“Non c’è rapporto sessuale”. Perciò lo si rappresenta05/apr/2022
Sergio Benvenuto
Il Leit Motiv di Lacan del “non c’è rapporto sessuale” ha impressionato molti, gente comune e filosofi, proprio per la sua enigmaticità. Molti enunciati ci toccano perché non riusciamo a dirne il senso, e così diventano celebri, come “l’uomo è il sogno su un’ombra” (Pindaro), “Amor che a nullo amato amar perdona” (Dante), “La psiche è estesa, e di ciò non sa nulla” (Freud) … “Non c’è rapporto sessuale” appartiene a questa serie di detti che ci parlano, anche se ci dicono molte cose, troppe cose, o nulla.
Molti lacaniani spiegano questo apoftegma dicendo che nell’inconscio non esistono i significanti per ‘uomo’ e ‘donna’, e che quindi non c’è relazione significante tra loro. Ma questa spiegazione spiega ben poco. Cosa fa dire a degli analisti che non esistono significanti per ‘uomo’ e ‘donna’? Che cosa li porta a questa conclusione? E di fatto, che cosa significa per esseri umani il fatto che “non c’è rapporto sessuale”? Nessuna spiegazione di scuola spiega alcunché, perché, si sa, le cose imbarazzanti non si imparano a scuola.
Questa sentenza è stata commentata da filosofi[1] (ma ha ispirato anche film porno[2]). Tuttavia io non mi accoderò ai vari esegeti, prenderò un’altra strada, quella della cultura popolare e anche (una bizzarria per psicoanalisti!) dell’esperienza comune, oltre che clinica. Non per rivelare il senso ultimo di una frase del genere. Ogni pensiero che lascia un segno, nel fondo, ha un nocciolo idiosincratico, un’opacità del tutto soggettiva, e mi chiedo se, alla fin fine, in un pensiero anche molto logico, non sia questa opacità a lasciare una traccia nel cuore. Intraprenderò la strada di far intravvedere una sua plausibilità.
Dirò che il motto intende render conto del mistero del pudore.
1.
Dall’invenzione del cinema in poi, possiamo tracciare la storia di come il rapporto sessuale, in particolare tra uomo e donna, sia stato rappresentato dagli audiovisivi.
In un primo tempo, fino agli anni 1950, il rapporto sessuale nei film non veniva rappresentato ma piuttosto significato: una coppia si baciava abbracciandosi, e quindi dissolvenza… Magari nella scena successiva si veniva a sapere che lei era incinta. Come si vede nel film Cinema Paradiso di Tornatore, un tempo i parroci di provincia in Italia tagliavano le scene di bacio nei film.
A un certo punto il rapporto sessuale è stato significato non con ciò che lo precede (il bacio) ma con ciò che lo segue: si vede una coppia nello stesso letto, ma non abbracciata. Si capisce che ha già consumato. Spesso i due attori sono “ancora” nudi sotto le coperte. In entrambi i casi il rapporto sessuale è significato attraverso metonimie, la figura retorica del significare il tutto attraverso una sua parte.
A partire dalla fine degli anni 1960 il rapporto sessuale viene finalmente rappresentato: i due attori sono visti nell’atto sessuale completo, anche se resta il dubbio se simulino il coito o lo facciano sul serio. Questa rappresentazione era molto breve. Viene rappresentato il “nocciolo” del rapporto sessuale - la penetrazione della donna - e basta.
Da tempo invece assistiamo a film e leggiamo romanzi in cui il rapporto sessuale è raccontato. Ci si fa assistere ai preliminari, e quindi alle varie posizioni e scelte di giochi amorosi, che diventano fasi di un racconto. “Prima lui la svestì, poi lei si rigirò stando carponi per farsi prendere a tergo, quindi lei ebbe un orgasmo, ecc. ecc…” Questi racconti del rapporto sessuale possono durare anche molto a lungo. Si narrano sia rapporti eterosessuali che omosessuali. Nel film La vie d’Adèle di Abdellatif Kechiche (2013) si assiste per molto tempo al rapporto sessuale tra due ragazze. Oggi si pensa che, se si racconta una storia d’amore, è importante far sapere allo spettatore come si è svolto il loro rapporto intimo nelle varie fasi, la narrazione esautora il gossip.
