza dell'Italia fosse solo effetto dei suoi politici!). Il sentimento anti-politico – primo atto della crisi della democrazia – è diffuso a sinistra e a destra, ma finisce sempre (come avvenne già in Italia nel primo dopoguerra con l’Uomo Qualunque di Giannini) col prendere una tonalità neo-fascista, perché intrinsecamente anti-democratico. In effetti, se viene spezzata alla base quel minimo di fiducia che deve legare il popolo ai propri rappresentanti, se si dà per scontato che gli eletti badino solo ai propri affari senza prendere in minimo conto gli interessi dei loro elettori, vien meno quel presupposto di rappresentatività senza il quale non è possibile alcuna vera democrazia. Vedere i politici come tutti dei despoti – indipendentemente dal partito o dall’ideologia di cui essi sono interpreti – è l’anti-camera della fiducia data al vero Despota, sia esso Putin, od Orbán, od Erdogan… o Mussolini. In questo senso il M5S, con la propria infantile demagogia, ha di fatto contribuito allo spostamento di gran parte della popolazione italiana, in questo ultimo decennio, verso posizioni di estrema destra intrinsecamente anti-democratiche.

              Votare NO al referendum significa votare NO a quel che il grillismo ha rappresentato in questi anni di degenerazione della politica italiana.

 

Sergio Benvenuto

 

 

 

 

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