Flussi di Sergio Benvenuto

“FAMIGLIE, VI ODIO….”[1]04/ago/2022


 


 
Saggio di Sergio Benvenuto

 

Pubblicato in Giuliana Bertelloni, Simone Berti, Pier Giorgio Curti, Il disordine della famiglia, Percorsi di Psicanalisi V/2006, Edizioni ETS, Pisa, pp. 23-45.

 

  1.     Novecentismo

 

          La Famiglia – sia come categoria dello Spirito che come realtà empirica – è stata uno dei bersagli contro cui più si è accanito il sound and fury di quel che sarebbe ora di chiamare Novecentismo. Con questo termine intendo una sorta di nebulosa culturale, se non di Weltanschauung, che combina più o meno – in modo ora armonioso, ora rissoso – un certo radicalismo marxista, l’ammirazione per le avanguardie artistiche e letterarie, una certa assunzione detta post-moderna della psicoanalisi (lacaniana o ermeneutica o intersoggettivista), una certa versione della filosofia fenomenologica e/o post-strutturalista, e un ideale umano che esalta un certo libertinismo estetizzante. Quella cultura che in Italia caratterizza i lettori habitués de “il manifesto”, per dare un esempio.

          I novecentisti non sono scomparsi certo con le celebrazioni dell’anno 2000, suscitano nuove leve tra i giovani. Ma per i novecentisti quel che ormai essi si sono abituati a chiamare “il secolo breve” finisce sostanzialmente con gli anni 1980, e in particolare nel fatidico 1989. Tutto quel che viene dopo, secondo i novecentisti, è essenzialmente Restaurazione, Contro-rivoluzione, insomma barbarie. Le invasioni barbariche[2]. Alain Badiou, uno dei più noti nostalgici del “secolo breve”, così descrive apoditticamente, in termini di coppie antagoniste, quel che chiamo Novecentismo:

 

Una volta finito il secolo, dobbiamo rifare la scommessa che fu la sua, quella dell’univocità del reale contro l’equivoco della finzione. […] Idea contro realtà. Libertà contro natura. Evento contro stato delle cose. Verità contro opinioni. Intensità della vita contro insignificanza della sopravvivenza. Uguaglianza contro equità. Rivolta contro accettazione. Eternità contro Storia. Scienza contro tecnica. Arte contro cultura. Politica contro gestione degli affari. Amore contro famiglia.

(Badiou 2006, pp. 181-2)[3]

 

L’opposizione “amore contro famiglia” è the last but not the least. I novecentisti fanno proprio l’urlo di Gide, “Famiglie, vi odio”, preceduti da tutta la letteratura, anche ottocentesca, che è andata giù dura sia contro le famiglie empiriche che contro la Famiglia come paradigma morale giudaico-cristiano. A cominciare dalle Origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels (1884), fino alle denunce delle famiglie schizofrenogeniche da parte di Bateson, Laing, Esterson, Cooper, Schatzmann, ecc., passando per i libelli di Wilhelm Reich, per l’esaltazione della dépense di Georges Bataille, per certi film di Buñuel, ecc.

D’altro canto, a sinistra risponde uno squillo anche perché s’ode a destra uno squillo di tromba: i conservatori prima di tutto si levano a corifei dei “valori familiari”. Gran parte di quelli che negli Stati Uniti votano republican eleggono la loro devozione ai family values a tratto gnomico della loro identità etico-politica. “Dio, patria, famiglia”: il vessillo di ogni ‘destra’.

Ma quali sono questi valori familiari? E all’inverso, quali valori novecentisti si opporrebbero simmetricamente a questi valori familiari?

 

  1. 2.    Amour fou versus Famiglia

 

Prima di tutto, che cosa è questa famiglia che i conservatori hanno eletto a loro valore cruciale e che i novecentisti vorrebbero demolire?

Gli antropologi dicono che le culture umane manifestano una ricca varietà di forme familiari, alcune per noi alquanto incredibili. Essere contro “la famiglia” significa allora essere contro qualsiasi tipo di organizzazione dei rapporti tra genitori e figli, e tra i genitori stessi? O solo essere contro la forma moderna, nucleare, di famiglia tipica delle società iper-industriali? Eppure, questo modello di famiglia ristretta – matrimonio monogamico, dimora autonoma della giovane coppia, rapporti affettuosi tra genitori e prole – è di fatto anche tipica delle culture più primitive: è come se la specie umana avesse sperimentato nel corso della sua storia una lunga serie di tipologie familiari per poi tornare, allo stadio della rivoluzione industriale moderna, a quella famiglia elementare da cui era partita. Questa famiglia che i novecentisti trovano così odiosa è, in fondo, la famiglia dei “buoni selvaggi”.

Non dimentichiamo che anche i novecentisti, spesso, mettono su famiglia. Molti dei loro Maestri indiscussi – Marx, Freud, Heidegger – furono padri di famiglia alquanto tradizionali, anche se non irreprensibili. Suppongo che i metodi di gestione familiare dei novecentisti siano diversi da quelli del paterfamilias, che facciano prevalere il rapporto fraterno con i figli e con la compagna sull’autoritarismo patriarcale; ma come negare che, comunque, anche in questi casi si tratta di famiglie? Per Badiou il Novecento è stato “Idea contro realtà”: la famiglia viene rigettata come Idea, ma persiste, si espande e prospera come realtà. Da una parte si tuona filosoficamente contro la Famiglia, dall’altra ci si imbarca, bene o male, in una vita familiare. Iato tra Idea e realtà? Oppure prova del fatto che la realtà ha le sue idee che l’Idea non vuol conoscere?

