Flussi di Sergio Benvenuto

La propaganda di Tiresia. In margine a un saggio di Griffin Hansbury05/apr/2022


 

Sergio Benvenuto


Keywords: Hansbury, sessualità e gender, masochismo erotico, masochismo femminile, la Cosa lacaniana, rifiuto della femminilità

 

The author points out as pleonastic Hansbury’s theory of a “masculine vaginal” in the context of psychoanalytic theory in general, starting with Freud; in effect, for Freud, male and female are not fundamental characters of human sexuality, but “constructions”.  He considers Hansbury’s clinical cases in the scope of a general theory of masochism, revisiting the notion of feminine masochism.  He ultimately shows, however, that queer theory’s ideological libertarian intent ends up accepting precisely that very logic of gender that it seeks to transgress and overcome.

 

 

            Svetonio ci dice che, quando Giulio Cesare dominava a Roma, i suoi avversari dicevano che egli fosse “marito di tutte le mogli, moglie di tutti i mariti”[1]. Un’insinuazione grave, dato che a quell’epoca essere uomini sessualmente passivi era la peggiore vergogna per un uomo libero, mentre essere un uomo attivo con un altro uomo, insomma penetrarlo, era considerata cosa del tutto legittima (perciò nell’Antichità non esisteva il concetto di omosessualità).

            Colpisce comunque come, in un’insinuazione che certo non si voleva benevola, emerga un’implicita ammirazione per il carattere iperbolico della sessualità di Cesare (“tutte le mogli!”, “tutti i mariti!”), una sessualità che appare senza limiti, come era ormai senza limiti il suo potere politico. Dico questo perché torneremo sui cosiddetti “bisessuali” – che un tempo si chiamavano libertini, individui pronti a ogni esperienza erotica, sessualmente polimorfi – proprio per il carattere direi cesarista, imperiale, della loro versatilità sessuale. Cosa a cui Hansbury stesso allude parlando di gender grandiosity, dove grandiosity ha in inglese una connotazione negativa che non trova l’italiano “grandiosità”.

 

1.

            Il testo di Hansbury è accettabile se lo consideriamo nel contesto psicoanalitico americano in cui l’autore si è formato, dominato dall’Ego psychology, da una psicoanalisi che si voleva incollata alla psichiatria e basata su presupposti fondamentalmente normativi. Appare invece pleonastico a chi come noi si è formato in un clima psicoanalitico del tutto diverso, euro-continentale e direi “dionisiaco”, dove diamo per risolti a monte certi problemi che analisti come Hansbury pensano di risolvere nella valle dell’America di oggi. (“Noi” non è un pluralis majestatis, ma indica specifiche correnti del pensiero non solo psicoanalitico.) In sostanza, Hansbury riprende il concetto freudiano fondamentale che ogni essere umano ha aspetti maschili e femminili, contro una psicoanalisi un tempo dominante per la quale c’erano solo due generi e tertium non datur. Ma proprio per questo quella di Hansbury ci pare la scoperta dell’ombrello.

            Del resto molto presto i seguaci di Freud cominciarono a controbilanciare la funzione essenziale, per Freud, del Penisneid (invidia del pene) nella donna con un’invidia maschile della femminilità. Già nel 1923 Karen Horney parlava di “invidia del grembo”[2]. Hansbury, che dell’inconscio vuol dare un’immagine meno drammatica, non dice che l’uomo invidia la vagina: perché l’uomo ce l’ha già, anche se mentale.

