Flussi di Sergio Benvenuto

L'Altro del perverso10/giu/2023


 

 

  1. 1.     Le perversioni come sconfessione

            Ho lavorato a lungo sui perversi, anche se è raro che un analista tratti un vero perverso. Il perverso riesce in effetti a godere, e magari a plus-godere, per cui non ha bisogno dei servigi dell’analista. A differenza del nevrotico, che invece non riesce a godere e chiede a un analista l’arcano di questo suo non poter godere o del suo soffrire. Il problema del godimento perverso è che esso talvolta incorre nei rigori della legge, ragion per cui le descrizioni accurate dei perversi vengono per lo più da psichiatri forensi o da analisti che lavorano con i tribunali. L’analista in studio si trova piuttosto a trattare nevrotici con tratti o aspetti perversi. Cura nevrotici che fanno dell’essere perversi il loro sintomo.

Attraverso questo lavoro, mi sono posto due domande fondamentali che non sembrano tra loro connesse. La prima è: ma esistono davvero le perversioni? E la seconda, che sembra di natura squisitamente filosofica e ben poco clinica, è: ma per la psicoanalisi esiste veramente l’altro soggetto? In realtà queste due domande sono tra loro strettamente implicate.

            Esistono le perversioni?

            Certe scuole, a cominciare da quella lacaniana, fanno delle perversioni una struttura coerente e irriducibile alle nevrosi e alle psicosi. Questa struttura si impernia attorno al concetto di Verleugnung, sconfessione o diniego, che Freud elaborò a proposito del feticismo[1]. Da bambino il futuro feticista osserva il genitale femminile ma non accetta questa realtà, nel senso che inconsciamente egli continua a credere che le femmine abbiano un pene; da adulto il feticcio – scarpe, calze, piede… – funziona da sostituto del pene. In effetti, di solito i feticisti dicono di sospettare di essere omosessuali. Egli è quindi un soggetto diviso, in quanto da una parte sa come tutti che le donne non hanno un pene, dall’altra “sa” che lo hanno.

            Questa tesi freudiana sul feticismo viene invocata come modello per spiegare tutte le altre perversioni; purtroppo però non viene spiegato come la sconfessione agisca nelle altre perversioni. Ad esempio, un pedofilo che corteggia un bambino in che modo sconfesserebbe non dico l’assenza di pene nella donna, ma qualsiasi cosa?

            Ho cercato comunque di dare una coerenza alle varie perversioni giocando proprio su quella divisione dell’Io (Ich-Spaltung) che appare evidente nel feticismo. E ne ho tratto il quadro seguente:

 

                                    SCONFESSIONE (Verleugnung)

Perversione               Sapere per godere                             Sapere sconfessato

 

FETICISMO:             la donna ha un pene               la donna non ha un pene

SADISMO:                la vittima è colpevole                la vittima è innocente

MASOCHISMO:       il carnefice è furibondo               il “carnefice” è solo complice

VOYEURISMO:        sono incluso nella scena           sono escluso dalla scena

ESIBIZIONISMO:     chi mi guarda gode                               chi mi guarda è disgustato

PEDOFILIA:  il bambino desidera sessualmente l’adulto  il bambino ha

                         orrore della sessualità adulta

TRAVESTITISMO:  l’altro mi vede donna                       io mi so uomo

 

            Mi sembra che questo quadro non necessiti di spiegazioni. Forse qualcosa va detto solo sul sadismo. La vittima del sadico è innocente o colpevole perché l’atto sadico è per lo più un atto morale: il sadico vuole punire una sorta di peccato più o meno immaginario dell’altro. Il sadico molto spesso è un giustiziere, soprattutto delle dissolutezze femminili. Non a caso molto spesso le vittime dei sadici sono prostitute, come accadde a Londra nel 1888 con Jack lo Squartatore: esse vengono “punite” per la loro vita immorale. In altri casi la donna va punita per il suo essere donna.

            Ci si domanda però: queste variazioni sulla sconfessione colgono davvero una struttura di fondo delle perversioni, o sono un artefatto? La risposta potrà venire solo dall’analisi puntuale di ciascuna perversione.

 

  1. 2.     Sconfessare le perversioni

Altri invece negano che le perversioni esistano come concetto clinico fondamentale, si tratterebbe piuttosto di una etichettatura a variabilità sociologica[2]. In effetti, la lista delle perversioni cambia a seconda del cambiamento del costume. Oggi non consideriamo più perverse forme che prima erano considerate tali – prima tra tutte l’omosessualità.[3] E così è scomparsa la gerontofilia (la differenza di età tra i partner sessuali è considerata parte di un diritto). Ma basti pensare che fino agli anni ‘60 anche psicoanalisti molto progressisti consideravano perversioni il sesso anale od orale tra un uomo e una donna, cosa oggi praticata senza problemi dalla maggioranza delle coppie.

            Interessante la scomparsa del narcisismo come perversione, anche se il termine era stato coniato proprio per descrivere una perversione[4] – trarre soddisfazione sessuale solo dalla propria immagine di sé – prima che Freud lo riprendesse dandogli una portata molto più vasta, in opposizione alla libido oggettuale[5]. Evidentemente la morale moderna considera la fascinazione per la propria immagine qualcosa di normale, un versante della vita erotica di ciascuno. Eppure ho seguito casi dove il narcisismo erotico si combina al feticismo, dove il corpo del soggetto diventa feticcio di se stesso; ne parlerò nell’addendum.

All’inverso, sembra che si formino nuove perversioni col cambiare della mentalità. A fine Ottocento la pedofilia, per esempio, soprattutto quella ecclesiastica, era ampiamente tollerata; oggi è considerata uno degli atti criminali peggiori. Ho l’impressione che diventi sempre più qualcosa di perverso l’andare con prostitute; in certi paesi già si multano i clienti delle meretrici. In altre epoche, invece, andare con prostitute era la cosa più normale del mondo, cosa di cui non ci si doveva vergognare. Un’aura di riprovazione crescente avvolge sempre più non le prostitute, ma i loro clienti.