          Badiou oppone alla Famiglia come valore l’amour fou di André Breton. Il surrealismo, più della visione amorosa romantica, avrebbe fornito il modello poetico e ideale dell’amore anti-familiare. Perché l’amour fou resta, essenzialmente, un ideale poetico di vita – nel senso in cui ne scriveva Heidegger (1976), che «dichterisch wohnt der Mensch auf dieser Erde», l’uomo abita poeticamente questa terra[4]. Eppure, di fatto l’amour fou riprende in versione positiva quel modulo d’amore che il romanticismo aveva celebrato in versione tragica – Werther che ama Charlotte, Eduard delle Affinità elettive che ama Ottilie, ma, in ambedue i casi, disperatamente. Il surrealismo afferma in positivo la romantica assolutezza amorosa. L’”amore familiare” è basato sui piaceri e le responsabilità dell’esser genitori, sulla fedeltà e lealtà al coniuge che prevalgono sull’attrazione per persone esterne alla coppia, sulla presa in carico della propria famiglia come gruppo solidale. Invece, l’”amore folle” è il romance dell’amore scatenato dal desiderio sensuale per l’altro, spontaneità libidica che non si cura delle economie domestiche né di costituire, come dicono gli economisti oggi, “capitale umano”. L’amour fou non produce capitale umano, bataillianamente lo dissipa. In breve, alla Famiglia come Ragione Economica (nella quale economia comprendo anche l’economia delle pulsioni e dei piaceri), il novecentismo ha opposto l’ideale del Desiderio Sovrano. Ideale che oggi domina anche tra le masse.

 

 

3. La legge del desiderio

 

          Infatti, i novecentisti non si rendono conto – data la modalità manichea, dicotomica, anti-dialettica, con cui pensano – del fatto che la famiglia di oggi tende sempre più a strutturarsi proprio sulla base dell’ideale di amour fou. Breton, oggi, viene praticato anche nei suburbi e nei quartieri della borghesia chic. Chi oggi ha più o meno la mia età (nasco nel 1948) sa bene di che cosa parlo, basta paragonare coppie e famiglie di oggi a quelle dei nostri padri e madri. E non mi riferisco tanto all’Italia, paese più conservatore e arretrato di altri. Oggi la coppia, anche sposata, si regge su una ferrea legge del desiderio. Ovvero, perché la coppia regga occorre che lei o lui, con prole o senza, si desiderino e facciano all’amore, possibilmente con i migliori orgasmi possibili. D’altra parte, nessun genitore, per quanto conservatore, oserà mai imporre o solo suggerire un fidanzato alla figlia: l’assioma condiviso ideologicamente da tutto l’Occidente (ovvero, dal mondo più industrializzato e più ricco[5]) è che la coppia, sposata o meno che sia, si fondi sul desiderio che si prolunga in collante amoroso. Il desiderio è sacro.[6]

          Se uno ama teneramente l’altro, ma non lo desidera eroticamente, un qualche divorzio si profila presto all’orizzonte. La ley del deseo[7] è inflessibile. Questa conditio sine qua non dell’eros è evidentissima nella nazione che, non da oggi, è il paese-guida delle nuove mentalità: quella americana. Il romanticismo novecentista è stato fatto proprio dalla cultura oggi dominante a livello planetario. I divorzi sono tanto frequenti negli USA proprio perché quando uno dei due coniugi ammette di non essere più innamorato dell’altro come prima, e di non provare a letto il piacere che provava un tempo, allora – se l’immancabile serie di sedute con lo psicologo di coppia non ci mette una toppa – il divorzio è inevitabile[8].

          In Italia ferree leggi proteggono i figli dall’umore dei genitori: essi erediteranno quel che loro spetta per legge. In America invece un genitore può tranquillamente diseredare i figli e lasciare tutti i suoi beni magari al proprio cane. Questo perché per l’etica americana i legami di sangue non contano, conta solo il desiderio: se non desidero lasciare i miei beni a mio figlio, se non lo desidero più come figlio, solo questo conta. Il desiderio è un diritto civile che prevale sui diritti “genetici”.

          I novecentisti vedono solo una faccia della luna: vedono weberianamente il nostro mondo iper-industrializzato come un Impero (così lo chiamano Negri ed Hardt) improntato alla razionalità calcolativa. Un impero dove tutto tende a essere previsto, programmato, controllato – anche attraverso la CIA o qualche complotto. Gli stati polizieschi, le tecnoscienze e le multinazionali avrebbero irretito le masse planetarie in un network capillare di controlli. Ma questo è solo un lato della realtà. Il nostro mondo americanizzato esalta anche gli ideali romantici della spontaneità, dell’autenticità, della libertà sconfinata, del desiderio selvaggio, dell’amour fou. Le nostre società sono allo stesso tempo e inestricabilmente illuministe-calcolative e romantico-rousseauiane. Da una parte organizziamo elettronicamente la nostra vita, dall’altra consumiamo “prodotti organici” o genuini, ce ne andiamo a godere sole e sesso nei mari del Sud, simpatizziamo per i Verdi, votiamo un culto sportivo e pagano al nostro corpo, riflettiamo con uno psicoanalista sui nostri impulsi infantili più incontrollabili. La razionalità tecnologica organizza la nostra vita feriale, il novecentismo organizza la nostra vita festiva. Nei giorni lavorativi siamo tecnocratici, capitalistici e familisti; nei periodi di vacanza siamo romantici, marxisti, freudiani e libertini.