Quel che separa questi film dai video porno, è il fatto che non si vedono i genitali in stato di eccitazione: mai il pene in erezione, mai una vagina bagnata e slargata. Questa differenza è cruciale, perché lo spettatore del film “serio” deve chiedersi “gli attori stanno simulando un coito, o lo stanno avendo?” Questa incertezza è un effetto studiato nel video “d’autore”, mentre un video porno fa di tutto per non lasciare dubbi. La visione del rapporto sessuale inocula in ciascun spettatore un dubbio appunto, dato che l’incastro genitale è per lo più supposto. Sembra che l’insistenza sui minimi particolari anatomici nel video porno debba proprio convincere lo spettatore che sta assistendo a un coito reale, non a una recita (ma gli attori in realtà recitano, il video è uno spettacolo). È come se il porno dovesse combattere una fondamentale incredulità dello spettatore quanto alla possibilità del coito; e in questo combattimento scatta il piacere di chi guarda, che sfrutta l’incredulità di S. Tommaso.
In fondo, il coito vero è invisibile, da qui la tentazione di mettere una camera nella vagina… E’ come se non fosse mai abbastanza per crederci davvero.
Certamente alcuni film d’essai superano questa barriera e mostrano gli organi genitali anche in stato di eccitazione. Lo fa in molti film Catherine Breillat, o Lars von Trier (in Nymphomaniac del 2013). Ma si tratta di casi estremi, per i quali la critica storce un po’ il naso perché appunto “non tutto si può mostrare”, altrimenti “si scade nel porno”.
Di fatto i video porno sono un’enciclopedia delle maggiori fantasie erotiche comuni, offrono un ampio menù da cui ciascuno sceglie il proprio phantasme. Quanto alle fantasie pedofile o sadiche, i video che le soddisfano sono illegali, circolano in un circuito “nero”.
2.
Conosco varie persone che sono però disturbate al cinema quando il rapporto sessuale è raccontato per filo e per segno. Questo imbarazzo sembra nascere dal fatto che queste persone hanno o pensano di avere magagne erotiche, queste scene mettono il dito su una loro piaga. Ma se il sesso raccontato è così comune al cinema, è perché gran parte del pubblico gradisce vederlo.
È voyeurismo? No. Da tempo la psichiatria ha deciso di chiamare voyeurismo non l’assistere a spettacoli porno o erotici, quanto l’assistere ad atti sessuali che l’altro non vuol mostrare. Assistere a uno strip-tease non è voyeurismo, guardare una donna che si spoglia nella sua intimità attraverso il buco di una serratura è voyeurismo[3]. In effetti, il voyeur, da Krafft-Ebing al DSM-5[4], gode dell’atto sessuale rubato, carpito ai suoi protagonisti. I voyeur sono quasi sempre uomini, e nel fondo quel che interessa loro è sorprendere la donna nell’atto sessuale, come se l’atto sessuale la smascherasse, insomma la svergognasse. Eppure il voyeur può avere per il resto una normale vita eterosessuale, la quale però non gli dà quel plus-godimento che invece l’atto perverso dà[5].
Karl Kraus scriveva: “Il voyeur supera la prova di forza della sensibilità naturale: il gusto di vedere la donna con l’uomo sopraffà il disgusto di vedere l’uomo con la donna.[6]” Osservazione acuta: al centro dell’interesse del voyeur c’è la donna che gode del sesso. Una donna colta in fallo, insomma, dato che fare sesso non è cosa da donna… Mi chiedo se ci siano voyeur o esibizionisti omosessuali, dato che non se ne parla nella letteratura psichiatrica.
Ma cosa dà a tanti il piacere di guardare l’atto sessuale altrui? Non è perché si rivive il proprio piacere del sesso attraverso immagini. Se si vede un film con persone che mangiano squisitezze, questo non crea nessuna particolare emozione orale. E in effetti godiamo dei piaceri della gola in comune, li esibiamo – come tanti altri piaceri – senza farcene problemi. A parte quelli sessuali, i nostri godimenti sono spudorati, per lo più socialmente esibiti.
Il piacere di guardare chi fa sesso è certamente connesso a una specificità dell’essere umano: il senso del pudore. Aidos lo chiamavano i Greci, che significava anche rispetto[7]. Non si godrebbe dello spettacolo del coito se non oltrepassasse la barriera del pudore, se insomma il coito non fosse in sé irrispettoso.
Nel Genesi (cap. 3) la prima cosa che Adamo ed Eva sentono subito dopo aver mangiato il frutto proibito è la vergogna di essere nudi:
7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.