            La sfida di Freud consisté nell’affermare che quello che si chiama oggi il nostro gender non è un risultato lineare della nostra anatomia alla nascita, e quindi non è conseguenza diretta dei cromosomi XX o XY, ma è una costruzione storica, nella storia individuale, che si compie essenzialmente nel corso dell’infanzia, ma non solo[3]. Questa costruzione non avviene mai secondo un piano prefissato, e non è detto che raggiunga un suo equilibrio. Abbiamo certo soluzioni medie, ma di fatto potremmo dire – andando ben oltre la vagina maschile di Hansbury – che, al limite, ogni essere umano ha un proprio gender. Per questa ragione la serie LGBT tende ad allungarsi – oggi vi si aggiunge anche intersex e queer, per cui siamo a LGBTIQ – ma potrebbe proseguire all’infinito, come i decimali del numero trascendente π (pi greco), una serie che comprenda al limite, uno per uno, tutti gli esseri umani… Ovvero, ogni essere umano sarebbe uno scarto da una supposta normalità. Perché due costruzioni di genere non sono mai identiche, come non possiamo trovare due identiche reti venose e arteriose, due identiche strutture dermatoglife (quelle rilevate dalle impronte digitali), due identiche reti neurali, due identici genomi, ecc. La psicoanalisi ha sempre cercato di ricostruire, per ogni soggetto, la specificità dei modi sempre singolari di costituire non solo il proprio gender, ma anche il proprio specifico essere-nel-mondo. Che analisti americani se ne accorgano ora è forse un po’ tardivo, ma non è mai troppo tardi.

            Per esempio scrive l’autore, “Per più di un secolo la psicoanalisi ha considerato la transessualità come una malattia (illness)”. Ma quale psicoanalisi? Certo non quella che, da 50 anni, seguo io. E questo per la semplice ragione che per la psicoanalisi come la intendo io non c’è veramente illness psichica. Ovvero, nella misura in cui tutti abbiamo un inconscio, siamo tutti potenzialmente “malati”. Piuttosto che il concetto di malattia (che peraltro anche la psichiatria dominante DSM chiama disorder, non più illness) possiamo usare il concetto pratico di distonia: in certi momenti il gioco conflittuale che è alla base della nostra soggettività può creare delle sofferenze, a noi o agli altri. Possiamo dire allora che oltre all’ego-distonia nevrotica, abbiamo l’etero-distonia perversa e la socio-distonia psicotica[4]. Ma quando Jacques Lacan distingue nettamente queste tre strutture – nevrotica, perversa, psicotica – non le equipara affatto a dei disordini mentali. Certi soggetti hanno una struttura chiaramente psicotica, eppure non manifesteranno mai sintomi clinici specifici di una malattia mentale. Guardiamo alle strutture soggettive – ovvero, al modo in cui un soggetto ha edificato il proprio sistema di godimento – non alle malattie (illnesses). Noi analisti offriamo un’analisi, non una cura psichiatrica. Un soggetto che viene in analisi viene perché da qualche parte il suo sistema di equilibrio, anche erotico, si è rotto. Una persona non viene in analisi perché è un omosessuale, un transgender o un marito fedele, ma perché si chiede, ingenuamente, “che cosa veramente voglio?”

 

2.

             Freud pensava che il desiderio sessuale, libido, non fosse né maschile né femminile. Diceva che il solo aspetto essenziale del desiderio che poteva tutt’al più sovrapporsi alla divisione maschile/femminile era la differenza tra attivo e passivo. Nel caso della genitalità, direi: tra penetrare ed essere penetrato (o meglio ancora: tra penetrare e farsi penetrare). Trattandosi di un’opposizione, essa ci dà il senso di una distinzione simbolica. Il simbolico entra in ciò che per noi vale, non per ciò che è – e ciò che vale per noi sono delle opposizioni. Ora, Hansbury, come la cultura psicoanalitica da cui discende, non riesce a distinguere bene ciò che è simbolico e ciò che è organo reale. Il fallo (simbolico) non è il pene, e difatti sin dall’inizio la psicoanalisi ha parlato di “madre fallica”. Un fallo può essere mentale, o di pietra, come lo sono i lingam disseminati per l’India. Analogamente, quando il Nostro parla di “maschio vaginale”, mi pare che confonda qualcosa che andrebbe distinto: una cosa è la vagina come organo specifico delle donne, altra cosa è quella forma convessa che permette la penetrazione passiva, e non è affatto detto che sia una vagina; anche la bocca e l’ano, organi che anche il maschio possiede, possono esserlo. Ciò che femminilizza l’uomo non è una fantasia di avere una vagina immaginaria, ma direi l’uso (anche immaginario) che egli ne fa, ovvero la penetrazione passiva. E ben sappiamo quante donne eterosessuali gradiscano essere penetrate in tutti gli orifizi.