 

 

  1. 4.    Modello Omosessualità

 

          Oggi si profilano nuove forme di famiglia: riconoscimento legale dell’unione omosessuale e dell’adozione di bambini da parte di una donna o di un uomo single, o da parte di una coppia omosessuale. A ciò dobbiamo aggiungere certe maternità improprie rese possibili dalla tecno-medicina: portare avanti una gravidanza in età avanzata, concepire un figlio per inseminazione artificiale da parte di un estraneo, uteri in affitto, e simili. Unioni che da sempre erano considerate libere – tanto libere da essere spesso illecite – oggi aspirano a una legittimità. Il che irrita spesso i novecentisti, i quali vedono in queste richieste pressanti di “riconoscimento di diritti” un segno della barbarica Restaurazione. L’atto omosessuale, in particolare, veniva esaltato come esemplare amour fou; ma se l’omosessuale copula con la benedizione del sindaco o magari del re (di Spagna) perde tutto il suo charme anti-familista.

Il riconoscimento giuridico del legame omosessuale è solo una faccia di un processo più globale: per altri versi, all’inverso, il rapporto eterosessuale stesso, in quanto erotico, tende a modellarsi sul rapporto omosessuale (Ariès 1982; Boyers & Steiner 1982). L’eterosessualità è permeata da atti e funzioni non erotiche, “serie”: produzione e allevamento della prole, rapporti di parentela istituzionalizzati, ecc. Fino a ora, invece, il rapporto omosessuale si era svolto come puro eros “folle” senza tabù. E non a caso sessuologi molto influenti (come Masters & Johnson [1980]) avevano indicato l’erotismo omosessuale come modello anche per gli etero. Ormai il coito coniugale più banale è permeato da “preliminari” (coito anale, orale, urofilico, ecc. – per non parlare di sesso di gruppo o scambismo di coppie) riservati un tempo agli “atti contro natura”. La “filosofia” che ci permea è quella dell’eros sfrenato, gay nel senso originario di libertino. E non a caso il cinema americano – quello più ricettivo ai cambiamenti della mentalità di massa – da anni sforna film dove le storie d’amore più toccanti sono proprio tra omosessuali. I nuovi Werther ed Eduard sono queer. L’omosessualità fornisce quindi oggi il paradigma sia dell’amour fou come fondamento del rapporto di coppia in generale, sia dell’amore contrastato, tragico o infelice, nella misura in cui il desiderio omosessuale è il solo a essere ancora (ma sempre meno) disapprovato da “loro”. Gli omosessuali hanno “la fortuna”, rispetto agli eterosessuali, di trovare ancora ostacoli sociali ai loro desideri – prima di tutto nelle proprie famiglie -, di poter essere insomma ancora romantici. E l’ostacolo esaspera, esalta, il desiderio.

I reclami di diritti per gli omosessuali sono un corollario del Novecento: la nostra cultura tende a diminuire lo scarto, puntando a una sua asintotica eliminazione, tra unione libera e unione legittima. L’unione libera si basa completamente sul desiderio; e oggi il progetto della cultura euro-americana è appunto di legittimare tutto ciò che si autorizza attraverso il desiderio. Se io uomo desidero un altro uomo, e in più desidero essere padre di un bambino, allora ipso facto questi miei desideri sono legittimabili. L’unica condizione della legittimazione di questi desideri è che l’altro accordi il suo consenso all’altro per soddisfarli. L’etica moderna è puramente consensualista: non importa perché l’altro acconsente, l’importante è che acconsenta[9].

 

 

  1. 5.    Dispotismo del desiderio

 

          Il Desiderio ha preso quindi un po’ il posto di Dio come autorità che autorizza e in prospettiva legittima qualsiasi relazione umana[10]. Ma se Desiderio è sempre più legge, che ruolo svolge tra noi la pratica psicoanalitica, che sin dall’inizio si è voluta una tecnica di interpretazione e affermazione del desiderio? Certo non a caso la psicoanalisi è nata e ha prosperato nel Novecento, ovvero nel secolo che progressivamente ha eletto Desiderio a fonte e garante della Legge. In effetti, se quel che in ultima istanza autentica le scelte e gli atti che si compiono è il desiderio, diventa fondamentale, per ogni soggetto, interpretare correttamente la parola di questa divinità – così come la lettura della Bibbia è il modo per interpretare correttamente la parola di Dio. “Qual è la Volontà di Desiderio?” si chiedono la donna e l’uomo moderni – da qui la necessità di psicoanalisti. Ma come questi ultimi si aggiustano a questo sistema culturale in cui il desiderio viene invocato come autenticante?

          Una linea è quella che, con Winnicott, distingue il true Self dal false Self, il vero desiderio da quello falso: la procedura analitica servirebbe a distinguere il desiderio autentico da quello che non lo è, dalla patacca. Un’altra linea è quella post-moderna, a cui partecipa la psicoanalisi lacaniana: secondo questa ogni desiderio è, in un certo senso, alienato (ma non inautentico). E questo per una ragione molto semplice: ogni desiderio presuppone una legge, che viene sempre dall’Altro. Si sfocia nel paradosso fondamentale: da una parte la nostra civiltà invoca il desiderio come Legge, ma una parte di essa dice che il desiderio a sua volta dipende dalla Legge. Come uscire da questo circolo?[11] Se il desiderio è la legge ultimativa a cui la nostra epoca si appella, che ne è della legge da cui ogni desiderio dipende? È questa legge del desiderio a sua volta desiderio? Certo, dicono alcuni analisti, quella che chiamiamo legge è il desiderio dell’Altro. Non sono i Dieci Comandamenti quel che Dio vuole? Ma allora, quale sarebbe a sua volta la legge di questo Desiderio dell’Altro che è legge del desiderio mio o tuo?[12] Si delinea un processo en abîme, come quando due specchi vengono posti uno di fronte all’altro: un rimando ricorsivamente infinito tra desiderio e legge (e forse per questa ragione oggi le analisi tendono a essere interminabili: il rimando dal desiderio alla legge e viceversa non ha un termine ultimo, ma può sempre essere ripreso).

