Flussi di Sergio Benvenuto

LACAN E LA FILOSOFIA (1994)05/lug/2017


Conversazione di RENATO  PARASCANDOLO

con SERGIO BENVENUTO

 

 

Renato Parascandolo - Jacques Lacan è nato il 13 aprile del 1901 ed è morto nel 1981. Come è diventato lo psicanalista francese più noto e più influente nel mondo?

 

Sergio Benvenuto – In un primo tempo la Francia era uno dei paesi europei che resisteva più a lungo all'influenza del pensiero freudiano, a differenza di altre nazioni come l'Inghilterra o gli Stati Uniti. Questa ostilità e resistenze erano certo dovute al fondo spiritualista e anche cartesiano della cultura francese; era l’epoca in cui dominava la filosofia di Bergson. Lacan invece dagli anni cinquanta e sessanta in poi è riuscito, grazie al suo fascino personale e all'influsso del suo pensiero, a rendere la psicoanalisi una delle culture dominanti nel mondo francofono, almeno dagli anni sessanta fino a oggi. Non è stato il solo artefice di questa conversione alla psicoanalisi, ma certo è stato il principale. Gli è riuscita insomma una grande traduzione culturale, nel senso che ha reinterpretato i concetti fondamentali del pensiero di Freud adattandoli alla sensibilità, allo stile e anche alle mode del pensiero francese dagli anni quaranta ai settanta, tratti di cui egli stesso – una persona di vastissima cultura - era profondamente imbevuto.

La sua storia detta in breve: egli veniva da una famiglia cattolica molto tradizionale, ha compiuto studi di medicina e psichiatria, ma nello stesso tempo ha sempre frequentato corsi di filosofia alla Sorbona. Ha avuto una precoce celebrità quando con la sua tesi di dottorato, nel 1932, pubblicò delle poesie di una sua paziente paranoica, ormai famosa, che chiamò Aimée. Queste poesie e il commento che lui ne fece interessarono molto i surrealisti, in auge negli anni trenta in Francia. Costoro pubblicarono le poesie di questa sua paziente nella rivista di Paul Eluard, per cui Lacan fu considerato, in un certo senso, “lo psichiatra surrealista”. Effettivamente lo stile, la sensibilità, anche certi aspetti ideologici del surrealismo hanno avuto un influsso decisivo sul giovane Lacan.

Un'altra influenza fondamentale nella formazione di questo psicanalista-filosofo avviene negli anni trenta attraverso l'insegnamento del filosofo russo Alexandre Kojève, che per tre anni a Parigi tenne dei seminari, rimasti celeberrimi, sul pensiero di Hegel. A questi seminari ha partecipato il fior fiore della gioventù culturale francese dell'epoca: basti fare i nomi di Claude Lévi-Strauss, Raymond Aron, Georges Bataille, Maurice Merleau-Ponty, Jean-Paul Sartre, Raymond Queneau, ecc., insomma molti dei campioni della grande cultura francese nei decenni successivi. Questi seminari, pur essendo durati poco, di fatto hanno introdotto Hegel nel pensiero francese, anche se attraverso l’interpretazione che Kojève dava della filosofia hegeliana - interpretazione influenzata da Heidegger di Essere e tempo, e in un primo tempo considerata quindi ‘esistenzialista’. E’ in quegli anni che nasce a Parigi, appunto, quell’atteggiamento culturale divenuto poi noto come ‘esistenzialismo’. Ma in effetti l’influsso di Kojève avrà un impatto molto più lungo, arriverà fino allo strutturalismo e post-strutturalismo francesi, di cui Lacan a torto o a ragione è considerato un rappresentante.

Quindi, le due grandi influenze, oltre Freud, che hanno formato il giovane Lacan sono il surrealismo francese con la sua scrittura e la sua ansia di rivolta linguistica e politica, e l'approccio a Hegel attraverso l'insegnamento in particolare di Kojève e dello storico e teorico della scienza Alexandre Koyré, il quale aveva invitato Kojève a tenere a Parigi seminari su Hegel.

 

Eppure Lacan emerge sulla grande scena solo negli anni sessanta, quando nel 1966 vengono pubblicati i suoi Ecrits (Scritti), raccolti e curati da Jacques-Alain Miller. Questa pubblicazione ha avuto veramente l’effetto di un tornado nella cultura francese dei ruggenti anni sessanta. All’epoca era preminente lo strutturalismo, attraverso l'impatto soprattutto dell’antropologo Lévi-Strauss e del critico letterario Roland Barthes. Solo allora Lacan diventa uno dei maîtres à penser, un maestro della cultura francese di quegli anni. Il suo celebre Seminario, che tenne dal 1953 fino alla morte, frequentato al principio da poche persone, cominciò a essere seguito dal tout Paris, da migliaia di giovani, intellettuali, signore de la crème, che accorrevano ad ascoltarlo.

Per quanto riguarda i suoi rapporti con la psicoanalisi ufficiale: Lacan era stato uno dei capostipiti della psicoanalisi in Francia sin dagli anni 30, eppure egli entra ben presto in rotta di collisione con la direzione dell'Internazionale Psicoanalitica che in quel periodo, a differenza di oggi[1], era dominata soprattutto dagli analisti di lingua inglese, in particolare americani. Egli entra in un conflitto crescente con l’establishment, che nel 1963 sfocia in pratica nella sua espulsione dall’Internazionale, nel senso che egli non è più autorizzato a insegnare ufficialmente psicoanalisi ai suoi allievi. Egli fonda allora una sua scuola, "Ecole Freudienne de Paris", Scuola Freudiana di Parigi. Egli stesso poi scioglierà questa scuola, un anno prima della morte, nel 1980: allora dirà che il tentativo di fondare una scuola, una istituzione che formi gli analisti, era stato per lui un fallimento. Nel 1981 muore di cancro.

Oggi i suoi allievi, le scuole lacaniane, costituiscono uno dei movimenti più influenti nell'ambito della psicoanalisi nel mondo, anche se in modo non omogeneo. L’influenza del pensiero di Lacan è viva soprattutto nei paesi di lingua latina, e alcuni maligni dicono che alligni soprattutto nei paesi cattolici; infatti, oltre ai paesi francofoni, ha un grande seguito nei paesi dell'America Latina di lingua spagnola e portoghese. La malignità consiste nell’insinuare che il suo influsso in culture cattoliche non è casuale: ci sarebbe una segreta ispirazione cattolica nel suo pensiero (a differenza della predominanza ebraica nella psicoanalisi delle aree tedesca e angloamericana). Oggi comunque il suo influsso è crescente nei paesi di lingua inglese – in verità più tra gli studiosi dei campus che tra gli analisti praticanti.