            Questa confusione tra organo e significante (per usare la dizione lacaniana) di Hansbury emerge quando ad esempio dà alla vagina i caratteri della creatività. Perché la vagina dovrebbe essere particolarmente creativa? Probabilmente Hansbury pensa all’utero come organo creativo. Ma non bisogna confondere la vagina (come parte concava destinata a essere occupata) con l’utero! L’utero non è occupato da qualcosa di esterno (il pene o altro) ma da un feto interno.

            Del resto, molte donne vivono l’essere incinta niente affatto come esperienza creativa. Non a caso preferiscono abortire. La gestazione e il parto sono processi niente affatto creativi, sui quali la donna ha ben poco potere, da qui il rigetto della gravidanza, che spesso rimanda a una fantasia di feto canceroso, di corpo estraneo che cresce dentro di sé, da eliminare.

            In effetti, se Hansbury rileggesse il caso dell’Uomo dei Lupi di Freud[5], vedrebbe quanto, in questo caso, l’identificazione del paziente alla posizione femminile – interpretata come un subire violenza, essere sfondata – sia evidente. Possiamo dire che l’Uomo dei Lupi aveva una vagina mentale? Sì, se vogliamo.

            Sergei Pankejeff (questo era il vero nome dell’Uomo dei Lupi) sentiva l’atto sessuale come un’umiliazione della donna, qualcosa che la fratturava, e che questo sarebbe stato anche il proprio destino in quanto identificato alla donna. Sergei era profondamente, segretamente identificato a una donna rotta e umiliata. Ciò lo portava del resto a identificare la posizione femminile a quella di mendicanti, poverelli e handicappati (da qui la sua preferenza per donne di basso livello sociale). Ma questa sua “vagina maschile” ha ben poco della radiosa vagina pubblicizzata da Hansbury, ha piuttosto i caratteri di una sottomissione a una violenza. Emerge qui la dimensione di volontà di potenza che non ha posto nella Bucolica queer.

            Ma il desiderio di essere penetrati va ben al di là di un organo anatomico specifico della donna, di quello che la rende femmina appunto.

 

3.

            Il caso di Kevin – l’omosessuale puramente passivo che si becca pure l’HIV – portato da Hansbury è veramente interessante.

            In effetti, come negare che ci sia della grandiosità nel quasi-auto-supplizio di Kevin, un’ascesi quasi mistica che non può mancare di incuterci rispetto? Qui Hansbury avrebbe potuto rifarsi alla nozione lacaniana di das Ding, la Cosa[6] (Hansbury cita Lacan ma non ne fa uso). In effetti Kevin tende a una Cosa che si presenta nella forma di un vuoto centrale, come un utero tombale al centro del proprio essere. È come se, non soddisfatto dal proprio ano vaginale, Kevin tendesse a un utero di cui ogni donna sente l’esistenza solo nella gravidanza, a un vuoto che sembra essere il punto di mira di un’estasi, di un godimento così squisito da coincidere con quello della morte, dove feto e cadavere si identificano. Non vedo una differenza così essenziale tra l’esperienza di Kevin e tante esperienze mistiche di disperazione e trionfo, dove la tortura si rovescia in piacere infinito, estatico[7]. Kevin sembra voler raggiungere qualcosa che, come Achille con la tartaruga, non raggiungerà mai: ciò che Freud, a modo suo, aveva chiamato il Nirvana al cuore del desiderio umano.

