Flussi di Sergio Benvenuto

Memoria e desiderio in psicoanalisi22/dic/2022


4 giugno 2022, intervento all’Association of Dynamic Psychotherapy, Vilnius, Lithuania

 

 

              “April is the cruelest month

 Mixing memory and desire…

                                               T. S. Eliot (The Waste Land)

 

The author reconstructs shortly the old debate around the neutrality of the analyst in the cure. He enlarges the scope discussing the role of transference, ocuntertransference, empathy in the analytic cure. Especially he deconstructs Bion’s statement according to which the analyst should exclude memory and desire from his mind during a session. The author sketches a vision of the analytic strategy as bound to some precise idealities of modern times, and he identifies these ideals as completely consistent with the kind of liberal-democratic societies where psychoanalysis have developed. He states that some precise political conditions are fundamental in order for a psychoanalytic ethical technique to be practiced.

 

 

1.

Una barzelletta ebraica parla di uno psicoanalista ebreo di New York. Costui ogni mattina prende l’ascensore per salire nel suo studio in cima a un grattacielo. Un ascensore su cui salgono varie persone, e che è guidato da un addetto. Solo che ogni mattina, quando l’ascensore si ferma al 13° piano, entra un uomo il quale, appena vede lo psicoanalista, senza dir nulla gli sputa in faccia. L’analista allora prende un fazzoletto e si asciuga il volto senza batter ciglio. Questa scena si ripete identica ogni mattina. Finché l’addetto all’ascensore non può far a meno di chiedere all’analista: “Ma perché lei si lascia sputare in faccia ogni volta senza mai reagire?” Al che l’analista: “Ragazzo mio, è il suo problema!”

Non so se stesse pensando a questa storiella quando Jacques Lacan disse che l’analista è un santo. Egli pensava al modo di reagire al transfert degli analizzanti, come si chiamano i pazienti in Francia. Se per esempio l’analizzante mostrerà amore e ammirazione nei confronti dell’analista, costui non deve gonfiare il petto, non deve sentirsi lusingato da questo amore e ammirazione e magari ricambiarli. Anzi, dovrà chiedersi chi veramente l’analizzante ami e ammiri attraverso il simulacro dell’analista. Se all’inverso l’analizzante mostra odio nei confronti dell’analista e magari lo insulta, quest’ultimo non dovrà offendersi come farebbe nella realtà sociale (perché l’analista è un uomo o una donna come tutti gli altri), non dovrà rispondere alle provocazioni dell’analizzante con proprie provocazioni e insulti. In questo senso è un santo. Se una analizzante isterica gli salta al collo per baciarlo, non la bacia a sua volta, si comporterà piuttosto come Socrate con Alcibiade (qual si legge nel Simposio di Platone), che non accetta le sue profferte sessuali. Se un analizzante ossessivo non smette di criticarlo e lo oltraggia, non lo sbatte fuori di casa…. Sopporta, tollera.

O per lo meno dovrebbe cercare di non far vedere questi suoi sentimenti, dovrebbe prendere una “poker face”, ovvero non farli trasparire durante il gioco.

Questo viene chiamata di solito benevola neutralità dell’analista. Che significa più cose. Una è questa di cui abbiamo parlato: il “non prendersela a male”, cioè distinguere sé stesso come soggetto da quella persona amata od odiata o disprezzata che lui è per l’analizzante. Ma per neutralità dell’analista si intende anche il fatto che l’analista non “voglia il bene” del proprio analizzante. Se uno viene a farsi curare perché dice “non riesco a trovare moglie”, la sua domanda esplicita è “aiutami a trovare moglie”, ma lo psicoanalista – a differenza di altri psicoterapeuti – non accetta di rispondere a questa demand (domanda per avere). Ovvero, non si spremerà il cervello per capire come il suo cliente possa trovare moglie… Per lui curare non è cercare di dare all’analizzante l’oggetto di soddisfazione che lui/lei richiede. Grazie all’analisi potrà emergere che, invece, egli aborrisce sposarsi e metter su famiglia, solo che non lo sapeva, ed è forse proprio per questo che per l’intera vita non ha trovato moglie. Neutralità significa quindi che l’analista non cerca di gratificare l’analizzante soddisfacendo la sua domanda. Egli porta l’analizzante in un altrove che Freud chiamò inconscio, di cui la domanda iniziale è solo la maschera.