L’influsso del lacanismo nei paesi anglofoni è per molti versi sorprendente perché in realtà il pensiero di Lacan è profondamente legato alla storia della cultura francese nel periodo che va dagli anni trenta agli anni settanta; perciò la sua traducibilità in culture diverse da quella francese è talvolta difficile. Da notare poi che gli Scritti di Lacan – meno i seminari - sono particolarmente ardui da leggere. Gli Scritti sono stati tradotti in italiano da Giacomo Contri e pubblicati da Einaudi.  Malgrado lo sforzo dei traduttori, questi scritti restano impervi, soprattutto per chi non abbia familiarità con il pensiero di Freud e con la linea filosofica che va da Hegel a Heidegger, fino a Derrida.

 

 

Parascandolo - Lacan amava sottolineare la continuità del suo pensiero con quello di Freud. Ma al tempo stesso sappiamo che ha introdotto moltissime novità nel pensiero psicoanalitico. Possiamo in maniera concisa riassumere queste novità?      

 

Benvenuto – In effetti, Lacan innalzò la bandiera di un Ritorno a Freud. Egli si voleva, in un certo senso, il vero interprete di Freud contro le deviazioni della teoria e pratica analitiche. Questo suo ritorno a Freud era in polemica con le tendenze prevalenti negli Stati Uniti, a New York in modo particolare, a opera della cosiddetta Ego-psychology, psicologia dell'Io. Lacan ha cominciato così la sua battaglia contro la corrente dominante nella psicoanalisi internazionale, rivendicando un ritorno a Freud, anche se un Freud letto ovviamente secondo la sua particolare ottica. Difatti lui ha sempre tenuto a dare il nome di freudiane – piuttosto che psicoanalisi - alle scuole e al movimento che lui ha creato.

Questo Ritorno a Freud è contestato perché alcuni giustamente pensano che egli abbia innovato fin troppo rispetto al maestro viennese. In cosa consiste questa sua innovazione?

Direi che il suo contributo ha un valore prima di tutto filosofico, dato che il pensiero di Freud si presta a un equivoco. Freud veniva dalla cultura del positivismo austro-germanico ottocentesco, il quale pensava di fondare la psicologia, come generalmente le scienze umane, sul modello della fisica e delle scienze della natura. Alla fine dell’Ottocento le cosiddette scienze dell’uomo - non solamente la psicologia, ma anche la sociologia, l'economia ecc. – si volevano degli adattamenti del modello della fisica di Newton all'uomo. Freud, formatosi in una cultura positivista, pensava che la psicoanalisi fosse essenzialmente psicologia, che il suo metodo clinico fosse un metodo scientifico, che essa fosse una Scienza dell'Anima. Lacan introduce invece questa idea importante: che la psicoanalisi non è esattamente una scienza, anche se dalla scienza deriva, ma è una pratica-disciplina di tipo completamente diverso, in quanto è una pratica e teoria che si fonda sul linguaggio. Certamente anche per Freud il linguaggio era molto importante, però Lacan introduce, rispetto a Freud, l'idea – che diventa quasi slogan, e che ormai ogni lacaniano inalbera come il proprio distintivo, e cioè - che “l'inconscio è strutturato come un linguaggio”. Questo Freud non lo aveva mai detto, ma è questo il programma di Lacan.

Che l'inconscio sia strutturato come un linguaggio può sembrare strano, dato che quando si pensa all’inconscio freudiano si pensa per lo più a qualcosa piuttosto di affettivo o emotivo. Di fatto la frase di Lacan è ispirata dalla linguistica strutturale, che proprio in quegli anni, cinquanta e sessanta, si imponeva nei paesi latini. Lacan era molto interessato agli studi linguistici e si è rifatto al pensiero di Ferdinand de Saussure, il linguista svizzero considerato fondatore della linguistica strutturale all’inizio del 900. In un certo senso Lacan ha preso in prestito i suoi concetti fondamentali dalla linguistica dominante negli anni quaranta, cinquanta, sessanta, e cioè la linguistica strutturale di matrice saussuriana, ripensata dal russo Roman Jakobson, suo amico. Però bisogna guardare oltre al riferimento alla linguistica della sua epoca, che è ormai lontana decenni da noi. In effetti, la linguistica predominante oggi non è più quella strutturale di derivazione saussuriana, ma quella di Noam Chomsky; una linguistica completamente diversa, alla base di molte teorie cognitivste.

Lacan ha notato comunque una cosa molto semplice: che la psicoanalisi è un metodo di cura attraverso il linguaggio. Non opera cioè con farmaci, non interviene sul corpo, l'analista non tocca il suo paziente, non usa sostanze chimiche; l’analisi è semplicemente parola, ha l’aria di una conversazione. E in un certo senso Lacan ha sfruttato quest'uovo di Colombo dicendo: se l'analista cura semplicemente attraverso le parole, attraverso il linguaggio, questo significa che l'inconscio è esso stesso fondamentalmente linguaggio. E' un'operazione concettuale che assomiglia - dato anche il legame che Lacan ha sempre avuto con Hegel - all'operazione che la filosofia idealista tedesca aveva compiuto nell'ambito del pensiero occidentale. In fondo Hegel ha detto: il nostro approccio con la realtà avviene sempre attraverso concetti - noi parliamo del tavolo, che certamente è reale, solo perché abbiamo il concetto di tavolo. Quindi, conclude Hegel, noi filosofi possiamo accontentarci del concetto di tavolo, non abbiamo bisogno di considerare il tavolo concreto. Lacan in un certo senso ha compiuto un'operazione analoga: siccome l'analista opera attraverso il linguaggio, possiamo pensare che l'inconscio è fatto fondamentalmente di linguaggio, che quindi esso è strutturato come linguaggio o al limite è esso stesso linguaggio.

Ora, questa idea linguistica era presente già in qualche modo in Freud. Quando Freud nel suo primo libro fondamentale, "L'interpretazione dei sogni" del 1900, avanza l’interpretazione psicoanalitica dei sogni, indubbiamente egli elabora una linguistica di fatto: interpretare un sogno significa mettere in forma verbale delle immagini oniriche. Però Lacan accentua alcuni aspetti che altri freudiani trascuravano. Porto un esempio: Freud a un certo punto cita un sogno dell'imperatore Alessandro Magno, quando assediava la città di Tiro in Fenicia. Alessandro Magno sognò che un satiro danzava su uno scudo. Allora, come si faceva all'epoca, interrogò l'interprete dei sogni - anche nel mondo antico c'erano degli interpreti di sogni, che non erano chiamati analisti, ma erano persone pagate per svolgere questa funzione. L'interprete dei sogni rispose che il satiro significava in realtà "sa Túros" che in greco significa “Tiro è tua”. Il senso di questo sogno era Tiro è tua, cioè hai già vinto la battaglia. E in effetti, dopo poco tempo Alessandro conquistò Tiro.