9 Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?».
10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».
11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».
Subito dopo il peccato – cioè, non appena diventano umani – ad Adamo ed Eva “si aprono gli occhi”: conoscere finalmente il Bene e il Male (come aveva promesso il serpente) significa, di fatto, sapere di essere nudi. Il pudore è aprire gli occhi, sapere. Non solo, sembra che Dio si accorga della loro trasgressione solo quando vede che essi provano vergogna. Il pudore rivela la colpa. Hanno vergogna non di aver mangiato il frutto proibito, ma di essere nudi, il sesso coincide con la trasgressione.
Anche gli esseri umani più primitivi, non appena sono in grado di fabbricarsi vestiti, si coprono i genitali. Perché il desiderio genitale è qualcosa di trasgressivo per gli umani. Eppure l’atto sessuale in sé è la cosa più normale e routinaria del mondo, siamo più di sei miliardi su questo pianeta. Il matrimonio si basa sul sesso, anzi, per la chiesa cattolica il coito è un sacramento: solo se la coppia consuma, essa è veramente sposata, l’unione carnale è un atto mistico (e ci si meraviglia che si voglia assistere a questo miracolo?). In molte culture (come quella cinese), il primo rapporto sessuale degli sposi esige la presenza di testimoni i quali accertino che rapporto sessuale c’è stato. Ma ci si chiede se, anche nella coppia sposata da anni che ha una vita sessuale regolare, il desiderio sessuale non si riproponga solo perché, di volta in volta, nel sesso qualcosa viene trasgredita. Questo si accompagna a una strana sensazione che hanno i ragazzi in particolare, quando scoprono l’attrazione per il sesso femminile: che le donne non sono fatte per essere usate sessualmente! E le ragazze hanno la sensazione che usarle sessualmente sia una umiliazione, un abuso. Forse questa stranissima sensazione può render conto di “Non c’è rapporto sessuale”. Di atti sessuali se ne compiono tanti, ma proprio perché non c’è rapporto credibile tra i sessi.
3.
Ho conosciuto adulti che sono stati portati in campi naturisti sin dalla prima infanzia. Di solito questi adulti non hanno alcun problema tuttora nel mostrarsi completamente nudi. Ma hanno vissuto un trauma nell’esser nudi quando entrarono nella pubertà (fu il peccato originale la pubertà dell’umanità?), e soprattutto quando furono attratti per la prima volta da un ragazzo o da una ragazza dell’altro sesso (o del proprio) che era nel campo: allora entrambi sentirono un bisogno impellente di coprirsi almeno i genitali. L’attrazione erotica genera il pudore, o meglio lo implica. Il desiderio esige il pudore per poter esprimersi in un sesso spudorato.
Il pudore è enigmatico perché rivela una credenza fondamentale, ma inconscia, per cui l’altro sesso non è fatto per farci sesso. Da adulti, tutti pensiamo il contrario, che l’altro sesso sia fatto da Dio o Natura proprio per farci sesso e generare. I sessi sembrano congegnati da una mente provvidenziale per rendere possibile l’amplesso. Ma il pudore sorge perché il coito inconsciamente non è atto indispensabile per provare piacere come accade tra tutti gli altri primati. È come se la specificità di Homo sapiens – avere accesso all’ordine simbolico attraverso il linguaggio – implicasse questa in-naturalità del coito, come se il coito fosse un bricolage, o, come dicono i biologi, un esattamento (non adattamento)[8]. Famosi sono i bricolage surrealisti, o quelli di Picasso come:
Il titolo è “Toro”. È un bricolage fatto con pezzi di bicicletta. Sembrerà assurdo, ma il coito è piacevole perché è vissuto così: il sesso maschile e quello femminile si giustappongono (e tanto più se entrambi i sessi sono maschili, o entrambi sono femminili). Come non c’è alcun rapporto tra un toro e una bicicletta, non c’è alcun rapporto tra uomo e donna, nella misura in cui non sono semplicemente maschio e femmina, non sono cioè complementari. (Maschio e femmina sono in effetti concetti che si implicano a vicenda; non così uomo e donna. Perciò molte mistiche erano “donniste”, non certo femministe[9].)
Il piacere di assistere a un coito, se non altro in un video, assomiglia quindi al piacere che ci dà il bricolage surreale: dare un senso diverso a cose (ai corpi maschile e femminile) che hanno un altro senso. Il coito piace nella misura in cui imbastisce una complementarietà non data d’emblée.