            Quel che sembra fermare la deriva auto-distruttiva di Kevin (un martirio per essere femmina?) sembra essere una classicisissima interpretazione edipica, di un Edipo vissuto al femminile: alla base ci sarebbe una rivalità immaginaria tra Kevin e la madre nella conquista sessuale del padre, il suo desiderio di avere una vagina immensa per accogliere il fallo paterno. Ma Hansbury ci dice che non è sufficiente, e lo penso anch’io, dato che qui il soggetto sembra mettere in atto delle modalità ultra-masochistiche di auto-sfondamento che non evocano affatto una figura di vagina “aperta, recettiva ed espressiva”, ma qualcosa di molto più cupo e abissale, una cavità tombale nella quale da una parte il soggetto si sente incapsulato, e che dall’altra egli vorrebbe raggiungere attraverso varie forme di violazione, da parte di altri uomini o di sé stesso.

            Peccato che non sia tradotto in inglese, ma l’analisi da parte di Elvio Fachinelli di quella che lui chiama “area claustrofilica”[8], a cui aggiungerei l’idea di Abraham e Torok di una cripta all’interno stesso della soggettività[9] (come un vuoto sepolcrale, simile alle impenetrabili tombe egizie), sarebbero state utili ad Hansbury per elaborare tutti questi temi, uscendo quindi dalle semplificazioni della propaganda queer, ovvero di una rivendicazione ideologica per cui “i genders non sono solo due, ma tanti”. Mi pare che l’omosessualità di Kevin sia limitata a uno sfondamento virtualmente illimitato per raggiungere una misteriosa cavità, e vada interpretata piuttosto nel registro perverso (o parafilico), ovvero nel gioco, spesso micidiale, del masochismo.

 

4.

            C’è ancora molto da dire sul masochismo. Freud aveva parlato di tre masochismi: erotico, femminile e morale. Certo la sua idea di un “masochismo femminile” non è oggi politically correct, ma mi pare che Freud ponesse là un problema fondamentale che lega l’anatomia da una parte, e il raggiungimento di un equilibrio di gender dall’altra. Hansbury ci parla di un caso di un gay che, da adolescente, amava vestirsi con abiti femminili (ma non ci dice se questo paziente fosse un omosessuale unicamente passivo come Kevin). Ora, si dà il caso che alcuni analizzanti da me seguiti, che hanno sviluppato poi comportamenti masochistici erotici precisi, abbiano inaugurato la pubertà proprio così: guardandosi allo specchio con abiti materni. Essi si desideravano narcisisticamente, ma come donne.

            Uno, A, coltivava già fantasie masochiste da bambino; vide un film dove l’eroe a torso nudo veniva flagellato, e lui godeva pensando “anche io da grande verrò fustigato così!” Nella pubertà, passava ore mettendosi sottovesti e vestaglie della madre, e godeva allo specchio sia delle sue apparenti forme muliebri che dell’alba inquietante della propria virilità. Un’incertezza di fondo sul proprio “oggetto” che si è riproposta nell’età adulta. Divenne del tutto eterosessuale, anche promiscuo, ma ogni tanto aveva quelli che lui chiamava “attacchi di femminilità”: aveva bisogno di farsi sodomizzare da un uomo, con un pene il più possibile largo. Non era attratto dagli uomini, attratto molto dalle donne, ma ogni tanto era molto attratto dal pene (molto meno dal suo possessore). Il punto è che sviluppò sempre più fantasie e atti masochistici: non l’essere picchiato dalla donna, ma da lei umiliato. Affetto da quella che chiamo gelosia negativa: godeva nel vedere la sua amata penetrata da più uomini. Il punto è che lui vedeva gli attacchi di femminilità da una parte, e le pratiche masochiste dall’altra, come due corni di uno stesso complesso, diremmo: una sorta di esaltazione della femminilità, propria o della donna. È come se, attraverso il masochismo, egli desse sfogo alle sue istanze femminili. Emergeva in lui un’invidia della femminilità, che però non portava ad alcun desiderio transgender. Non fu mai attratto da travestiti, ad esempio.