Consideriamo una certa tendenza post-freudiana - per esempio la scuola di Jung. Ebbene, un analista junghiano di fronte a un sogno del genere fatto dal paziente Alessandro Magno direbbe: “bisogna capire il satiro cosa significava nella cultura greca, i rapporti di questa figura con altre figure arcaiche, che cosa significava il satiro rispetto al sesso, cosa significa in generale lo scudo, ecc.”. Occorre insomma ritrovare i significati archetipici, come dicono gli junghiani. Invece Freud dice che l'interpretazione giusta era proprio quella dell'antico interprete fenicio, era cioè semplicemente un gioco di parole, un rebus. E questo vale pe ri sogni in generale. Perciò Freud consigliava ai suoi allievi di risolvere rebus, in Italia diremmo di comprare spesso la Settimana Enigmistica.

E' questo che Lacan mette in grande evidenza: che interpretare è qualcosa che avviene sempre al livello del linguaggio. Cioè, non bisogna essere molto profondi quando si interpreta, bisogna restare un po' alla superficie, e direi soltanto alla superficie.  Questo è l'aspetto direi filosofico della novità che Lacan porta rispetto a Freud:  ha accentuato certi aspetti di Freud a cui i filosofi contemporanei sono particolarmente sensibili. Soprattutto elimina un equivoco che nel freudismo sicuramente c'è: l'idea che Freud avrebbe arricchito il mondo interiore, la vita interna, l'inconscio come qualcosa che è dentro l'uomo, nel suo profondo. Lacan, analista avvertito filosoficamente, interpreta l'inconscio freudiano nel senso che l'inconscio è soprattutto fuori dell’anima.

Sartre scrisse, non a proposito di Lacan, ma di Husserl, che Husserl ci aveva liberato della vita interiore. Si può dire la stessa cosa di Lacan: ha contribuito a liberarci della vita interiore. Ha detto che l'inconscio non è qualcosa che sta dentro il corpo, e nemmeno dentro la nostra anima. Oggi immaginiamo miticamente il corpo come una specie di borsa o sacco, e dentro questo sacco tondeggiante c'è l'anima e quindi dentro di essa le pulsioni, gli istinti, i desideri ecc. L'inconscio per Lacan invece è qualcosa fuori dell’essere umano, e questo fuori per Lacan è sostanzialmente quello che lui chiama l'Altro con la A maiuscola, e che per lui è linguaggio. Il linguaggio è l’Altro, e l’Altro è anche linguaggio, per una ragione estremamente semplice: che quando noi nasciamo, certamente nasciamo dentro il corpo di nostra madre, ma il linguaggio che ci viene insegnato ci viene sempre dall'esterno. Il linguaggio ci viene da nostra madre, da nostro padre, da chi è attorno a noi. Quindi l'inconscio ci viene, da un punto di vista lacaniano, sempre da fuori.

Anche altri sono sensibili a questa idea che l'inconscio non è dentro ma fuori di noi, però tendono a dare un’interpretazione ‘interpersonalista’ dell’inconscio. Vi sono alcune scuole, formate anche da analisti, che tendono a ridurre l'inconscio a dinamica intersoggettiva: l'inconscio è il mio rapporto con l'altro, con l'altra persona. Non è questo il senso che Lacan dà a questa esteriorità fondamentale dell'inconscio. Lacan non pensa che la base dell'inconscio, del nostro rapporto con gli altri, sia l'interpersonalità. Lui pensa l’inconscio in un senso molto più vicino a quello di Hegel: l'inconscio ci viene da una alterità assoluta, che è quella del linguaggio.

Qual è il punto di partenza della reinterpetrazione di Freud da parte di Lacan? Abbiamo detto che Lacan pensa di essere fedele al senso di Freud. Il bambino piccolo spesso piange. E che cosa gli adulti e la madre in primo luogo fanno con questo bimbo che frigna? Dicono “tu piangi perché hai fame”, oppure “piangi perché hai freddo”. La madre interpreta il perché di questo pianto usando parole. E ora, nell'istante in cui la madre parla come l'Altro con la A maiuscola (Altro per il bambino), compie due operazioni simultanee, ma che per Lacan sono profondamente connesse: da una parte insegna il linguaggio al bambino – qui la lingua italiana - ma nello stesso tempo interpreta il desiderio del bambino, traducendolo in parole italiane. Ora, non sapremo mai perché il bambino frignava, ma la madre, in quanto Altro, gli fornisce quello che Lacan chiama un significante. L’adulto dice: “hai fame”, “vuoi latte” per esempio, dà un significante, cioè fissa il desiderio del piccolo in una rappresentazione. Questa rappresentazione viene chiamata da Lacan – che prende il termine dalla linguistica strutturale - un significante. Questo farà sì che in realtà il bambino potrà percepire il proprio desiderio profondo – quello che causava il suo pianto - soltanto attraverso il linguaggio della madre, in una alienazione fondamentale (alienazione è un concetto hegeliano). Egli può sapere qualcosa del proprio desiderio perché un altro gli ha detto che cosa lui desidera. Ma allora che cosa lui veramente volesse resterà sempre un mistero; e questo mistero di ciò che l'uomo desidera o di ciò di cui egli gode prima che la madre parli, cioè prima di ogni linguaggio, è quello che Lacan chiama "le manque", la mancanza. In Freud certamente era sempre presente questa mancanza, ma lui non la aveva esplicitata come fa Lacan. Lacan pensa che la mancanza strutturi l'inconscio, e quindi – nella misura in cui l’inconscio è la soggettività stessa - strutturi lo stesso soggetto umano.

 

 

Parascandolo – Però alcuni pensano che al tempo stesso Lacan abbia spiritualizzato in qualche modo la teoria freudiana, la quale insisteva, piuttosto, sulla forza delle pulsioni, sugli affetti, sulla libido ecc.   

 

Benvenuto - Sì, effettivamente questa è una critica che si fa spesso a Lacan. Si dice che Lacan è cartesiano perché accentua molto il lato del linguaggio, della scrittura, del logos, della logica. L'ultimo Lacan è molto interessato alla matematica e alla logica. In realtà, non è vero che Lacan non dia importanza alle emozioni e agli affetti - quando egli parla del sesso come di qualcosa connesso a significanti ovviamente non trascura il fatto che il sesso sia qualcosa che si vive in modo emotivo, viscerale.