 

2.

Col tempo la neutralità dell’analista è stata sempre più criticata da varie scuole. I kleiniani hanno insistito sul controtransfert dell’analista: i sentimenti dell’analizzante nei confronti dell’analista, e gli atti che ne conseguono, innescano nell’analista a sua volta sentimenti più o meno reattivi. In un primo tempo si considerava il controtransfert una reazione sbagliata, poco professionale, dell’analista. Se per esempio a un certo punto l’analista sente crescere in sé una franca antipatia nei confronti dell’analizzante, non deve “rispondere per le rime”, ma deve interrogarsi sul perché egli sente sorgere quell’antipatia, dato che un vero professionista – si diceva – dovrebbe essere alquanto indifferente nei confronti dell’analizzante. L’analista deve essere un duro, non deve sentirsi sfidato dai sentimenti che gli esprime l’analizzante.

Invece, molti pensano oggi che l’analista debba usare il proprio controtransfert per capire il transfert dell’analizzante e quindi i suoi investimenti inconsci. Per esempio, l’analista potrebbe capire che quella propria antipatia nei confronti dell’analizzante è una risposta inconscia al fatto che l’analizzante si sta comportando in modo sottilmente provocatorio e frustrante nei confronti dell’analista, proprio come in gioventù faceva col padre mettiamo. Per esempio, un analista kleiniano diceva “Ogni volta che io sento noia e quasi mi addormento quando un paziente parla, capisco che inconsciamente lui vuole cantarmi la ninna nanna, vuole che io mi addormenti, come la madre faceva con lui, ecc. ecc.” Per questa ragione, nelle supervisioni che si fanno oggi in molte scuole (in particolare dell’International Psychoanalytic Association) si chiede sempre a chi porta un caso, in modo quasi rituale, “che cosa sentivi con lei, con lui?” Quel che sente l’analista nei confronti di un analizzante diventa spesso più importante di quel che l’analizzante sente e dice.

A un certo punto lo stesso principio di “benevola neutralità” dell’analista è stato messo in questione. L’analista è un essere umano, non può non sentire sentimenti precisi nei confronti dell’analizzante. Questo ha portato, sulla scia di Heinz Kohut, a mettere al centro la capacità di empatia dell’analista. Lungi dall’essere neutrale, l’analista deve empatizzare col proprio paziente, insomma, deve partecipare alle sue gioie e dolori. [Mi chiedo però che cosa un analista del genere farà con pazienti nettamente antipatici, alcuni anche odiosi, come sono spesso certi paranoici. Eviterà di curarli? In effetti molti analisti non prendono un certo tipo di pazienti perché non li tollerano. Un analista mio amico diceva che aveva orrore delle donne isteriche e non le prendeva mai – eppure la psicoanalisi è nata proprio, a Vienna, come cura delle isteriche.]

 

3.

Paradossalmente però l’affermarsi in varie aree della psicoanalisi di questo principio dell’empatia ha portato, soprattutto in Italia, al successo di una raccomandazione di Wilfred Bion che sembra andare in senso opposto.

Questa sentenza è: “l’analista deve sospendere memoria e desiderio”. Il successo di questa frase è tale, che la si può considerare, ormai, come la prescrizione-base fondamentale degli analisti italiani nel primo XXI° secolo. Il successo di questa prescrizione è evidentemente connesso a quella cruciale della neutralità dell’analista.

Gli estimatori di Bion si riferiscono a questo brano, o ad altri simili:

 

“Le condizioni in cui l’intuizione opera (intuisce) sono pellucide e opache. Ho già sottolineato che, dal vertice di chi intuisce, le opacità sono sufficientemente individuabili da poter dare loro un nome, per quanto primitive e deficitarie possano esserne le ascrizioni. Tali sono la memoria, il desiderio e la comprensione. Tutte queste opacità ostacolano l’’intuizione’. E’ per questo che ho asserito che lo psicoanalista deve esercitare la sua intuizione in modo tale che essa non venga danneggiata dall’intrusione della memoria, del desiderio e della comprensione.”[1]

 

Da notare che nella ripresa di questa ultima frase da parte dei bioniani di oggi, di solito si espunge la comprensione. Questa amputazione è dovuta al fatto, credo, che per molti analisti, spesso influenzati dalla fenomenologia filosofica, la comprensione è invece indispensabile, sempre. Pensano che l’analista debba soprattutto comprendere (verstehen), in senso fenomenologico, i suoi pazienti.