          In effetti, un desiderio che si ponga esso stesso come legge tende a diventare problematico, evanescente, iconoclastico. Da qui l’ideale, tipicamente novecentesco, di autenticità: l’uomo e la donna autentici sono quelli che non confondono il proprio desiderio con l’oggetto che si suppone possa soddisfarlo (il desiderio non può “feticizzarsi” in oggetti di cui ci si soddisfa). La famosa frase di Lacan (1986) - “L’etica è non cedere sul proprio desiderio” - esprime bene l’assunto di base dell’etica moderna: indubbiamente l’etica della psicoanalisi coincide con il progetto moderno tout court. Ma il guaio è che il desiderio non è mai solo proprio, è anche sempre quello dell’Altro e perciò è legge: se il desiderio è per essenza alienato, quale sarà la “buona” alienazione (quella in cui io soggettivo il desiderio dell’Altro) e la “cattiva” alienazione? La Vulgata di molti analisti novecentisti recita “la cattiva alienazione è quella immaginaria, la buona è quella simbolica”. Questa suona bene ma, di fatto, come diceva Breton, “i sentieri del desiderio si aggrovigliano”[13]. La psicoanalisi – anche quella lacaniana – finora non è riuscita a dare risposta a questa domanda. Et pour cause. Perché la psicoanalisi eredita l’aporia dell’etica moderna, quella per cui il desiderio è legge, e la legge determina il desiderio: in effetti, la legge moderna consiste proprio nel prescrivere che il desiderio è legge... Questa prescrizione legiferante può rivelarsi dispotica, può non lasciare scampo: se fare del proprio desiderio la propria legge è la legge dei moderni, sarà molto difficile sfuggirvi, trasgredirla.

 

 

6. Eguaglianza e potenza

 

          Un altro “disordine” tipico della nostra società iper-industriale è la tendenza a cancellare qualcosa che, fino a poco tempo fa, appariva un tratto universale: la divisione del lavoro tra i sessi, dentro e fuori la famiglia. Questa divisione del lavoro era praticamente universale, anche se il modo in cui i diversi compiti erano attribuiti all’uno o all’altro sesso variavano a seconda delle culture (in certe società sono gli uomini a dedicarsi ai lavori agricoli, in altre le donne; ecc.). Questa divisione del lavoro tra i sessi è oggi contestata in linea di principio, e sempre più si attenua anche in pratica. In particolare la divisione cade per quanto riguarda le due funzioni in cui uomini e donne, in quasi tutte le culture, si differenziano: l’allevamento dei bambini (quasi sempre riservato alle donne) e la guerra (riservata agli uomini). Oggi il padre partecipa sempre più alle cure dei bambini piccoli, e gli eserciti si aprono sempre più alle donne. I novecentisti si lamentano che il progetto dell’eguaglianza è stato abbandonato dalla Restaurazione neo-liberale: eppure l’eguaglianza, anche economica, tra i sessi è andata più che mai avanti[14]. Allora le nostre società moderne, puntando sull’eguaglianza maschio-femmina, praticano qui una rottura radicale con tutte le culture finora esistite?

          Credo che l’egualitarismo sessuale sia un corollario della super-legge moderna, per la quale solo il desiderio legifera. È come se la nostra cultura avesse fatto propria la prospettiva di Freud, secondo il quale c’è una sola libido - non due libido, maschile e femminile. Uomini e donne possono desiderare oggetti diversi, ma la struttura del loro desiderio è la stessa: quindi essi sono anche eticamente e giuridicamente eguali. Gli esseri umani non sono più distinti e definiti per le loro differenze anatomiche, ma solo per le differenze tra i loro desideri. Se una donna desidera essere soldato, o unirsi a un’altra donna, o lavorare come camionista, o cambiare sesso e diventare uomo, tutto ciò ipso facto va legittimato. Da qui l’importanza crescente della riflessione sul transessualismo, anche tra psicoanalisti: il desiderio di cambiare gender (legittimabile senza problemi) suscita un sospetto di inautenticità (quindi di psicopatologia) proprio nella misura in cui cozza troppo drasticamente con il sex naturale. E soprattutto, identificare il proprio desiderio con un atto chirurgico, con un cambiamento della genitalità naturale, non è una colossale alienazione del proprio desiderio? Il transessualismo imbarazza gli psicoanalisti. Perciò essi oscillano di solito tra valutazioni opposte: o considerano i transessuali degli psicotici perché negherebbero la realtà del sesso, oppure dei buoni cittadini che rivendicano il loro diritto civile di cambiare il loro gender.

 

 

7.  Potenza del possibile

 

Ma la legge del desiderio-come-legge – e come fonte e autorità di ogni legge positiva – si collega a un’altra specificità del mondo moderno. Questa specificità è ben espressa da un termine ormai invasivo: virtuale. Sembra trattarsi solo della conseguenza di un gadget tecnologico: poter costruire mondi immaginari che sembrino del tutto reali. Eppure questa passione per il virtuale esprime il sogno di una coincidenza prospettica, finale, tra virtuale e reale: un mondo dove il reale stesso sarebbe virtualizzato e viceversa. È quel che viene teorizzato da un certo nichilismo ermeneutico, ad esempio da Vattimo (1994): dopo “il lungo addio” all’Essere di cui la storia occidentale sarebbe il percorso, il “mondo è ridotto a favola”. Ovvero a virtualità.

All’origine ci fu la distinzione fondamentale di Aristotele tra dynamis (potenza, possibilità) ed energheia (atto, attività). Per Aristotele, l’essere pieno, il vero reale era l’essere-in-atto, non l’essere-in-potenza. Nell’ultimo paio di secoli, però – e soprattutto dopo che Nietzsche parlò di Volontà di Potenza – il potenziale, la virtus, pare aver preso un sopravvento ontologico sull’attuale. Come se il vero reale non fosse più l’attualità ma la potenza o potere. Non a caso la stessa militanza politica si è volta foucaultianamente sempre più contro “il potere”, sempre meno contro “l’atto”. Il poter-fare è diventato più essenziale del fare. La denuncia del danaro (poter possedere) è diventata più essenziale della denuncia del godimento attuale di beni. Il Novecento ha operato questo slittamento ontologico: non importa quel che si fa, quel che si produce, ma la potenza creativa e produttiva. Importa il pro-getto, il gettarsi verso, il proiettarsi verso il futuro.