Vorrei raccontare un aneddoto. Siccome Lacan ha praticato per più di 40 anni a Parigi ed era un analista celebre, molte persone sono passate per il suo studio; sono fiorite allora tutta una serie di leggende, di aneddoti più o meno veri. Ce ne è uno che mi ha particolarmente colpito. Lacan aveva una pratica abbastanza originale: lui non pensava che le sedute dovessero essere di quarantacinque, cinquanta minuti – come fanno gli analisti ortodossi – per lui le sedute non dovevano essere a durata fissa. Gli analisti freudiani generalmente fanno delle sedute con tempo fisso come faceva lo stesso Freud, il quale vedeva i suoi pazienti per cinquanta minuti. Lacan pensava invece che la seduta dovesse essere variabile, cioè, a seconda di come l'inconscio emerge o non emerge, una seduta poteva durare o cinque minuti o anche due ore, non ci poteva essere nessuna regola prefissata. E' l'analista a decidere a che punto tagliare, dando così una punteggiatura al discorso del paziente. Così, di fatto, i suoi pazienti venivano un po' alla rinfusa, senza un orario preciso, lui li faceva entrare e uscire senza una regola rigida. Allora molti di questi pazienti si incontravano nel bar sotto casa sua in rue de l'Université.

Ci sono dunque due pazienti che una volta si incontrano, e uno esce da una seduta. Questi è molto triste perché la seduta è andata male; chiunque ha fatto analisi sa che ci sono sedute da cui si esce tristi, depressi. L'altro amico, anche lui paziente di Lacan, gli chiede perché, e il primo si lamenta di non essere riuscito a dire quello che veramente voleva dire. Il secondo gli dice: "ma allora, perché non torni da Lacan e non gli dici quello che avevi da dirgli?" Questa cosa con Lacan era possibile, perché appunto era molto flessibile. Il primo allora: "ottima idea, torno su e chiedo un'altra seduta". Il secondo resta nel bar, a Parigi si passano lunghe ore nei bar, i bistrots, a pensare, a leggere o a scrivere. Dopo un po' torna il suo amico e questa volta appare giulivo; si vede che la seduta questa volta era andata bene. Il secondo dice: "Allora?" E lui: "Appena sono entrato, gli ho subito detto: ‘Je me sens vraiment foutu’,  ‘io mi sento veramente fottuto’. e Lacan ha risposto: ‘Lei si sente? Lei è fottuto!’". E così effettivamente tutto era andato bene.

Non so se questo aneddoto sia vero, però mette a fuoco qualcosa di importante nello stile di Lacan; egli era profondamente estraneo all'idea che la materia prima e ultima dell’analisi fossero i sentimenti, gli affetti, il sentirsi fottuto, o vincente, o perdente, ecc... Lui pensava che la materia prima e ultima fosse invece il Reale, inteso come quello che si è, non il modo di sentirsi. Stranamente proprio Lacan, che insiste sul fatto che l'inconscio è strutturato come linguaggio ed è quindi, al limite, esso stesso linguaggio, non lo dice per dire che tutto si può interpretare in qualsiasi modo; al contrario, alla base non ci sono i sentimenti e gli affetti ma il Reale. Certamente sentimenti e affetti sono importanti, ma come un epifenomeno di qualcosa che avviene a livello del Reale. E che cosa Lacan intende per Reale?

Ora, un altro dei cavalli di battaglia della teoria di Lacan - e in questo egli innova rispetto a Freud - è la sua distinzione tra tre registri, come lui li chiama: l'Immaginario, il Simbolico e il Reale. Il linguaggio comune ci dice abbastanza bene cosa è reale e cosa è immaginario: il reale è quello della realtà esterna a noi, l'immaginario è quello che avviene nella nostra testa. Si suppone che Freud abbia costruito una teoria dell'immaginario e non del reale. Lacan introduce un terzo elemento, o registro, il Simbolico, equivalente al linguaggio. Ora, lui pensa che la specificità dell'inconscio sia proprio effetto di questo registro Simbolico, dei simboli, dei significanti del linguaggio. Senonché l'introduzione di questo Simbolico come terzo registro (o terzo incomodo) modifica l'essenza anche degli altri due, del Reale e dell'Immaginario, che pur crediamo di conoscere talmente bene attraverso il linguaggio comune. In realtà l'analista che ci fa sviscerare il nostro Simbolico è anche il guru che ci fa accedere al Reale.

Il Reale per Lacan è il Reale della nostra mancanza, del fatto che noi  non siamo. Prima ho portato l'esempio del bambino che piange e che a un certo punto apprende verbalmente dalla madre che frigna perché ha fame; in questo modo egli fissa simbolicamente il suo desiderio nel significante "aver fame". Ma questo è un tradimento della vera ragione per cui egli piangeva, che sarà per sempre il suo Reale irraggiungibile, pur essendo la causa del suo piangere. Ogni essere umano che piange, e quindi proprio perché piange, va dall'analista, cerca sempre questo Reale, la causa reale del proprio dolore. E ovviamente le emozioni, cioè la sofferenza, l'angoscia, la depressione, sono effetti di questo Reale. Per Lacan dunque le emozioni sono importanti, ma sono effetti, non cause. Mentre una tendenza post-freudiana afferma che cause dell'inconscio sono gli affetti, Lacan dice che gli affetti sono effetti – se mi si permette il gioco - mentre le cause sono l'alienazione che il bambino subisce nell'istante in cui gli si insegna il linguaggio e così entra nel mondo dello scambio intersoggettivo. Semplicemente questo.

 

 

Parascandolo - Lei ha paragonato l'inconscio di Lacan a quello di Jung, considerando l'aspetto collettivo ed esteriore all'individuo di questi due inconsci. Qual è però una differenza tra i due?

 

Benvenuto - Si potrebbe dire che Lacan è l'opposto di Jung. Possiamo considerare sia Jung che Lacan allievi di Freud, anche se Jung, come sappiamo, ha litigato e rotto con Freud, mentre Lacan viene dopo Freud (Freud e Lacan non si sono mai incontrati nella loro vita). Effettivamente questi due allievi sono contrari. Perché per Jung l'inconscio viene messo in relazione con alcuni significati fondamentali che Jung considera significati extrasoggettivi, universali. A proposito dell'esempio che ho fatto prima del sogno del satiro, uno junghiano direbbe che il satiro deve essere interpretato non come una fantasia personale di Alessandro, ma come qualcosa che lui aveva ereditato attraverso una trasmissione inconscia di padre in figlio, di madre in figlio. Ciascuno eredita un archetipo così come eredita un gene. Jung tende a mettere in rilievo tutto ciò che è invariante e invariabile nella storia: l'inconscio collettivo è un inconscio che ereditiamo, è un inconscio di significati per cui il satiro della tradizione greca ha a che fare con altre figure, per esempio con certe figure della cultura indiana, bantù, ecc.