Personalmente penso invece che sia impossibile per l’analista non desiderare e non ricordarsi, dato che è prima di tutto un essere umano. La memoria e il desiderio è quel che ci fa soggetti umani, per cui, anche se crediamo di aver messo da parte memoria e desiderio, di fatto inconsciamente desideriamo e ricordiamo. Questo è l’ABC della psicoanalisi, almeno con Freud.

Sospendere memoria e desiderio è qualcosa che viene a Bion forse dal buddhismo. Ma Freud non era buddhista, e nemmeno stoico: non credeva che si possa sospendere mai il desiderio. Dire “non devo desiderare più” significa “desidero non desiderare”, quindi, sempre di desiderio si tratta. La psicoanalisi quindi rompe con un’antica tradizione di saggezza, secondo cui bisogna vivere essenzialmente senza speranze e senza timori, svegliarsi ogni mattina come se quello fosse il proprio ultimo giorno. Freud certo non crede che sia veramente possibile questa eliminazione dei desideri e dei timori.

Quanto alla memoria, essa è costitutiva dell’inconscio stesso. L’inconscio è una memoria che non si ricorda. Dire di sospendere la memoria equivale a dire di sospendere il proprio inconscio, il che è l’opposto di quel che raccomandava Freud all’analista. Secondo lui invece occorreva che l’analista attingesse continuamente al proprio inconscio, ovvero alla propria memoria rimossa. Quando Freud raccomandava l’”attenzione (anche) fluttuante” all’analista, intendeva proprio questo: l’analista ascolta l’inconscio del proprio analizzante col proprio inconscio. Solo la memoria desiderante ci rende creativi.

L’analista certamente desidera analizzare, ovvero è desideroso di verità. Non gli basta confortare o coccolare l’analizzante, lo spinge a dire la verità. Questo è quello che distingue, a mio parere, la psicoanalisi da altre psicoterapie (il che non significa affatto che la psicoanalisi sia buona e queste psicoterapie cattive!). Altri psicoterapeuti desiderano soddisfare la domanda del paziente - ad esempio, aiutarlo a trovare moglie se ne desidera una. Lo psicoanalista desidera soprattutto portare un soggetto alla propria verità. Il fatto che questo portare un soggetto alla propria verità comporti anche, nella maggior parte dei casi, un aumento della soddisfazione del soggetto, è un dato, ma non è quel che un analista consapevolmente persegue. La guarigione dell’analizzante per lo più sorprende l’analista stesso.

 

4.

Ma anche se l’analista potesse essere neutro, oggettivo, del tutto spassionato, non lo sarebbe l’analisi. Essa non può essere neutra, perché l’analisi è nata e ha prosperato sulla base di alcuni presupposti etici fondamentali, che sono quelli della nostra epoca. Ragion per cui la psicoanalisi è nata agli inizi del XX° secolo, e non, ad esempio, nel XVII° secolo di Descartes, Hobbes o Spinoza.

Lacan ha detto (nel seminario L’etica della psicoanalisi, cap. 1) che l’analista persegue certe idealità, che sono: (1) la promozione dell’amore umano, (2) la non-dipendenza e quindi l’indipendenza del soggetto, e (3) l’autenticità. Sarebbe troppo lungo analizzare che cosa implicano queste tre idealità. Ma mi pare importante notare che queste idealità hanno un senso politico preciso. Queste idealità sono quelle assolutamente tipiche della donna e dell’uomo moderni.

             Per moderni non intendo tutte le persone che oggi vivono su questo pianeta. Sappiamo bene che, probabilmente anche in Lituania, ci sono tante persone anti-moderne o poco moderne. In molti paesi ci sono terrapiattisti, persone che non credono che la terra sia rotonda ma piatta. Pare che solo negli USA i terrapiattisti siano il 10% della popolazione. Ho conosciuto persone tolemaiche, sono convinte che la terra sia al centro dell’universo. Tante altre credono nei miracoli, ad esempio, o negli UFO, o in tante altre cose che la razionalità dominante o il moderno sapere scientifico escludono. Ora, è parte essenziale di quella che consideriamo modernità la fiducia data alle scoperte della scienza.