            Un altro, B, a undici anni amava guardarsi allo specchio con la cintura del pistolero e tirava fuori le pistole come vedeva fare nei film western… La madre lo vide e lo schiaffeggiò. Dopo di che lui smise di esibire pistole, si vestiva con gli abiti materni, si eccitava per questa immagine muliebre, e si masturbava. Da adulto B divenne un masochista totale, nel senso che la sua sessualità si fissò quasi esclusivamente sulle mistress, sulle prostitute specializzate in masochisti, da cui si faceva frustare e orinare sul volto[10]. I suoi tentativi di avere una relazione con una donna “normale”, con cui sposarsi e avere figli, fallirono tutti. In B non troviamo atti e fantasie di sesso passivo come in A. Bisogna dire però che mentre in A troviamo una forte idealizzazione della donna e soprattutto della “donna scopereccia”, in B troviamo al contrario un profondo disprezzo e rancore per la donna, che non esclude però una propria identificazione alle giovani prostitute povere.

            Nessuno dei due casi è generalizzabile, perché in psicoanalisi non bisogna generalizzare mai. Ogni caso rappresenta una variante a partire da un gioco strutturale di elementi che tuttora la psicoanalisi stenta a isolare. Dire anche che tutti gli uomini hanno una vagina mentale (come, senza dirlo, sembra augurarsi Hansbury) è un’indebita generalizzazione: quel che conta, tra i vari casi umani, è non ciò che li unisce, ma ciò che li differenzia.

            Ho evocato A e B per chiedermi se alla base del masochismo erotico (tipicamente maschile) non ci sia un voler ripetere in chiave maschile il masochismo femminile. Ovvero, il masochista interpreta la posizione passiva della femmina come destino femminile dell’”umiliata e offesa” (non diversamente dalle fantasie dell’Uomo dei Lupi).

            Ora, secondo questa imago, la femmina, essendo penetrata, è invasa, posseduta, violata, sfondata dall’essere fallico. Il punto è: ogni donna, per quanto “normale” (eterosessuale) possa essere, non deve aggiustarsi alla propria femminilità, ovvero non è tentata da una ripulsa della posizione passiva con tutte le connotazioni che questa implica? Hansbury – il quale, come Tiresia, ha potuto vivere in un corpo sia di femmina che di maschio - non dovrebbe essere cieco a questa problematica del masochismo femminile, che spiega forse quello maschile.

            La distinzione – che quasi nessuno fa – tra femmina e donna è importante. La donna non è solo femmina: ha un clitoride (e un orgasmo molto simile a quello maschile), genera bambini e quindi ha delle tette, mentre la femmina – anche tra le viti – è il buco che riceve. La femminilità è tardiva. Di solito la femmina accede alla vagina – ovvero alla parte concava che la rende femmina – solo alla pubertà. La masturbazione infantile delle bambine è di solito clitoridea (e quando è vaginale, allora il pediatra si allarma…), ovvero, la bambina non “comincia” come femmina. In fondo, è l’uomo a rivelare la vagina. La femminilità, ovvero la valorizzazione delle proprie cavità, implica una piega complessa da cui l’uomo è dispensato, il che rende direi più elementare, meno sofisticata, la sessualità maschile. La donna sembra dover fare di necessità piacere. Ed è quel che sente il masochista, omo- od etero-sessuale che sia.

            Il rifiuto isterico della femminilità consiste in effetti nel rifiuto di quella posizione passiva della donna, rifiuto che si esprime ad esempio nel vaginismo. Ma anche nelle isteriche promiscue, che sembrano godere molto del maschio, emerge questa rivalsa. Una mia analizzante isterica, che aveva molti amanti, si paragonava a Giuditta: dopo ogni notte di sesso, le sembrava di uscire trionfante col pene del maschio come fosse la testa di Oloferne.