Invece Lacan mette in rilievo non il significato più o meno universale, ma quello che lui chiama il significante, che è sempre particolare – abbiamo detto che riprende i suoi concetti dalla linguistica di Saussure. La linguistica strutturale si basa su una certa teoria del segno linguistico in generale, per cui esiste un doppio versante del segno: da una parte il significante, dall’altra il significato. Il suono tavolo è il significante, mentre il tavolo indicato come tale nella lingua italiana è il suo significato. In realtà Lacan ha messo tutto l'accento sul versante del significante, in opposizione a Jung che invece mette tutto l’accento sul versante del significato. Secondo Lacan, in effetti, l'inconscio è un insieme di significanti, i quali però non sono tutti alla stessa stregua, non sono tutti sullo stesso piano. Ci sono alcuni significanti che hanno un valore privilegiato, e qui Lacan riprende qualcosa che è completamente assente in Jung e anche in certi post-freudiani: Lacan dà un grande rilievo alla teoria sessuale di Freud. Questo sembra strano perché tutti sanno che la celebrità di Freud nella nostra cultura è connessa all’aver detto che l'inconscio umano ha a che fare soprattutto con impulsi e desideri sessuali. Eppure molti analisti dopo Freud hanno attutito, in vari modi, questo primato della sessualità, dando sempre più ai concetti sessuali di Freud un senso e una connotazione metaforici: dicono che è sì sessualità, ma sessualità nel senso dell'emozione, della affettività, degli stati mentali, ecc. Così quello che conta sempre di più per i freudiani ufficiali è il rapporto affettivo con la madre, il fatto che la madre sia più o meno buona, che funzioni come madre in modo empatico, che riesca più o meno a fantasticare, e conta sempre meno il rapporto sessuale e in genere qualsiasi cosa che abbia a che fare con i genitali. E’ come se gli analisti dopo Freud abbiano voluto schivare la battuta sardonica di Vladimir Nabokov, il quale diceva che la psicoanalisi è spalmarsi miti greci sui genitali.

Certamente il concetto di sessualità in Freud è molto ambiguo, e lui rompe con Jung proprio sulla questione della sessualità, almeno ufficialmente questa fu la ragione della loro rottura. Lacan è uno dei pochi post-freudiani che dà invece alla dottrina sessuale di Freud il massimo rilievo; nel senso però che la sessualità si articola nel linguaggio. Lacan pensa che, poiché l'inconscio è fondamentalmente linguaggio, esiste allora un inconscio perché noi siamo esseri parlanti. Per il solo fatto che parliamo abbiamo un inconscio, che è un effetto del linguaggio; per questa ragione non possiamo parlare di un inconscio degli animali, ad esempio, anche se gli animali domestici certo risentono del nostro inconscio. Esistono però alcuni significanti fondamentali, cruciali, come il Nome del Padre e il Fallo in modo particolare. Poi il suo pensiero più tardo arriva a formulare delle specie di slogan, potremmo dire, che assomigliano un po' a certe frasi a effetto dei guru orientali. Una delle frasi enigmatiche del Lacan anziano era: "non c'è rapporto sessuale". Cosa diavolo voleva dire con questo? Si possono dare varie interpretazioni di questo slogan perentorio. Egli voleva dire, riprendendo certi concetti di Freud, che la differenza sessuale non è inscritta nel nostro inconscio, nell'inconscio c'è solamente il fallo. Con questo Freud non voleva dire che l'inconscio è maschile, voleva dire che nell'inconscio abbiamo a che fare soltanto con il Fallo, e che quindi quelli che sono gli atti sessuali, i rapporti tra i sessi reali, non sono qualcosa che abbia un'inscrizione inconscia, ma sono qualcosa che avviene in un certo senso in modo artefatto. Potremmo dire che gli atti sessuali sono bricolage. Siccome non ci sono due sessi psichici, ma i rapporti sessuali comunque avvengono, c'è qualcosa di artificioso, di surrealista potremmo dire, nei rapporti tra i sessi. Sapete che gli artisti surrealisti facevano dei bricolage, dei montaggi di oggetti disparati.

Questo è un concetto importante in Lacan: il fatto che la sessualità umana non corrisponda a una differenza sessuale istituita, indubitabile. Per quel che riguarda la sua differenza con Jung: quest’ultimo pensava che la differenza tra maschio e femmina abbia una base inconscia, che egli chiamava animus e anima. L'animus è la parte maschile dell'anima, diciamo così, e l'anima è la parte femminile dell'anima. Maschile e femminile hanno cioè per lui un'inscrizione inconscia. Lacan, da freudiano, pensa che esista una sola sessualità, articolata attorno al Fallo e ai suoi scambi, e che quindi ogni essere umano, maschio o femmina, si debba arrangiare, come si direbbe a Napoli, attorno a questi significanti traballanti. Gli atti sessuali sono un’arte di arrangiarsi. In questo senso la re-interpetrazione lacaniana della teoria sessuale di Freud è alquanto originale.

 

Parascandolo - Cosa vuol dire Lacan, quando insiste sulla natura squisitamente etica dell'inconscio freudiano?

 

Benvenuto - Uno dei migliori seminari di Lacan si chiama "L'etica della psicoanalisi". Come ho detto prima, effettivamente Lacan è doppio: c'è un Lacan che parla, un Lacan insegnante che fa dei seminari, i quali sono durati per oltre venti anni; e c’è un Lacan che scrive. Ho detto che il Lacan che scrive è un Lacan molto difficile da capire, usa un linguaggio molto barocco; invece il Lacan che insegna, come si vede dalle trascrizioni dei suoi seminari curate da Miller, è abbastanza chiaro. Si capisce veramente in qual modo Lacan abbia insegnato Freud e la psicanalisi a un'intera generazione di analisti francesi. E uno di questi seminari, uno dei più interessanti filosoficamente, è il seminario sull'etica. In realtà egli torna continuamente sull'etica, nel senso che effettivamente pensa che la psicoanalisi sia una disciplina di tipo particolare, che non ha niente a che vedere con la psicologia intesa come una applicazione del modello della fisica all'anima dell'uomo. Il suo interesse filosofico consiste essenzialmente in questo: che in realtà l'analista non è uno scienziato dell'anima, ma una persona che rappresenta una istanza etica per il soggetto. E' solamente quando rappresenta un'istanza etica che il paziente o l'analizzante può in qualche modo cambiare, quello che noi chiamiamo in senso medico ‘guarire’. Che cosa egli vuol dire con questo?