Questa svolta “possibilista” si afferma anche nelle scienze, in particolare in quelle della vita e dell’evoluzione:

 

...se andate a vedere cosa sta succedendo nella biologia, scoprite che è diventata una disciplina della potenzialità, delle possibilità più che delle necessità. Il biologo dà una spiegazione evoluzionistica che è sempre giocata sulla potenzialità latente di una struttura più che sulla sua specializzazione adattativa e funzionale. (Pievani 2006, p. 146).

 

Viviamo allora in una cultura che vuole credere in molte vite possibili – o almeno le progetta. È il trionfo della “storia controfattuale”, come si dice oggi - della storia fatta con i “se”. Queste vite multiple poi sono proiettate - è il caso di dirlo - dal cinema, ma anche dall’arte e dalla letteratura. E la stessa psichiatria americana insiste oggi sulle multiple personalities... Da qui la crescente idealizzazione della gioventù; tutti dobbiamo restare giovani – flessibili, aperti, disposti a cambiare – per sempre. La gioventù è l’epoca idillica in cui la potenzialità non si è ancora congelata, dissipata in attualità. La forma d’essere caratteristica della nostra epoca è all’insegna di una fondamentale infedeltà al proprio essere.

Per questo uno dei film più rappresentativi del nostro mondo è Sliding Doors (1998) di Peter Howitt.  Si tratta di due storie parallele che proseguono in modo alternato, e che non si incontrano mai: in una prosegue la vita della bella protagonista nel caso che essa un certo giorno abbia perso per un pelo il treno nell’underground di Londra, nell’altro si sviluppa la storia della stessa protagonista nel caso che abbia invece preso quel treno. I destini della Bella risultano radicalmente diversi nell’un caso e nell’altro: si tratta propriamente di due vite possibili. Ma il film non gerarchizza le due vite: ambedue ci vengono proposte come del tutto reali - oppure del tutto immaginarie, se si preferisce. Inoltre non si enuncia alcun senso finale: non viene proposto alcun criterio per giudicare una delle due vite possibili come migliore dell’altra. Nessun segnale privilegia una vita sull’altra: successi o dolori dipendono dai casi. L’importante è che le due vite restino equipossibili. Questa doppia storia illustra la nostra fame crescente di possibilità.

          Ora, cosa intende il conservatore americano che si dice sostenitore dei family values? Di solito, intende la sua ostilità all’aborto, alle unioni omosessuali, all’eutanasia, al divorzio facile – insomma a ciò che, al di fuori o al di dentro della famiglia, non si dovrebbe fare. Il “valore familiare” si risolve in un principio negativo di limitazione: alcune pratiche sono illegittime. Ma questo coincide con il concetto stesso di “famiglia” come lo propone Claude Lévi-Strauss: le famiglie, dice, possono essere del tipo più diverso, ma “la struttura della famiglia, sempre e comunque, rende impossibili, o almeno illeciti, certi tipi di relazioni sessuali” (Lévi-Strauss 1967, p. 165). Appellarsi alla famiglia come valore significa quindi, in fin dei conti, voler ridurre le possibilità, almeno di atti sessuali. Insomma, ridurre la potenza del singolo, impedirgli di essere altro da quello che è. All’inverso, la rivendicazione anti-familista dell’amour fou significa di fatto ampliare le possibilità di relazioni sessuali – incrementare la dynamis, la potenza. In prospettiva, ammettere anche l’incesto e la pedofilia[15]. Ma la nostra cultura, presa nella sua dinamica d’insieme, è complessivamente “progressista” non “conservatrice”: di fatto, essa punta ad ampliare le possibilità, non a restringerle. Punta al virtuale, non alla realtà attuale. I conservatori si limitano a frenare, a ostacolare un po’ la dynamis, ma la direzione va proprio nel senso della potenza.

 

 

  1. 8.    Vite multiple

 

“Al di sopra della realtà c’è la possibilità. La comprensione della fenomenologia risiede unicamente nel cogliere questa in quanto possibilità.”

                                   M. Heidegger (1957, p. 38)

 