            Il masochista – nel quale includo anche l’omosessuale passivo, e un passivo “cosmico” come Kevin – sembra voler vendicare la donna, sia fisicamente che (al limite) politicamente. Nel senso che “gli ultimi saranno i primi”, e anche, “i penetrati saranno i penetratori” (i casi, evocati da Hansbury, di uomini che amano farsi sodomizzare con vibratori da donne, e mai da uomini, vanno in questo senso). Abbiamo citato il caso di Cesare, ma potremmo citare tantissimi casi in cui uomini potenti godono a fare i miserabili, gli umiliati e offesi. Il godimento di re Fernando di Borbone di Napoli era travestirsi da pescivendolo e vendere il pesce al mercatino facendosi insultare pesantemente dal popolino…[11]

            Da dove nasce questo godimento che ho chiamato “cesarista” nell’assumere posizioni e forme del reietto? Direi, per dominare a un altro livello, a un livello quasi metafisico (perché c’è del metafisico nella sessualità). Perciò in certe forme di polimorfismo sessuale vedo una grandiosity ma non in senso negativo: la volontà di potenza si afferma veramente solo se il potente assume forme e ruoli del massimo degrado. L’auto-svilimento ha il senso di una Aufhebung hegeliana, di una degradazione che innalza a una posizione quasi divina.

            Lacan aveva detto dell’isterica che “lei cerca un padrone, per poterlo dominare”. La posizione masochista sembra essere la sua piega al maschile: il masochista finge di farsi dominare da una donna per poter lui, alla fin fine, dominare la donna… in quanto lui è donna. Prende due piccioni con una fava: afferma l’impero sia della donna che di sé stesso, nella misura in cui fa di sé stesso una donna che lo domina.

 

5.

            Va detto che certe forme grandiose di santità – ad esempio, Francesco di Assisi, Gandhi – ricordano da presso la dialettica masochista. Francesco si abbassa a mendicante, ai livelli più infimi della società del tempo, gode di ogni tipo di umiliazione che gli viene inflitta, ma questo maschera appena la sua megalomania, che lo spinge ad andare di persona dal Sultano per convertirlo al Cristianesimo! È così inquieta l’identificarsi di Gandhi ai contadini più poveri dell’India, a chi subisce senza mai reagire, ma così combatte il maggiore impero della Storia e guida un popolo sterminato. Questa kenosis (abbassamento) è una strategia di innalzamento sovrumano. Analogamente il masochista maschio, simulando una sottomissione a un essere senza fallo, accede a una sorta di super-fallo, a un imperium che non può aver fine, smisurato.

            Mi pare che invece la soluzione transgender (l’uomo che diventa donna) implichi una rinuncia sia alla kenosis che all’imperium: è una accettazione della logica dei gender. Il transgender si sottomette, cambiando significante, ai significanti di genere duali, maschio versus femmina[12]. È un cambiamento anagrafico che rimette tutto in ordine. Il transgender è il polo conservatore, direi, del ventaglio del polimorfismo sessuale.

 

6.

            Se il fallo è qualcosa di simbolico (come dice Lacan), allora la vagina, nella misura in cui è simbolica, è essa stessa fallica: nel senso che è definita (soggettivamente) dal suo essere occupata dal fallo, non dal suo essere un organo che permette l’inseminazione della donna. Ogni donna, del resto, sente fisicamente la propria vagina solo quando è penetrata (altre volte può sentirla mentalmente, ma non fisicamente). La voglia di essere penetrata è anche voglia della propria vagina. Il fatto poi che le donne preferiscano un pene largo (più che lungo) è perché a loro piace “sentirsela tutta occupata”. È questa occupazione fallica del proprio corpo ciò che conta per una donna. Sensazione che si ripete con la fellatio e con la propria sodomizzazione.

            Molti accusano la teoria di Lacan di essere fallocentrica, perché equiparano il fallo al pene. Eppure mi sembra che la presenza o meno del fallo faccia da clinamen della sessualità umana. Il clinamen, per i filosofi antichi, era quell’inclinazione della caduta degli atomi che permetteva l’estrema varietà delle combinazioni che chiamiamo mondo. L’inclinazione fallica degli esseri umani produce una miriade di configurazioni, di cui il transgender (ma ogni transgender è un caso a sé)[13] è solo una delle tante declinazioni. A differenza di Lacan, però, quel che mi sembra essenziale non è solo la presenza o assenza del fallo, ma anche l’averlo o il riceverlo. In questo senso possiamo dire che la vagina maschile di Hansbury è tutta dentro la logica fallica.