Abbiamo detto che una delle novità portate da Lacan è questa idea che la psicoanalisi abbia a che fare soprattutto con il linguaggio. E questo che cosa implica? Quando Lacan dice che l'inconscio è linguaggio, è strutturato come un linguaggio, egli dice che lo strumento con cui l'analista e il suo paziente lavorano, cioè la parola, non è un puro strumento che permette di conoscere qualcosa di esterno al linguaggio, ma l'inconscio stesso è linguaggio. Cioè, lo strumento con cui analizzo l'inconscio fa parte della stessa sostanza dell'inconscio. Mutatis mutandis, quello che l'analista fa non è una pura conoscenza oggettiva dell'inconscio. Cioè, il fatto che l'analizzante o paziente parli dei suoi problemi, delle sue impossibilità e impotenze, delle proprie mancanze, non è un puro oggetto dell'analisi, ma l'analisi stessa fa parte di questo processo. Ora questa è una differenza fondamentale rispetto alle scienze della natura, il cui modello è fondamentalmente la fisica. Sappiamo che la fisica, da Galileo e Newton in poi, ha avuto quel grande sviluppo che conosciamo proprio perché in realtà ha elaborato degli strumenti che sono assolutamente diversi dal proprio oggetto. Il fisico che si occupa del calore non si esprime in termini di calore, parla in termini matematici, usa un linguaggio formale e non differenze di calore. Il fisico usa il linguaggio e i suoi oggetti sono in realtà oggetti fisici: calore, processi elettromagnetici, costellazioni, ecc.

Ora questo per Lacan, buon hegeliano, non può avvenire nel caso della psicoanalisi, in quanto essa ha a che fare con l'ethos nel senso greco, cioè con il costume delle persone. Però questo ethos non è il proprio oggetto, perché la stessa psicoanalisi è etica; e soltanto nella misura in cui la psicoanalisi è etica che essa può influire sull'ethos, cioè sul costume e sull’agire delle persone. Così come il fatto che la psicoanalisi è linguaggio fa sì che essa possa influire sull'inconscio in quanto esso stesso linguaggio. Potremmo dire, al limite, che c’è un isomorfismo tra il linguaggio e il suo oggetto in psicoanalisi: il soggetto e l'oggetto dell’analisi hanno la stessa forma. E questa è la differenza essenziale tra psicoanalisi e scienze.

Ciò non toglie che il Lacan più anziano pensi che la matematica sia estremamente utile, oltre che alla fisica, anche alla psicoanalisi. Lacan si è occupato di matematica e ha sviluppato un suo approccio geometrico abbastanza particolare. Non è però la matematica di Galileo: egli pensa che la scienza dell'inconscio abbia bisogno di strumenti che provengono da una branca della matematica che si chiama topologia. La topologia non è metrica, non usa quantità: studia soprattutto i rapporti fra spazi, la struttura interna degli spazi. Se consideriamo l'inconscio come uno spazio - che non possiamo certo definire mentale, ma uno spazio dispiegato dal linguaggio - lo possiamo allora descrivere in modo topologico. Dei “registri” ho parlato prima: Reale, Immaginario e Simbolico sono tre registri collegati fra loro matematicamente. Lacan pensa che sia possibile matematizzare l'inconscio, ma non è la stessa matematica usata dalla fisica, perché è una matematica etica, cioè una matematica che opera sugli oggetti che formalizza.

Uno dei concetti fondamentali di Lacan è comunque questo: che, contrariamente a quello che si pensa, l'analista è un agente etico, perché in qualche modo inizia il paziente - cioè il soggetto - ad accettare il proprio desiderio; come dice Lacan, ad essere fedele al proprio desiderio. Questa è un'interpretazione abbastanza originale di Freud. Freud pensava che i sintomi psicopatologici siano dovuti soprattutto a quella che lui chiamava rimozione: la rimozione è dovuta al fatto che il soggetto non vuole saperne del desiderio inconscio, cioè della propria verità soggettiva. La guarigione o comunque una certa forma di rasserenamento, di superamento della nevrosi, può accadere quando il soggetto realizza che attraverso la rimozione ha tradito il proprio desiderio, che è stato cioè infedele alla propria soggettività. Per Lacan l'azione etica dell'analisi consiste non nel costringere, reprimere o frenare il desiderio, ma nel far sì che il soggetto possa finalmente accettarlo.

E questo è anche uno degli obiettivi polemici di Lacan. Prima ho detto che Lacan si è affermato con la bandiera del ritorno a Freud;  ho anche detto che questo ritorno a Freud era in funzione polemica al trend allora dominante nel mondo americano e newyorkese, la ego-psychology. Questa psicologia dell’Io ha dato un'interpretazione di Freud secondo cui la funzione etica dell'analista sarebbe quella di rafforzare l'Io. L'Io è in larga parte il nostro io cosciente, razionale, che controlla e si controlla, e ha a che fare con tre nemici: con le proprie pulsioni interne, col mondo esterno che gli chiede prestazioni forti e difficili, e con le esigenze morali e gli scrupoli etici. Quindi l'analista deve rafforzare questo Io per far fronte a questa tripla minaccia, delle pulsioni, della morale e del mondo esterno- questo ultimo è essenzialmente gli altri esseri umani. Sostanzialmente la funzione etica dell'analisi è dunque una funzione di adattamento dell'Io alla realtà sociale in cui viviamo.

Ora Lacan si afferma fin dai suoi primi atti pubblici con una protesta etica contro l'idea che l'analisi e l'analista siano dei rappresentanti della società esterna e dell'adattamento a essa. Egli riafferma un'etica secondo cui l'analista in realtà deve ricordare al soggetto che egli non può fare a meno invece del proprio inconscio, al desiderio come lo chiama lui, a cui egli deve rassegnarsi. Desiderio - désir -  è una traduzione francese che Lacan fa del termine freudiano "libido", che denota un desiderio fondamentalmente sessuale, ma non solo; la libido o desiderio è la stoffa, la materia prima del nostro inconscio. La fedeltà al desiderio è dunque la sola via di superamento del sintomo, non si tratta certamente di un adattamento a imperativi sociali esteriori.

