Flussi di Sergio Benvenuto

Democrazia stocastica14/lug/2016


          Un sociologo mio amico sta elaborando un suo progetto di Democrazia Stocastica: “perché, anziché eleggere i rappresentanti del potere legislativo ed esecutivo del nostro paese, non estrarli a sorte?” Siamo davvero sicuri che dei cittadini sorteggiati si dimostrerebbero governanti peggiori dei politici professionisti che costituiscono la “classe politica”? Dopo tutto, la giustizia americana, che si basa su giurati estratti a sorte, non funziona peggio di quella italiana basata su ferree carriere giuridiche.

          Una proposta del genere – che prima o poi verrà fatta propria da qualche partito, ci scommetto – riflette un bisogno di democrazia diretta: il nocciolo del populismo. In Italia avevamo un termine più bello, qualunquismo. Proviene da L'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, partito che nel 1946 ottenne il 5,6% dei voti alle politiche. Giannini attaccava la classe politica nel suo insieme, difendeva l'everyman; soprattutto reclamava meno tasse.  E il tema anti-tasse era il Leitmotiv dei qualunquismi, prima che i leader liberalpopulisti dagli anni 80 in poi se ne impadronissero. In effetti, pagare le tasse e fare il servizio militare sono i due momenti in cui il singolo in modo evidente deve dare qualcosa alla res publica.

          Populismo e qualunquismo sono uno stile politico che si costruisce sulla base di una rigida dicotomia tra “il Popolo Puro” e “l’élite corrotta”: rifiuto della classe politica e primato della società civile. L’idea di dare il potere alla gente qualunque deriva da Rousseau: rifiuto della rappresentanza politica, partecipazione immediata e direi ingenua della gente al governo. Riprendendo la distinzione classica di Tönnies tra Gesellschaft (società) e Gemeinschaft (comunità), possiamo dire che il populismo diffida della Gesellschaft ed esalta la Gemeinschaft come fonte della legittimità politica. E’ “il popolo” come insieme della gente comune, che non si aliena nelle macchine ermetiche e opache della politique politicienne. La battuta di Reagan - "il governo non è la soluzione, è il problema" - ha sintetizzato in modo brillante questo rifiuto delle élites politiche. In Francia, i crescenti attacchi agli enarques – i laureati dell’ENA (Ecole Nationale d’Administration) che formano gran parte della classe governativa francese – esprimono impulsi analoghi. Da qui un certo anti-europeismo: l’Europa è identificata al potere remoto degli eurocrati di Bruxelles e dei banchieri di Francoforte. La centralizzazione tecnocratica del potere contraddice l’esaltazione populista dell’Heimat localista. Il populista diffida del cosmopolitismo sradicato degli intellettuali, si fida solo di ciò che “mi è vicino”, che “capisco subito”; aborrisce la complessità problematica, sogna una politica acqua e sapone. Il populismo rigetta quello che la sociologia moderna considera la sua più grande conquista: che le soluzioni dei problemi non sono semplici, che, insomma, la società è un aggeggio maledettamente complicato.

          Nel 1994 il 52% dei norvegesi bocciò con un referendum l’entrata nell’Unione Europea che pur era auspicata dalla quasi totalità della classe politica norvegese. Quando chiesi ad amici norvegesi perché avessero votato contro l’Europa, mi dissero “i nostri politici vogliono entrare in Europa perché così si sentiranno più importanti, meno provinciali. Ma noi gente comune non abbiamo nulla da guadagnarci.” Anche in Norvegia ha trionfato l’Uomo Qualunque.

          Il qualunquista è di solito una persona incompetente di politica, che bada solo agli affari propri, ma che, a un certo punto, anziché nascondere con scorno questa propria incompetenza, ne fa una bandiera politica, ed esige una società governata da "gente qualunque come me". Una certa dose di populismo è sempre presente in ogni società democratica; ma il fatto nuovo di questi anni è che una quota crescente di gente senza coscienza politica... sta prendendo coscienza politica di sé. Fioriscono i partiti degli anti-partito, i politici dell’anti-politica.