            In definitiva, quel che mi sembra un’ingenuità non solo della queer theory, ma in genere della provocazione post-moderna (“non ci sono solo due genders, ma tanti”), è che essa resta, malgrado tutto, imprigionata in quella logica del gender da cui essa vorrebbe evadere. È come credere che si sfugge alle identità sessuali allungando a dismisura la catena LGBT…. Etichettando qualcuno entro il ventaglio LGBT, non si sfugge all’etichettatura… Così, dire che gli uomini hanno una vagina psichica (ovvero, una recettività femminile) non è sfuggire all’aut aut M/F, è solo allargare questa opposizione disconnettendola dai corpi anatomici. Mentre Freud era andato ben oltre dicendo che la sessualità in sé non è né maschile né femminile. E che, come i bambini, restiamo tutti perversi polimorfi.

            È come se, per esempio, volessimo superare il sistema delle caste della società indiana ordinando che ciascun indiano per sei mesi sia un brahmano (la casta superiore), per altri sei mesi un Kshatriya (guerriero), per altri sei mesi un Vaishya (commerciante), per sei mesi un Dhalit (intoccabile), e così via per tutte le caste che ci sono in India! Non è facendo partecipare ciascuno a tutti i sistemi castali che si supera la logica delle caste. Analogamente, mi pare che molta parte del pensiero postmoderno soprattutto americano sia molto lontana dall’uscire da una logica, nel fondo normativa, dei genders.



[1] Svetonio, De vita Caesarum, Divus Iulius 49-54.

 

[2] K. Horney, Psicologia femminile, Armando, Roma, 1973.

[3] Questo anche se Freud, come è noto, in contrapposizione a Karen Horney disse che “l’anatomia è il destino” (“La caduta del complesso edipico”, 1924, OSF 10, GW 13). Ma di fatto tutta la sua teoria dice il contrario. Tutt’al più, sulla scia di Pindaro, possiamo dire che ciascuno cerca di diventare ciò che è, ma non sempre ci riesce.

[4] Ho sviluppato questa distinzione in: What are Perversions? (Karnac, 2016).

[5] S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell’uomo dei lupi), OSF 7, GW 12.

[6] Tema sviluppato in Lacan, Il Seminario, libro VII: L’etica della psicoanalisi, Einaudi 2008.

[7] “Nelle sue fantasie incarnate il suo orifizio era profondo, ampio e spazioso, un «buco nero risucchiante», che con la sua forza di gravità poteva aspirare e trattenere dentro di sé oggetti enormi, peni dalle dimensioni di pianeti, un’intera Via Lattea di eiaculazioni” scrive Hansbury. Queste iperboli cosmiche ci danno la dimensione di un godimento che mira all’infinito. Quel “sentimento oceanico” di cui Romain Rolland aveva parlato a Freud.

[8] Elvio Fachinelli, Claustrofilia, Adelphi, 1983.

[9] Nicholas Abraham, Maria Torok, La scorza e il nocciolo, Borla, 1993.

[10] La passione di farsi orinare in faccia, nei giochi masochistici, deve far pensare. Si tratta evidentemente dell’identificazione di sé a una tazza del cesso, ma anche dell’imitazione della posizione femminile che riceve del liquido (in questo caso urinario, non spermatico) dall’altro. Significa questo che la vagina è identificata a un pisciatoio, o che la propria bocca-pisciatoio viene innalzata alla dimensione di una vagina?

[12] Si nota che il transgender donna tende spesso ad aderire agli stereotipi sociali della femminilità, anche nella scelta della professione.

[13] In un saggio in via di pubblicazione (Lo psichiatra e il sesso, Mimesis; pp. 101-109) distinguo nettamente il Transessuale propriamente detto da quello che chiamo Transgenere Immaginario;

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