Questa è la specificità dell'etica di Lacan, che possiamo mettere in rapporto alla sua formazione culturale.  Essa, come ho detto, risale agli anni trenta, subisce l'influsso di una interpretazione “modernista” del pensiero di Hegel attraverso l’insegnamento di Kojève, ed è sensibile alla provocazione surrealista. Il surrealismo era un movimento soprattutto artistico, ma anche politico e ideologico che si richiamava a Freud, oltre che a Marx, e che tendeva a rivendicare una spontaneità fondamentale dell'inconscio. Si poteva agire cioè artisticamente, si poteva fondare una società nuova, non reprimendo o in qualche modo indirizzando l'inconscio secondo vie utili per sopravvivere, ma bisognava invece lasciare parola libera all'inconscio. Credo che questa formazione del giovane Lacan abbia improntato tutta la sua etica successiva: non quindi l'analista come uno che rappresenta l'ideale razionale dell'Io scientifico e saggio, ma come uno che lasci parlare l'inconscio, che fa sì che il soggetto accetti il desiderio e anche i costi che esso impone.

 

 

Parascandolo - Più si procede nella descrizione del pensiero di Lacan, più ci accorgiamo che il Ritorno a Freud è una sorta di eufemismo. Già abbiamo visto nel pensiero filosofico questa differenza tra il positivista Freud e l'idealista Lacan. Ma anche sul piano dello stile, si può ricordare che Freud ebbe, credo, un unico premio in vita sua e fu un premio letterario, il premio Goethe per la letteratura, per la sua scrittura chiara ed evidente. Invece la scrittura di Lacan era barocca e astrusa. Allora come la mettiamo con questo Ritorno a Freud?  

 

Benvenuto - Potrei rispondere in modo clinico. Potrei eliminare cioè il problema dicendo che Lacan aveva dei problemi a scrivere, delle difficoltà personali, e quindi gli scritti che ne risultavano - egli non ha scritto moltissimo - effettivamente risultano difficili. Non c'è niente di male, abbiamo una tradizione intellettuale illustre, da Socrate fino a molti moderni, di pensatori, o scienziati che avevano molte difficoltà a scrivere; a cominciare da uno dei maestri di Lacan, Ferdinand de Saussure, il  fondatore della linguistica strutturale: egli non ha scritto praticamente mai niente. Quello che sappiamo dei pensieri di Saussure lo sappiamo attraverso gli appunti dei suoi allievi. I libri su Hegel di un altro maestro di Lacan, Kojève, sono in realtà delle ricostruzioni a partire dagli appunti presi da altri. Possiamo dire che gran parte del pensiero di Lacan è un pensiero insegnato, raccolto da Jacques-Alain Miller, il quale diventò suo genero. Quindi possiamo dire che come per Socrate, Saussure, Kojève e altri, anche quello di Lacan è soprattutto un pensiero che si è trasmesso attraverso l'insegnamento.

Però sarebbe un modo troppo facile di eliminare il problema, anche perché non possiamo affatto dire che Lacan fosse un cattivo scrittore, tutt’altro. Sono convinto che alcune pagine degli Ecrits, gli Scritti, resteranno nella letteratura francese del Novecento. Alcune pagine sono particolarmente brillanti. Lacan era un eccellente scrittore come lo era Freud, anche se diversamente. Anche qui notiamo l’influsso su Lacan del surrealismo e di George Bataille.

Ma soprattutto credo che la scelta stilistica di Lacan dipenda proprio dalla sua etica, che ha a che fare con quello che si è detto or ora. Lacan non crede cioè in una scissione fra il linguaggio e l'oggetto, non crede che si possa parlare dell'inconscio con un linguaggio razionale o razionalizzatore. Egli cerca una scrittura che sia adatta a esprimere l'inconscio, che non lo rappresenti e lo congeli dall’esterno. Questa è una critica che si può fare persino ai surrealisti i quali, quando scrivono le poesie surrealiste, si lasciano andare al loro inconscio; però quando teorizzano sul surrealismo spesso usano la sintassi normale e scrivono in un linguaggio quasi accademico. In un certo senso Lacan è voluto andare oltre gli stessi surrealisti, ha voluto creare un linguaggio teorico che fosse adatto al suo tipo di oggetto, e questo non dovrebbe stupirci. Effettivamente, quando Galileo incominciò a descrivere il mondo fisico, compreso il mondo delle stelle o delle masse e delle accelerazioni con linguaggio matematico, egli risultò, a quell'epoca, alquanto scandaloso. Infatti, prima di Galileo la tradizione aristotelica scindeva in modo netto il mondo fisico e il mondo della matematica. Per la tradizione occidentale prima di Galileo la matematica si occupava delle cose immutabili, dei concetti puri, dei numeri, delle stelle, mentre il mondo fisico sublunare era costituito dal mondo delle cose che mutano continuamente e dove tutto è solo approssimativo. L'impresa temeraria di Galileo fu di scommettere sul fatto che il linguaggio delle cose eterne, la matematica, era adatto a descrivere il mondo fisico dove tutte le cose mutano. Lacan ha cercato di fare un po' la stessa cosa, pur tenendo conto degli ambiti diversi: egli ha scommesso sul fatto che il barocchismo può essere un modo per descrivere rigorosamente l'inconscio.

Negli ultimi anni Lacan lavorò molto sulla scrittura di James Joyce, di cui si è occupato anche come caso clinico, in quando James Joyce certamente aveva un inconscio abbastanza particolare, era psicotico potremmo dire. Ma Joyce era anche un grande scrittore, e Lacan era convinto che Joyce fosse riuscito, attraverso la propria scrittura, a descrivere il mondo attraverso uno strumento freudiano, potremmo dire una scrittura del lapsus, sfruttando al massimo giochi di parole, allusioni, distorsioni delle parole, ecc. Questo soprattutto in Finnegans Wake. Il fatto di usare un linguaggio gongorista, normalmente ambiguo, per Lacan era un modo per parlare veramente dell'inconscio, non per aggirarlo – ovvero per far parlare l’inconscio nella teoria, piuttosto che parlare teoricamente dell’inconscio. Se l'inconscio procede per associazioni, per metonimie e metafore - le due figure retoriche fondamentali che, secondo gli strutturalisti, regolano il flusso del linguaggio – allora, pensava, bisognava scrivere anche sull'inconscio in questo modo. Altrimenti si tradiva l'inconscio; parlare dell'inconscio con il linguaggio delle scienze positive equivaleva per lui a una rimozione. Quindi, dietro l'illeggibilità della sua scrittura c'è l'esigenza etica di trovare un tipo di scrittura coerente col proprio oggetto.