In verità, Slavoj Žižek ha attaccato la credenza secondo cui la nostra modernità di fatto allarghi il ventaglio delle vite possibili.  Ha scritto che i film che si imperniano su vite possibili – a cominciare da It’s a Wonderful Life [La vita è meravigliosa] di Capra fino a Sliding Doors, passando per la serie Back to the Future di Zemeckis – in realtà non ci aprono veramente alla possibilità di vivere vite altre da quelle che ci sono toccate (Žižek & Daly 2006, p. 131): sono opere di propaganda per farci accettare la vita che ci è toccata in sorte, vogliono convincerci che non c’è vita migliore di quella che stiamo vivendo già[16]. È vero, come ricorda Žižek, che la stragrande maggioranza delle persone ha la possibilità di scegliere la propria vita solo in teoria: di fatto, i più seguiranno il binario già tracciato dalle loro origini genetiche e sociali. Peraltro, ricerche hanno dimostrato che la nostra vita sociale è decisa per lo più in anticipo: se un giovane a 25 anni guadagna la somma x, è altamente prevedibile la somma che guadagnerà a 55 anni o oltre. Nel corso della vita si guadagnerà sempre di più, ma in proporzione con quanto si guadagnava all’inizio (insomma, solo di rado si cambia classe sociale, per lo più siamo pre-classificati). Del resto questa determinazione non è un prodotto del capitalismo, è stato sempre così: il libero arbitrio ci consente scelte dopo tutto alquanto marginali. Ma il punto non è il fatto che la gente non abbia tante scelte (e che di solito finisca col gradire la vita che le è toccata in sorte, in una sorta di stoico amor fati): quel che conta è l’orizzonte prospettico entro cui noi viviamo la nostra vita obbligata. E l’orizzonte è oggi regolato dalla norma del “puoi essere altro da ciò che sei, puoi essere ciò che desideri essere”[17], ovvero, ognuno deve pensare di aver scelto la propria esistenza. Insomma, anche in carcere si è liberi… E in effetti Adriano Sofri[18], non chiedendo la grazia al presidente della Repubblica, non ha scelto di restarsene in carcere per un bel po’? Conta che questa scelta sia reversibile, almeno in prospettiva – non si tratta quindi di una reversibilità de facto, ma de intellectu. Oggi tutti siamo eticamente soggetti a pensare la nostra vita attuale come revocabile – anche se, di fatto, non la revocheremo mai. E quindi dobbiamo pensare il fatto di aver vissuto una sola vita come il nostro limite, come una rinuncia, spostando magari sulla nostra prole l’attualizzazione di possibilità che non siamo riusciti a implementare. Da qui l’ideale genitoriale modernista: se siamo nel ceto intellettuale, per lo più diciamo di desiderare che i nostri figli facciano un mestiere diverso dal nostro.

Hegel è stato il primo, in filosofia, ad affermare l’apertura virtuale del mondo come l’essenza stessa della nostra realtà. Come scrive Nancy (1997, p. 15), “Hegel è il testimone dell’ingresso del mondo in una storia in cui non si tratta più semplicemente di cambiare forma, sostituendo una visione e un ordinamento con un’altra visione e con un altro ordinamento, ma il cui unico punto di vista e d’ordinamento è quello della trasformazione stessa”. Questa trasformazione – che oggi assume varie maschere: flessibilità, globalizzazione, mobilità, multiculturalità, innovazione (o rivoluzione) permanente, ecc. – è la regola hegeliana di funzionamento della forma di vita del XXI° secolo.

 Il primo vero dramma sull’uomo moderno è il Peer Gynt di Ibsen: la storia di un uomo che vive diverse vite, anche se alla fine della vita sceglie di tornare al proprio focolare originario. Il tema peer-gyntiano della vita plurima è divenuto filosofia di massa grazie a Siddharta (1922) di Hermann Hesse. Questo Vangelo letterario delle ultime generazioni narra la storia di uno che sceglie di vivere varie vite (monaco ascetico, buddhista, amatore libertino, commerciante, crapulone, ecc.).  E quando alla fine ne sceglie una definitiva – il barcaiolo – è in relazione a un fiume: la vita è un fiume. La sola scelta che merita di essere definitiva è... il fiume multibionico delle vite possibili[19]. Ricordare, come Žižek fa, che si tratta qui di un ideale (di ideologia) non di realtà, manca l’essenziale: questa realtà – che come ogni realtà attualizza sempre poche possibilità – è pur sempre il risultato, la ricaduta di un universo umano pensato attraverso il virtuale. Il multiculturalismo, su cui tanto oggi si dibatte, è solo una variante debole del nostro multibionismo. Una realtà in cui, come dicono molti riprendendo Nietzsche (1955, p. 963), “il mondo vero finisce con il diventare favola”. Eppure la dura realtà che ci coarta e ci fiacca è proprio il risultato del nichilismo contemporaneo – compreso quello novecentista – che vuol ridurre il mondo a virtualità, cioè a pura potenza.

          Certamente questa prescrizione del “vivi tutto in modo revocabile” è pesante, molti non la reggono. Forse per questa ragione, da anni, vanno di moda i tatuaggi: in un mondo dove tutto deve essere reversibile, ci si infligge un marchio irreversibile. Il cambiamento chirurgico di sesso richiesto dai “trans” è un altro esempio di desiderio di marchi irreversibili. In un universo dominato dalla regola “và dove ti porta il cuore”, per antifrasi emerge forte un desiderio di subire qualcosa anche quando non lo si desidera più. Si desidera un tatuaggio per contestare la legge del desiderio: emerge il desiderio dell’irrevocabile.

 

 

  1. 9.     L’accecamento dell’anima bella

 

In definitiva, la denuncia del novecentista – di cui l’orrore per la famiglia è un capitolo – va vista come una chiave proprio per capire come questo mondo che egli denuncia sia diventato realtà. Il novecentista commette lo stesso errore che Hegel (1807, C § 658-668) aveva descritto come tipico dell’anima bella (die schöne Seele). Quest’anima denuncia un mondo di cui essa però fa parte, e quindi non si rende conto fino a che punto essa è in parte artefice di quel mondo che denuncia. Come dice Badiou, il novecentismo è “Idea contro realtà” – ma la realtà attuale, che esso non cessa di denunciare, è anche prodotto delle idee, tra cui proprio quelle del novecentista. La sinistra novecentista si accanisce contro un mondo che, in gran parte, è anche il proprio prodotto. I novecentisti denunciano il Male – il capitalismo, la famiglia, il Kitsch di massa, persino la democrazia a suffragio universale - senza rendersi conto che essi hanno contribuito attivamente, e contribuiscono, all’edificazione di questo Male.

          Secondo i novecentisti, il mondo della Restaurazione avrebbe come slogan “Denaro, Famiglia, Elezioni”. In effetti, i conservatori occidentali assumono questo trio come il loro slogan (ma abbiamo visto che l’Occidente è conservatore solo nella misura in cui resiste, per così dire, a sé stesso). Potremmo però mostrare che questo triplice primato, nella forma che oggi esso assume, è anche il prodotto del novecentismo (e quindi del marxismo, della psicoanalisi, delle avanguardie, ecc.).