Ho trovato sempre indigeste le teorie della liberazione sessuale alla Wilhelm Reich, le quali tendono a santificare la sessualità proprio come fa la religione. Sia il reichismo (e ideologie simili) che la religione vorrebbero eliminare dalla sessualità umana il suo lato trasgressivo: la religione facendo del coito un sacramento, il reichismo facendone un’espressività puramente “naturale”, senza ombra di imbarazzo. Se così fosse, gli uomini sarebbero impotenti e le donne frigide, diserotizzati dalla legittimità della sessualità.
In effetti il desiderio in una coppia si spegne quando il rapporto sessuale tra i due partner non è più vissuto come trasgressione di una barriera simbolica che nessuno può dire. Se il coito diventa un atto di routine in cui non c’è alcun smascheramento (o spogliamento) dell’altro, il desiderio si spegne. Se non c’è previo pudore – e quindi spudoratezza del coito – non c’è libido.
Si dirà che nelle orge, nel sesso in gruppo, non c’è alcun pudore nel mostrare ad altri se stessi nell’atto sessuale. L’orgia è trasgressione di una trasgressione, ma pur sempre trasgressione. Trasgressione alla seconda potenza, perché l’atto sessuale è di per sé trasgressione.
4
Claude Lévi-Strauss negli anni 1930 andò a osservare in Amazzonia gli indiani Nambikwara, uno dei popoli più primitivi della terra. Andavano in giro nudi non per impudicizia, ma perché non possedevano la tecnica per produrre perizoma. Così Lévi-Strauss descrive i rapporti sessuali tra i Nambikwara:
I rapporti sessuali hanno luogo abitualmente di notte, e talvolta non lontano dai fuochi dell’accampamento; più spesso, i partner si allontanano a un centinaio di metri nella vicina boscaglia. Questa partenza è subito notata, e suscita il più vivo giubilo fra gli astanti; si scambiano commenti, si lanciano battute di spirito, e anche i bambini piccoli condividono un’eccitazione di cui conoscono benissimo il motivo. Talvolta, persino, un gruppetto di uomini, di giovani donne e di bambini si lanciano all’inseguimento della coppia e spiano attraverso i rami i particolari dell’operazione, bisbigliando tra loro e soffocando le risa. I protagonisti non apprezzano affatto questo tramestio cui, tuttavia, conviene fare buon viso, come pure conviene sopportare le punzecchiature e le battute di spirito che saluteranno il loro ritorno all’accampamento.[10]
Secondo i nostri criteri, questi primitivi – molto simpatici, a detta di Lévi-Strauss – erano insomma una banda di voyeur (ne parlo al passato perché non credo che i Nambikwara vivano ancora nel loro stato primitivo). Di fatto, non si comportavano diversamente dai tanti voyeur in due parchi di Tokyo, che il fotografo Kohei Yoshiyuki ritrasse in varie foto all’infrarosso negli anni 1970. Anche qui si tratta di amplessi notturni di coppie tra gli alberi, anche qui i vari voyeur si fanno talvolta così audaci da toccare il corpo della ragazza[11].
Le coppie che sorprendono un voyeur fanno il gioco del voyeur, nel senso che molti voyeur hanno bisogno di segnalare la loro presenza, in fondo per denunciare la sessualità della donna. Non perché siano dei moralisti che condannano l’attivismo sessuale femminile, è perché il desiderio femminile è per essenza abnorme[12]. Un voyeur, a meno di non essere anche sadico, non troverebbe nessun piacere nell’assistere a uno stupro.
L’atto sessuale implica la concupiscenza, e la concupiscenza implica una trasgressione. Questa implicazione assillò i teologi cristiani dei primi secoli dopo Cristo: come accade che Dio renda possibile la procreazione umana solo costringendo uomini e donne alla concupiscenza, a qualcosa cioè di intrinsecamente peccaminoso?[13] S. Agostino disse che la brama sessuale, non l’atto stesso del coito, è effetto del peccato originale[14]. Nello stadio pre-peccaminoso, nel giardino dell’Eden, c’era sì rapporto sessuale, ma senza concupiscenza. Gli organi sessuali venivano usati come usiamo le mani per avvitare le viti di un carro o le gambe per camminare: atti volontari che non implicavano alcuna particolare libido. Il sesso, prima del peccato, era innocente, ovvero puramente pragmatico, lo si voleva ma non lo si desiderava. In questa tradizione teologica – e prima ancora filosofica – ciò che fa problema non è il rapporto sessuale in sé, quanto la libido: essa è peccaminosa, anche se indispensabile. Del resto, gli eretici catari consideravano il coito atto vizioso in sé, anche all’interno del matrimonio: si cede sempre al coito come a una tentazione diabolica. Ho sempre pensato che i catari godessero in modo straordinario del coito.