 

 

Parascandolo - Per concludere, in uno degli scritti di Lacan, vi sono due pagine dedicate al concetto della verità: c'è la verità che parla. Ecco, è strano ritrovare questo concetto di verità all'interno di una discussione psicoanalitica. Che cos'era la verità per Lacan?

 

Benvenuto - Lacan si è occupato spesso della verità, ha scritto anche un saggio intitolato "La scienza e la verità". Ovviamente Lacan cerca di ridefinire il concetto di verità in senso freudiano. Lacan è convinto che Freud non sia semplicemente uno specialista degli affetti. Lacan in un certo senso ha idealizzato Freud: egli pensa che Freud abbia creato una vera spaccatura nel pensiero occidentale, e che le altre scienze debbano avere a che fare con la psicoanalisi. Questo è molto importante perché, negli ultimi anni soprattutto, anche in Italia si è diffuso un dibattito molto vivace: ci si chiede se la psicoanalisi, quella freudiana in particolare, sia una scienza o no. Possiamo dire che Lacan si è occupato di questa questione della scientificità e quindi della verità scientifica della psicoanalisi, ribaltando però dialetticamente la questione. Egli ha detto: "Cosa potrebbero essere le scienze, fisica compresa, se tenessero conto del contributo di Freud?" Il problema non è tanto di verificare fino a che punto il pensiero di Freud sia scientifico, cioè se si adatti al modello della fisica - la scienza principe che oggi abbiamo - ma cosa potrebbe essere la stessa fisica se tenesse conto delle verità di Freud. Quindi il concetto di verità di cui egli si occupa non è la verità secondo una lunga tradizione metafisica che nasce con Platone e Aristotele, e che tende a vedere la verità come "adaequatio rei et intellectus", cioè adeguazione o adeguatezza del pensiero alla cosa. Lacan, quando parla di verità, parla sostanzialmente della verità del desiderio o del godimento.

Facciamo un esempio molto semplice. Noi continuamente nella vita cerchiamo degli oggetti, per esempio quando ci innamoriamo abbiamo l'impressione che la donna di cui ci innamoriamo, dell'uomo per una donna, sia l'oggetto che andavamo cercando da sempre, sin da quando eravamo bambini. E a un certo punto ci possiamo rendere conto, anche grazie all'aiuto del nostro analista, che in realtà questo oggetto non era il vero oggetto. In questo senso Lacan parla di verità, in un senso non meno concreto di quello della scienza. Noi abbiamo spesso la sensazione che il nostro oggetto, le nostre scelte di un certo oggetto, non siano autentiche, non siano il nostro vero oggetto. Lacan si interessa della verità soprattutto sul versante della autenticità e non tanto dell'adeguazione di una rappresentazione alla cosa reale. Che cosa noi intendiamo quando ci rendiamo conto che per esempio la donna che amiamo non è il nostro vero oggetto, ma è uno schermo del nostro vero oggetto? Questo vuol dire che la psicoanalisi dietro l'oggetto falso ci indica un oggetto più vero, la vera donna, o qualcosa che non era nemmeno una donna. Perché lo stesso Freud ci insegna che i nostri primi oggetti sono oggetti infantili, ma, proprio in quanto sono infantili, sono oggetti che non ritroveremo mai più. Compiere l'autentica scelta dell'oggetto non significa tornare al vero oggetto originario - che sarebbe in un certo senso la madre o il seno della madre - semplicemente perché la madre ormai è vecchia oppure è morta, o anche semplicemente ha operato il tabù dell'incesto, siamo passati per il complesso edipico e sappiamo che non possiamo tornare più al nostro oggetto originario. Quindi in realtà l'etica e la funzione dell'analista non sono certamente quelle di indicarci praticamente il vero oggetto originario, ma di mostrarci che esistono degli oggetti più veri degli altri: ci sono degli oggetti-maschera, degli oggetti che la tradizione analitica chiama narcisistici, e degli oggetti più veri.

Che cos'è l'oggetto narcisistico? Lacan ha dato un contributo importante, accettato universalmente anche dagli analisti non lacaniani, proprio sul narcisismo. Uno dei suoi primi contributi fu sulla teoria del narcisismo: propose quella che lui chiama la fase dello specchio. Lacan mise in evidenza il fatto che il bambino a sei, sette, otto mesi, passa per una fase in cui lui si innamora della propria immagine allo specchio. Il bambino scopre lo specchio, cioè si rende conto che quella figura che vede nello specchio non è un altro bambino, ma è lui stesso, e incomincia a flirtare un po' come un innamorato, comincia a corteggiare questa immagine di cui è molto contento. Per Lacan questo è molto importante perché è alla base di quello che poi lui chiamerà il registro immaginario: cioè sostanzialmente pensa che il nostro rapporto con gli altri passi attraverso l'immagine speculare, che il nostro primo "altro" sia la nostra stessa immagine. Ma il fatto che percepiamo tutti gli altri per differenza o identità rispetto a questa immagine con cui noi da bambini abbiamo fatto l'amore, non significa che essa immagine sia il vero oggetto del desiderio inconscio. Ora, non possiamo dire che cosa sia questo vero oggetto, perché è un oggetto che nella realtà non ritroveremo mai; ma se lo ritroviamo nella realtà, se ha un nome e un cognome, possiamo capirne la struttura: che l’oggetto immaginario perimetra uno spazio vuoto. Ora, se ritroviamo questo spazio o punto vuoto, questo ci permette di sfuggire alle illusioni del narcisismo.

Che cosa si intende per illusione del narcisismo? Questo è qualcosa su cui Lacan, ma anche tutti gli analisti, sarebbero d'accordo: è quando si è convinti di amare un altro, ma in realtà attraverso quest’altro si ama soltanto la propria immagine. Ecco, questo è un altro punto fondamentale dell'etica della psicoanalisi che Lacan mette in rilevo. Ci sono degli esseri umani che confondono radicalmente gli altri e se stessi, che li amano come fossero la propria immagine: in psicologia clinica costoro vengono chiamati paranoici, pazienti di cui Lacan si è occupato soprattutto da giovane, da psichiatra. I paranoici sono persone che entrano in un rapporto di rivalità e di amore con gli altri solamente nella misura in cui questi altri sono delle proprie immagini. L'etica dell'analisi ci mette in rapporto con questo oggetto che non potrà mai essere trovato. Ma, proprio perché non può mai essere trovato, occorre che restiamo sempre fedeli a esso.

 

Roma 1994

 



[1] Frase modificata nel 2011: oggi nell’IPA l’influsso francese e sud-americano sta soppiantando l’egemonia anglo-americana.

 

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