          “Denaro”. Se dobbiamo dar credito alle teorie oggi più convincenti (sulla scia delle tesi di Georg Simmel), il danaro è inscindibile dal desiderio: ogni prezzo misura di fatto, nell’ambito di un sistema collettivo di scambi, la combinazione tra la desiderabilità di un bene e la sua difficoltà a disporne. Un mondo in cui prevale il denaro è di fatto un mondo che ha accettato la profezia “Dio è morto”, dove contano solo i nostri desideri e quindi gli strumenti (primo, il danaro) per soddisfarli. Del resto, rivendicare l’eguaglianza non si risolve nello spingere chiunque a essere “più eguale”, ovvero a cercare di fare più soldi? Per il novecentismo la diseguaglianza più grave resta quella economica: quindi l’economia, il danaro, restano cruciali. E del resto, ci vuole molto denaro per praticare, in un modo non disastroso, l’amour fou.

Famiglia”. Non è più quella patriarcale, ma la famiglia egualitaria (uomo e donna sono pari, i rapporti con i figli sono improntati all’indulgenza e alla vischiosità affettiva): la chiamerei famiglia provvisoria. Nessuno scommette più sull’eternità dell’amore in una coppia. Come abbiamo visto, le famiglie reali nei nostri paesi iper-industrializzati sono proprio il risultato – in gran parte non voluto, come tutti i risultati di una volontà – della lunga propaganda anti-familista che da Platone giunge fino a Badiou e oltre[20]. La tipica coppia modernista ama ripetere “Stare insieme è una scelta che si rinnova ogni giorno”. Ovvero, ogni giorno, già al mattino, si consulta l’oracolo del desiderio: esso decide se devo restare ancora con l’altro o no.

Elezioni”. Queste sono l’implementazione di quella democrazia che i novecentisti hanno invocato come Idea e per la quale si sono battuti contro i totalitarismi (compreso quello staliniano, talvolta). Certo sono delusi dall’istituzione elettorale perché hanno constatato che quando il popolo vota, solo di rado premia i politici che piacciono ai novecentisti; il Popolo dell’Idea novecentista non coincide con il popolo reale che lavora, pensa, desidera e vota. Questo popolo reale tende a votare più per la destra che per la sinistra. Eppure il Novecento è stato il secolo in cui si è imposto in tantissimi paesi il suffragio universale (esteso alle donne, ai poveri, ai più giovani) e sarebbe fallace negare che questa affermazione del suffragio universale non sia stata anche un effetto del novecentismo.

Certo il novecentismo vuole che l’eguaglianza non si limiti ai diritti civili, vuole che nella famiglia i ruoli siano ancora più equamente condivisi tra uomo e donna, vuole che il danaro sia meglio distribuito, ecc. Ma questo volere più implica che esso vuole proprio quello che c’è, anzi, esso vuole di più quello che c’è. Il novecentismo non riconosce il proprio prodotto: non si accorge del fatto che il primato del denaro (invece delle gerarchie trascendenti), della famiglia egualitaria e provvisoria (al posto di quella patriarcale) e delle elezioni (al posto dell’autorità dei sovrani e degli apparati ideologici) è anche una ricaduta dell’impatto che il novecentismo ha avuto nel Novecento.

          Ad esempio, l’amore libero – corollario dell’amour fou – non ha prevalso in Occidente? Ovvero, non consideriamo la donna libera di avere una vita promiscua né più né meno di come, una volta, era libero di averla solo un uomo?[21] Il “libero amore” è un corollario non solo del progetto occidentale di rendere i sessi eguali per diritti e opportunità, ma anche della divinizzazione del desiderio.

           Non ricordo in quale punto dei Quaderni Gramsci se la prende con i “liberamoristi”: noi del partito, diceva, sudavamo sette camice per convincere della serietà delle nostre proposte, riuscivamo a raccogliere donne e lavoratori in una riunione, ma poi arrivavano i liberamoristi a promuovere le loro farneticazioni... e tutto finiva a puttane, diremmo oggi. Eppure oggi è chiaro che in sostanza non hanno vinto i marxisti come Gramsci ma proprio i liberamoristi: le masse d’Occidente non ne vogliono sapere della proprietà pubblica di tutti i mezzi di produzione, ma che si possa andare a letto con chi si vuole, questo sì, è risultato convincente[22].

Ma questo mondo, che non piace né ai novecentisti né a me, è pur sempre il nostro mondo, ovvero il mondo che anche noi abbiamo contribuito a edificare. Basta con l’anima bella! Ogni critica del mondo in cui viviamo, quindi, sarà inevitabilmente un’autocritica.

 

Bibliografia

 

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[1] Contributo al convegno “La famiglia in disordine”, a cura di Associazione di Studi e Ricerche in Campo Freudiano – Firenze, 20 maggio 2006.

 

[2] Titolo di un film di Denys Arcand (2003) su come gli ex-sessantottini vedono il mondo d’oggi.

 

[3] Questo libretto di Badiou è prezioso, dato che sintetizza in modo essenziale, inequivocabile, quel che chiamo Novecentismo. Purché si inverta di segno tutto quel che dice: per Badiou dovremmo tornare al Novecentismo, per me invece occorre prenderne finalmente le distanze. Dovremmo avere la forza di uscire dal XX° secolo.

[4] Frase ripresa da Hölderlin (1974, p. 335).

[5] Oggi per Occidente intendiamo anche paesi molto orientali: Israele, Giappone, Taiwan, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda.