Ma quali sono le radici profonde di questa avversione non solo filosofica per il desiderio e il piacere sessuali?
Se stranamente l’uomo pensa che la donna non sia fatta per il rapporto sessuale, la donna non lo pensa da meno (del resto, prima della pubertà le femmine ignorano la loro vagina; la masturbazione nelle bambine è clitoridea). Helen Deutsch[15] affermò che il piacere femminile nel fare sesso è legato a fantasie a impronta masochista, ovvero a immagini di stupro, di violenza, di prostituzione o di parto. Forse Deutsch ha esagerato, ma credo che nel fondo abbia colto qualcosa: la donna deve vivere una specie di umiliazione di fondo nel rapporto sessuale per poterne godere. Del resto, non pochi uomini si eccitano nel rapporto sessuale, anche con la propria moglie, se la insultano e l’umiliano. Molti uomini preferiscono sodomizzare la donna: in questa preferenza emerge un abominio del piacere femminile.
Credo che questa preferenza per il coito anale sia dovuta al carattere di violazione dell’atto: l’ano “non è fatto” per il sesso maschile, quindi va forzato. Il coito diciamo normale risulta troppo poco trasgressivo, mentre è nella violazione – gradita alla donna stessa – che risiede il godimento. Si dirà che la sodomizzazione connota inequivocabilmente violenza e umiliazione, e questo riporta all’enigma della sessualità femminile, che Deutsch ha sviscerato. La preferenza per il coito anale pare quindi contraddire il tropismo erotico del nostro tempo, in cui l’uomo vuole considerare la donna non una sottomessa, al contrario, una propria pari: vuole che goda proprio come lui. La sessualità femminile deve essere insomma omologa a quella maschile – ma se è omologa, come può essere complementare? Per godere la donna deve immaginare di essere sottomessa, prostituta o stuprata. Ma godere della propria sottomissione, del proprio subire, è proprio ciò che la rende regina: è la sovranità della sottomissione. Un po’ quel che si diceva a Roma di Giulio Cesare: “marito di tutte le mogli, moglie di tutti i mariti”[16]. Da una parte Cesare è l’uomo che gode di tutte le donne (come il padre dell’orda freudiano), dall’altra si sottomette come donna facendosi sodomizzare dagli uomini (cosa all’epoca considerata estremamente riprovevole). Ma è in questa sottomissione che l’imperatore afferma ossimoricamente la propria sovranità. Quindi oggi l’uomo ammira la donna proprio nella misura in cui questa, godendo della propria sottomissione, impone la propria sovranità. Nel fondo, l’uomo non cerca nella donna una pari (anche se l’ideologia dominante lo pretende) ma la propria regina, una che nel fondo lo domini. Come si vede, la cosa più banale del mondo, il coito, mette in gioco vertiginosi rovesciamenti.
5.
Certamente la conclusione lacaniana del “non c’è rapporto sessuale” è un avatar (nel senso francese, non inglese, del termine) della teoria freudiana della sessualità. Come è noto, per Freud la libido è unica, a-sessuata[17]. La differenza tra desiderio maschile e femminile – ammesso che esista – è un prodotto storico (in psicoanalisi storia dell’individuo [ontogenesi], in filosofia storia delle società). Non esistono quindi né un’essenza femminile né un’essenza maschile, rompendo così con tutta una lunga tradizione psico-mistica che deriva dall’amor cortese. Quel che contava per Freud era l’anatomia, che poi, in fin dei conti, è la presenza o meno del pene. Ogni essere sessuato (ovvero con o senza pene) deve trovare una posizione sostenibile nei confronti della propria anatomia, ma il desiderio è unisex.