            Qui per modernità intendo un certo ideale di umanità che si è affermato in certe aree del mondo – certamente in Lituania – ma non in altre. Talvolta si parla di “cultura occidentale”, ma di fatto includiamo in questi paesi non geograficamente occidentali, come il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan, l’Australia, la Nuova Zelanda, Israele… Comunque la modernità come idealità non coincide con certi paesi e con certi regimi politici, questa idealità attraversa quasi tutti i paesi - forse persino l’Afghanistan dopo il 2021.

Questa idealità comprende le tre idealità espresse da Lacan, che chiamerei 1) liberazione della sessualità amorosa, 2) autonomia dell’individuo, 3) autenticità del soggetto. Ma queste idealità sono state espresse da tutte le varie correnti artistiche che si sono affermate dalla nostra parte del mondo da un secolo e mezzo a questa parte, a partire dall’impressionismo in poi; inoltre dai filosofi che hanno marcato l’ultimo secolo e mezzo, da Nietzsche a Deleuze, da Wittgenstein a Foucault. Di fatto la stessa democrazia liberale è parte di questo ideale di modernità, anche se una parte della modernità la critica come insufficiente. La democrazia si basa sull’autonomia degli individui, la cui somma costituisce il vero sovrano, gli individui sono cioè il fondamento di ogni potere politico legittimo. I diritti delle minoranze sessuali come i LGBT+, o i diritti delle donne (che non sono minoranza ma tenute in passato in posizione minoritaria), sono aspetti della promozione della sessualità amorosa: nulla più regola l’espressione della libido, se non la tutela del diritto dell’altro a non soffrire.

            Secondo molti colleghi analisti la psicoanalisi non presuppone né una società né ideali liberal-democratici. Molti pensano - da E. Fromm fino a S. Žižek - che la psicoanalisi sia compatibile col marxismo, e trovano del tutto congruenti Marx e Freud. Invece io non credo che psicoanalisi e marxismo possano amalgamarsi. In effetti, la psicoanalisi è quella che in inglese si chiama liberal art. Ma non mi sembra un caso che i regimi non liberal-democratici, siano essi fascisti o comunisti o confessionali, di solito abbiano bandito la psicoanalisi e l’abbiano perseguitata. So che anche in Lituania la psicoanalisi si è diffusa solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica, non sarebbe stata possibile prima. Quando in Argentina dominava la dittatura militare, molti psicoanalisti furono uccisi e perseguitati dal regime proprio perché psicoanalisti. In una dittatura, di qualsiasi tipo, la psicoanalisi non respira, soffoca, muore.

            È vero che l’analista non predica queste idealità, non le teorizza, come fece uno psicoanalista dissidente, Wilhelm Reich, un tempo molto popolare nell’Europa occidentale e in Nordamerica. L’analista non è un propagandista della modernità. Ma appartiene intimamente alla modernità, che gli fa da sfondo. Spesso dico che la psicoanalisi cura i feriti della modernità, ma non per farne un esercito di anti-moderni. Perché la modernità può essere dura, può uccidere e ferire.

            La modernità, ho detto, non è un dato di fatto, è un’idealità. Ovvero, una certa condizione umana desiderabile per molti (ma non per altri), e un modo di re-interpretare il passato in relazione a questa desiderabilità.

            La modernità mette al centro la soggettività, la singolarità di ogni soggetto, nel senso che ogni soggetto è portatore di una verità unica. Ma questa verità unica si basa su una rimemorazione che traccia il percorso di una alienazione.

Ora, questa verità non è fuori del soggetto, è nel soggetto stesso in quanto è in parte artefice della propria alienazione. È nella propria originaria alienazione nell’Altro che il soggetto rivela la propria verità, e l’analista scommette sul fatto che questa verità possa liberarlo. In questo modo, l’etica della psicoanalisi rinnova la promessa evangelica, “la verità vi farà liberi” (Giovanni 8,31-42).

E credo che una delle ragioni per cui molti detestano la psicoanalisi sia proprio questa: non credono che la verità possa liberare. E pensano che la libertà si possa basare solo su delle illusioni. È in questa sfida che la psicoanalisi si gioca la propria esistenza nel mondo moderno.

 

Bibliografia

 

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S. Žižek, Guida perversa alla politica globale, Ponte alle Grazie, 2022.

 



[1] Bion (1996), pp. 315-316.

 

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