          Ora, per uno di sinistra un populista è essenzialmente "uno di destra" che non sempre sa di esserlo. Negli anni 60, se uno mi diceva "sono apolitico", davo per scontato che votasse per qualche partito di centro-destra; e mi sbagliavo di rado. Perché essere di sinistra è credere nel primato della Politica - qui la maiuscola ci vuole. Ma di fatto il populismo si può combinare a tutte le ideologie politiche. Prospera oggi così la variante “liberalpopulista, che paradossalmente associa ultraliberismo, individualismo, consumismo, darwinismo sociale e xenofobia” (Alain de Benoist).

          Anche se oggi si classificano i partiti populisti nella estrema destra, questi di fatto sfuggono alla dicotomia sinistra/destra, asse portante di quella tradizione parlamentare e politica che il populismo appunto rifiuta. Del resto il desideratum populista di fondo – l’eliminazione della rappresentanza politica e il potere dato alla “gente qualunque” – viene spesso fatto proprio anche da movimenti di estrema sinistra. Parte dell’anarchismo radicalizza temi populisti: viva il “mondo della vita” popolare, a morte le macchine statali! La cometa maoista univa a un marxismo iper-semplificato temi squisitamente populisti: da qui la pletora di riferimenti al popolo, “Servire il Popolo”, ecc. Gli sterminî dei Khmer Rossi in Cambogia furono una deriva estrema del populismo asiatico, che celebrava le campagne sane contro le città corrotte. Attorno al 1968 l’appello alla democrazia diretta – anche se entro un frame linguistico marxista – divenne un Leitmotiv. E spande un odore populista persino l’esaltazione di Gramsci della cultura nazional-popolare.

 

          Il suffragio universale si è affermato solo nel Novecento. Con esso, tanta gente che ha opinioni politiche molto vaghe ha avuto accesso al voto. In un primo tempo, il suffragio universale ha premiato i partiti "popolari": socialisti, comunisti, cristiani, nazionalisti (anche perché alle loro origini questi partiti usarono moduli populisti). Ma le élites dirigenti di questi partiti non si erano formate nell'agone elettorale: le loro radici, marxiste o confessionali, affondavano in organizzazioni pre-suffragio-universale. Per molti decenni il voto della "gente qualunque" ha delegato la gestione del potere a queste élites cristiane, marxiste, nazionaliste.

          Ma da qualche anno le cose stanno cambiando. I Qualunque sempre più reclamano di essere governati da gente qualunque come loro. Il che però genera paradossi a non finire: come avere dei governanti che non siano politici? Ho voglia di sognare che un salumiere diventi primo ministro: nella misura in cui diventerà primo ministro, sarà un politico e non più un salumiere. Difficile evadere dal double bind. Il populista sogna una circolarità quadrata dove il badare ai propri interessi particulari coinciderebbe - miracolosamente - con gli interessi di tutti.

          “Le cose vanno male perché i politici rubano”: questa è la visione popolare della Storia. Karl Popper denunciò la concezione cospiratoria della storia, il populismo ha invece una concezione corruttoria della storia: tutto andrebbe bene se non ci fossero i politici corrotti. I Qualunque non vedono che la politica si fa in una rete complessa e non trasparente di relazioni e negoziazioni, e che quindi ogni politica non può mai essere lineare.

          Questa negazione della complessità porta a una fortissima personalizzazione della politica: trionfa il body language del demagogo carismatico. Oggi la gente si aspetta meno dalla politica ma, proprio per questo, chiede di più al politico come star mediatica. I Qualunque scelgono come leader il politico che appare più vicino a loro, soprattutto stilisticamente. Non l’esperto, ma il seduttore. Così, il programma politico del leader populista o ha aspetti puramente negativi (un programma solo contro) o si risolve in overpromising, in promesse iperboliche di salvazione.