Ora, si dà il caso che questa teoria sia in perfetta consonanza con l’evoluzione della visione dei rapporti sessuali nell’ultimo secolo, che distingue accuratamente sex (il sesso biologico, in ultima istanza anatomico) e gender (la costruzione storica, culturale, di pseudo-identità sessuali). Altre differenze non anatomiche – ad esempio, quelle ormonali, biologicamente fondamentali – non vengono considerate. L’egualitarismo sessuale che si afferma sempre più nelle nostre società iper-industrializzate si basa proprio sul fatto che non c’è nessuna vera differenza di gender tra uomini e donne. In questo senso, il modello dell’incontro sessuale tra uomo e donna è sempre più quello omosessuale: viviamo in effetti una strisciante idealizzazione della relazione omosessuale in quanto non mette in gioco differenze di genere[18].
I conservatori di oggi, cristiani e non, gettano l’anatema su quella che chiamano “teoria del gender”, che li ossessiona come una nuova Sodoma e Gomorra. Il paradosso è che questa cosiddetta teoria del gender è una teoria che nega l’esistenza del gender, ridotto a un assetto culturale transeunte, se non a fenomeno di costume. Psicologicamente, donne e uomini sono (o devono essere) assolutamente eguali. Il fatto che esistano tanti generali uomini e poche generalesse donne, il fatto che esistano tante psicologhe e molto meno psicologi, non è dato come un dato di per sé ovvio, ma come uno squilibrio che va persino denunciato, in quanto si sospetta che sia il prodotto di stereotipi culturali (gli uomini per natura aggressivi e atti al comando, le donne per natura dedite ad attività di maternage, di cui la psicologia sarebbe una sublimazione professionale). Ma allora, se uomini e donne sono psicologicamente identici, come può precipitare l’atto sessuale? Che cosa si desidera dell’Altro sesso, direbbe Lacan? Seguendo la falsariga freudiana, Lacan di fatto è figlio della cultura della nostra epoca, che ha sempre più difficoltà a pensare il rapporto sessuale come rapporto, appunto, tra due gender diversi. Da qui la sintomatica stranezza di un motto come “non c’è rapporto sessuale”, che ha per me il senso che ogni atto sessuale è in fondo omo-sessuale, si svolge cioè tra desideri omologhi. La massima lacaniana ha comunque il merito di rendere plasticamente evidente il tormento concettuale in un’epoca in cui tutti gli esseri umani sono riconosciuti (o ridefiniti?) come eguali, uomini e donne, giovani e vecchi, nobili e plebei…
In effetti, se il desiderio è unico – tutt’al più maschile, ammetteva Freud[19] – come render conto di quell’emozionante diversità tra i sessi che impone la nozione, così screditata, di gender? Lacan per decenni cercherà di risolvere questa quadratura del cerchio, facendo appello alla logica e alla topologia. Cercherà di ri-trovare un’asimmetria tra uomo e donna (o tra posizione maschile e posizione femminile, come si dice correttamente) saccheggiando la logica dei quantificatori (ovvero: le possibili relazioni tra “tutti”, “non-tutti”, “almeno uno”, “nessuno”). Da qui adagi non meno enigmatici (e seduttivi) come “La Donna non esiste”, che tanto piacciono alle femministe raffinate. Tutto tornerebbe nei ranghi se si dicesse anche “L’Uomo non esiste”, ma appunto, questo non si può dire. Gli scambi tra i sessi non sono scambi tra simmetrici, anche se non ci sono due gender. Il difficile è pensare una differenza sessuale che non si basi su alcuna distinzione tra essenze… Dietro questo travaglio teorico freudiano (che altri psicoanalisti – come Jones o Stoller - hanno affrontato in altro modo) trapela il travaglio etico della nostra cultura, che ha come ideale l’eguaglianza simbolica tra gli individui, proprio per dare il più ampio spazio all’irriducibilità soggettiva.
In conclusione, torniamo da dove eravamo partiti: il godimento di assistere alla rappresentazione di un coito si basa sul fatto che il coito è incredibile, stranamente impossibile. Un lacaniano di scuola direbbe: l’atto sessuale è reale, proprio perché non è simbolizzabile, perché non ci sono Sessi nell’inconscio. Che però è un modo di riformulare, anche se in modo non banale, il problema. Il problema è, appunto, come dai sessi emerga il semblant (parvenza) dei gender. Diciamo che il coito non è inconsciamente rappresentabile, quindi è un trauma. Ma il rappresentarlo fa di questo trauma un godimento. In questo senso assistere a un coito è un godimento perverso, in linea con quello che ho sostenuto altrove, che la perversione è godere di un trauma ripetendolo come rappresentazione[20]. C’è qualcosa di originariamente improprio nel coito, di traumatico, di cui il pudore è la spia: un trauma che non produce angoscia, ma vergogna. (In alcuni produce anche angoscia, e allora si orientano verso uno psicoanalista…) Rappresentando, ri-presentando, ripetendo, petendo [domandando] di nuovo l’atto sessuale, l’atto più obscenum che esista, mettendo in scena ciò che è fuori scena, gli esseri umani rimangono di stucco per il godimento. E in effetti, tutto si può dire del coito, tranne che sia stucchevole.