[6] Sto parlando qui del paradigma culturale condiviso, non della realtà che ne risulta. Di fatto esistono cacciatori di dote, arrivisti, calcolatori che scelgono il matrimonio – più o meno consapevolmente – come un buon affare. Ma il “matrimonio saggio”, promosso dalle autorità fino al Settecento, oggi è praticato solo ipocritamente: ufficialmente, ci si sposa unicamente per desiderio amoroso. Comunque, questa filosofia del desiderio sovrano è, almeno in parte, un trionfo dell’etica matrimoniale cristiana: la chiesa, soprattutto cattolica, per secoli ha sempre predicato il matrimonio fondato sul mutuo consenso, criticando sempre il “matrimonio combinato”. Mentre re e imperatori tendevano a sostenere il principio del “matrimonio secondo ragione” (quindi combinato dai genitori), la chiesa sosteneva il principio del matrimonio secondo desiderio amoroso. Dopo tutto, il nostro romanticismo deriva dal cristianesimo. Vedi Flandrin (1976, 1981).

[7] Titolo di un film di Almodòvar (1987).

 

[8] L’Italia è ancora molto indietro su questo ma, a meno che la storia non compia una svolta spettacolare, si americanizzerà anch’essa. Nei paesi dove resta forte l’influsso cattolico, o più arretrati industrialmente, vige ancora la pratica delle “doppie vite”: il marito tradisce la moglie o viceversa, ma il matrimonio non si spezza. Il coniuge sa delle “storie” dell’altro ma fa finta di non sapere. Ovvero, la famiglia tradizionale viene sottratta, almeno in parte, alle alee del desiderio: anche quando il piacere erotico viene a un certo punto cercato fuori della famiglia, quest’ultima non è messa in questione per questo. In ogni caso, secondo alcune recenti ricerche, pare che il 10% degli italiani abbiano un’idea sbagliata su chi sia il loro padre o la loro madre: proprio per preservare la famiglia, si è prodotta un’ampia discrasia tra famiglia anagrafica e parentela reale.

[9] Il crescente orrore per la pedofilia sembra andare però in contro-tendenza: il pedofilo è criminalizzato anche se il bambino ha acconsentito, almeno in apparenza. Se oggi la pedofilia ci preoccupa tanto, è perché essa si “mette storta” rispetto ad alcuni presupposti fondamentali della nostra etica.

 

[10] Per questa promozione filosofica del desiderio, vedi ad esempio Ciaramelli (2000).

 

[11] E ci si chiede continuamente se questo circolo è vizioso (nevrotizzante) oppure virtuoso (ermeneutico).

 

[12] Il problema era già chiaro ai tempi di Socrate (vedi ad esempio Eutifrone). Il dio vuole il bene perché appunto è il bene, oppure è bene ciò che il dio vuole? Il dibattito filosofico sull’etica ripercorre oggi quasi lo stesso dilemma; solo che al posto del dio c’è l’Altro.

 

[13] “Si tratta di non lasciare, dietro di sé, che i sentieri del desiderio si aggroviglino” (Breton 1974, p. 28). Ahimè, si aggrovigliano sempre!

 

[14] I novecentisti lamentano che questa omologazione tra uomini e donne non è completa – ancora donne sono pagate meno degli uomini per un lavoro eguale, ancora chi ha più potere (politici, imprenditori, banchieri) è per lo più maschio, ecc. Ma anche qui il novecentista pare volere di più quel che già c’è o si sta facendo, non contesta radicalmente quel che c’è. Il novecentismo è un modernismo che ha la caratteristica di essere sempre scontento di sé.

[15] E del resto alcuni circoli pedofili si stanno sempre più organizzando come una lobby che si batte per il civil right di desiderare i bambini, non certo di violentarli.

 

[16] Invece, come abbiamo visto, questo non vale per Sliding Doors.

 

[17] Per decenni il divulgatore filosofico più popolare di questa concezione “libertaria” fu Jean-Paul Sartre: la libertà illimitata della coscienza umana che lui afferma è una denuncia del “peccato” per eccellenza secondo i modernisti, credere cioè che NON abbiamo scelto la nostra vita.

 

[18] Lo scrittore e giornalista Adriano Sofri fu condannato nel 1997 come uno dei mandanti dell’uccisione del commissario Luigi Calabresi nel 1972.  

[19] Sul significato di questi due testi, di Ibsen ed Hesse, per la modernità, vedi Benvenuto (2002).

[20] Lungi dall’essere un’invenzione modernista, l’anti-familismo percorre l’intera cultura occidentale, almeno a partire da Platone, ed è proclamato negli stessi Vangeli. “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Luca 12 : 51-53 ). "E ognuno avrà nemici anche nella propria famiglia. Perché chi ama suo padre o sua madre più di quanto ama me non è degno di me, chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me" (Matteo 10: 35-36). Gesù sembra disprezzare i legami familiari non meno di Badiou.

 

[21] Del resto, è proprio questo che fa più orrore agli islamici, anche moderati: non accettano la libertà soprattutto sessuale delle donne. Il nocciolo dello scontro tra le civiltà occidentale e islamica riguarda le donne.

 

[22] E’ vero invece che sul piano economico le differenze si sono allargate e non ridotte: è un corollario del liberismo deregulated che ha prevalso dagli anni 80 in poi. Su questo punto il novecentismo sembra aver fallito. Ma se avessimo qui lo spazio per approfondire questo punto, potremmo mostrare che la diseguaglianza è proprio un effetto matematico dell’espansione economica: ogni espansione esalta le differenze, non le riduce (al contrario, l’impoverimento globale tende a comprimere le differenze). Ma l’espansione economica – che non risparmia i paesi del Terzo Mondo – è da vedere anche come espansione del Desiderio: si produce di più non solo grazie alle innovazioni tecnologiche, ma anche perché si desidera di più, sempre di più. La molla della produzione è, in fin dei conti, il desiderio di avere di più.

 

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