          Il Qualunque vuole essere salvato soprattutto dalla minaccia della Politica nella misura in cui questa insidia la sua tranquillità. Come scriveva Giannini nel suo "Manifesto": "l'Uomo Qualunque, stufo di tutti, il cui solo ardente desiderio è che nessuno gli rompi più le scatole"[1]. La politica “rompe” perché è complessa, difficile da leggere e interpretare, esige conoscenze sofisticate – il populista ha invece bisogno di semplificazioni, “noi contro loro”, come nel tifo sportivo. Si dirà: “ma tutte le ideologie, di destra e di sinistra, sono una riduzione della complessità”. E’ vero, ma le grandi ideologie tradizionali si pensano come teorie complesse spiegate alle persone semplici - il populismo invece si pensa come teoria semplice della gente semplice. Ed è questo bisogno di semplificazione a spingere a una visione di sé come Popolo. L'utopia populista presume una coincidenza tra la volontà generale e la volontà di ciascuno; una società dove si farebbero contenti tutti, senza scelte laceranti.  "La Politica non mi rompa le scatole!", diceva Giannini. La Politica che rompe è quella che obbliga a scelte dolorose, talvolta eroiche. Ad esempio, quando Churchill prometteva ai britannici "solo lacrime, sudore e sangue" agiva nel senso alto della Politica: ai singoli posso chiedere dolore, purché ciò vada a vantaggio del pubblico nel suo insieme. La pretesa quadratura populista del cerchio individualista rimuove non solo la complessità del sociale, ma anche la dimensione tragica della politica: che non c'è sempre armonia prestabilita fra il mio interesse privato e quello generale. Insomma, per parafrasare la Thatcher, “il popolo non esiste”.

          Il sogno di una democrazia diretta che faccia a meno di ogni burocrazia e classe politica è non meno utopica del comunismo, dei movimenti radicali degli anni 60 e 70, e oggi dei no-global. E le utopie, quando vincono, si sa, producono disastri.

 

          In questi anni di crescente immigrazione in Occidente, la rivolta populista si coniuga sempre più all’angoscia xenofoba. L’anti-islamismo oggi ha preso il posto dell’anti-semitismo come paradigma del disprezzo-paura dell’Estraneo. Che cosa fa del Qualunque una preda favorita della propaganda xenofoba? Prima di tutto perché le persone economicamente e culturalmente povere – vivaio che alimenta il voto populista – si sentono più esposte al pericolo di quanto non si sentano le persone economicamente e culturalmente ricche. La “ricchezza” (in tutti i sensi) ammortizza in parte l’angoscia: smorza l’impatto dell’altro minaccioso, perché chi è colto e/o ricco vive entro un orizzonte ampio, comprensibile. Chi vive invece nel proprio “piccolo” non riesce a dare senso e prospettiva all’incombenza insensata di un altro-da-sé inquietante.

          Xenofobia e politico-fobia si fondano spesso su un’esaltazione dell’identità del proprio focolare. Non importa se questo focolare identitario assuma forme nazionali (come nel lepenismo o haiderismo), o regionali (come nella Lega Nord) o etno-linguistiche (come nei separatismi basco o corso) o nazional-religiose (come nell’irredentismo nord-irlandese): la mistica del Popolo – come categoria della “gente qualunque” – esige una identificazione forte rispetto a tutto ciò che è “estraneo”. Il populismo esalta la Gemeinschaft coesa e unita in una focolarità indubitabile, senza arzigogoli. L’immigrato è funesto come il politico, il tecnico, il burocrate, il piccolo criminale: tutte figure estranee al Focolare, virus estranei che si intrufolano nella casa comune, agenti decostruttivi di un’unità a un tempo trascendente e viscerale. “Con tutti questi extracomunitari, non ci sentiamo più a casa nostra”. Il populismo esprime il backlash spontaneo alla globalizzazione tecnologica ed economica del pianeta: contro i flussi deterritorializzati che spappolano le identità storiche, il populismo fa quadrato - o meglio, crea quadrato – attorno alla Casa. Rivendica il sogno di un’identità vernacolare inalienabile senza crepe interne - con l’uscio di casa ben chiuso col chiavistello, nella lunga notte della storia.

 

Pubblicato come ”Le paure della gente qualunque”, Ideazione, 4/2002, pp. 71-76.

 


[1]"L'Uomo Qualunque", 27 dicembre 1944, p. 4.

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