[1] J.L. Nancy, L’« il y a » du rapport sexuel, Galilée, Paris 2001. A. Badiou, B. Cassin, Il n'y a pas de rapport sexuel. Deux leçons sur «L'Etourdit» de Lacan, Fayard, Paris 2010.
[2] R. Siboni, Il n’y a pas de rapport sexuel, 2011.
[3] Ho sviluppato l’analisi delle scopofilie in S. Benvenuto, What are Perversions?, Karnac, London 2016.
[4] American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5, American Psychiatric Publishing, 2013.
[5] Tra i contributi psicoanalitici sul voyeurismo: O. Fenichel, The Scoptophilic Instinct and Identification, in H. Fenichel & D. Rapoport, eds., The Collected Papers of Otto Fenichel, W.W. Norton, New York, 1953. A. Quinet, Le plus de regard. Destins de la pulsion scopique. Étude psychanalytique, Editions du champ lacanien, Paris, 2004.
[6] K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1994, p. 79.
[7] Tema affrontato da Lacan in “La signification du phallus”, in Ecrits II, Seuil, Paris 1999, p. 170. Si riferisce all’apparizione del demone Αιδως negli affreschi della Villa dei Misteri a Pompei.
[8] Rimando qui allo studio fondamentale di S. J. Gould and E. S. Vrba, “Exaptation-A Missing Term in the Science of Form”, Paleobiology, Vol. 8, No. 1, Winter 1982, pp. 4-15. Vedi anche: T. Pievani, “Exaptation. Storia di un concetto”, in Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, T. Pievani, a cura di, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
[9] Rimando al mio studio su Rosvita: “La seduzione della castità. Rosvita di Gandersheim”, Agalma, 12, settembre 2006. http://www.sergiobenvenuto.it./capricci/articolo.php?ID=135
[10] C. Lévi-Strauss, La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Einaudi, Torino 1970, p. 94.
[12] Tema già presente nel racconto di Erodoto del voyeurismo di Gige, a cui il re Candaule di Lidia mostra il suo rapporto sessuale con la regina. Non è un caso che il nome della regina non venga mai dato.
[13] Problematica ricostruita da M. Foucault, Les aveux de la chair, Gallimard, Paris 2018. Cfr. S. Benvenuto, “La pastorale, antica e moderna. Riflessioni a partire da M. Foucault, Les aveux de la chair”, POL.it, 18 settembre 2018, http://www.psychiatryonline.it/node/7642.
[14] Agostino, De Genesi ad litteram, IX. La città di Dio, XIV.
[15] H. Deutsch, Psicologia della donna (Psychologie der Frau, 1948-54), 2 voll., Boringhieri, Torino 1957.
[17] S. Freud, “Triebe und Triebschicksale”, GW, 10; “Pulsioni e loro destini”, OSF, 8.
[18] E in effetti i sessuologi più influenti, dopo Freud, nel XX° secolo, Masters e Johnson, hanno esplicitamente portato l’omosessualità a modello erotico anche per gli eterosessuali. (W.H. Masters and V.E. Johnson, Homosexuality in Perspective. Toronto; New York: Bantam Books, 1979.) Proprio perché liberati dalle etichette del gender, i rapporti tra persone dello stesso sesso possono dispiegarsi senza remore.
[19] Questa tendenziale equiparazione del desiderio al maschile ha fatto infuriare alcune Gender scholars. Ma credo che anche qui Freud si facesse portatore della direzione filosofica della nostra epoca: l’eguaglianza tra uomo e donna si fa sulla base di un modello in fondo maschile. Gli uomini, mettendosi un orecchino (mai due), oggi fanno solo finta di femminilizzarsi. Dedicare la vita completamente ai figli, alla casa e al gossip non è affatto un ideale maschile, nemmeno oggi. Mentre la donna ammirata oggi è quella che fa carriera, che esercita leadership, che si afferma nel sociale, combattiva – proprio come l’uomo.
[20] S. Benvenuto, What Are Perversions?, cit.
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