 

Quindi, per ‘perversione’ non intenderemmo altro che atti e fantasie sessuali che non consideriamo normali secondo i nostri criteri – in una data epoca, in un dato contesto culturale. Del resto, consideriamo perversioni sia degli atti criminali gravi – come quelli sadici o pedofili – sia atti innocui, come i giochi del feticista masochista che paga una prostituta per farsi camminare addosso. ‘Perversione’ sarebbe un concetto meramente negativo, un paniere nel quale mettiamo qualsiasi atto sessuale che disapproviamo. La frontiera tra gioco sessuale e perversione si fa incerta.

Talvolta riconoscere la perversione non è immediato. Ad esempio, i clienti dei travestiti di solito domandano di essere sodomizzati dal travestito; ma questo non va interpretato come una forma sghemba di omosessualità. Questo atto è inscritto invece in un’ottica masochista: è l’umiliazione di essere sodomizzati da donne. E’ godere del godimento della donna fallica che esercita un dominio anche sessuale sul soggetto.

            Nei miei lavori[6] ho cercato di dimostrare che il bazar delle perversioni – le quali sono sostanzialmente le stesse, oggi, sia per gli analisti che per i manuali diagnostici ufficiali (DSM, ICD) - comunque ha una sua unità di fondo. Questa unità si riassume nell’etero-distonia. Le nevrosi sono ego-distoniche, le perversioni etero-distoniche, ovvero queste implicano una sofferenza o impotenza dell’altro. Chiunque sia in una posizione nevrotica dice “Vorrei ma non posso”. Chiunque è in una posizione perversa dirà piuttosto: “Per godere ho bisogno che l’altro reagisca in un certo modo e il fatto che l’altro non ci stia mi fa godere.”

            Non a caso non viene annoverata tra le perversioni la masturbazione, anche se nell’Ottocento la medicina imbastì una vera campagna persecutoria per prevenire la masturbazione tra i fanciulli. In effetti, la masturbazione non implica un danno all’altro. Inoltre per la natura propria la masturbazione si risolve sempre in un minus-godimento, là dove invece quello perverso è sempre non plus-godimento.

            Ora, quando entra in gioco la distonia dell’altro, siamo in pieno regime etico. Di solito le regolazioni morali, ad esempio i Dieci Comandamenti, sono precetti su cosa fare o non fare all’Altro (Dio) o all’altro, ovvero agli umani come me. I comandamenti mi dicono che devo credere solo nell’Altro, che non devo pronunciarne invano il nome, che devo santificargli le feste. Quanto all’altro umano, mi dicono che non devo derubarlo, non ucciderlo, non tradirlo sessualmente con altra persona, non desiderare le sue cose più importanti, ecc. Quando parlo di eterodistonia nelle perversioni mi riferisco dunque a una falla etica nel rapporto sessuale con l’altro.

            Se ne rendeva conto lo stesso Lacan, quando in Kant con Sade[7] mette a confronto l’imperativo categorico di Sade con la morale kantiana. Si tratta di un brillante accostamento che va oltre il caso di Sade, dato che pretende di essere una descrizione del fantasma sadomasochista in generale. Ora, il mondo perverso è pensato da Lacan in relazione alla morale di Kant del puro dovere. Insomma, anche per Lacan la perversione è connessa strettamente a una problematica etica.

Non bisogna però credere, come molti credono, che la perversione consista nel trasgredire delle norme morali. Anche perché in certi casi – come nel masochismo – è il perverso stesso a stabilirle motu proprio. Il perverso è qualcuno che usa la legge per godere, ma questo godimento non consiste unicamente nel trasgredire la legge o nel simularla. Credo che l’atto perverso sia la riedizione di una scena traumatica reale o immaginata, di una scena-madre direi, dato che spesso la protagonista è la madre. Questo carattere di ripetizione è evidente nella pedofilia, se è vero che la grande maggioranza dei pedofili sono soggetti che da bambini hanno subito atti sessuali da parte di adulti; essi ripetono la scena traumatica invertendo il proprio ruolo.

            Un esempio molto semplice. Un urofilo amava farsi urinare addosso e in bocca dalla sua amante. Si trattava a suo modo della ripetizione di una scena della prima adolescenza, quando un suo amico, per mostrargli disprezzo e derisione, gli urinò addosso mentre stavano con altri amici. Il Nostro aveva molto mal sopportato quello sfregio. E anni dopo fece ruotare la sua vita sessuale attorno all’urina.

Lacan diceva che la nevrosi è una domanda senza risposta; il nevrotico va dall’analista per avere risposta a questa domanda che il sintomo articola. La psicosi è invece risposta senza domanda: l’allucinazione, per esempio, o il delirio, sono risposte a una domanda che al soggetto è sbarrata. Quanto alla perversione, potremmo dire che l’atto perverso è una risposta a un’altra domanda, non a quella nota e comprensibile connessa all’attrazione sessuale. Il masochista, ad esempio, che si fa umiliare, dominare e picchiare da una donna risponde così a una domanda altra rispetto a quella della donna reale, che non chiede al soggetto di farsi umiliare e dominare. E questa domanda altra non può essere che domanda che proviene dall’Altro, da qualcun altro rispetto al partner concreto, reale.

 

            Confesso comunque un mio dubbio. Quando connetto strettamente le perversioni all’etero-distonia e quindi alla regolazione etica del rapporto con l’altro, sto parlando semplicemente di quel che oggi si considerano perversioni? Sto descrivendo che cosa con questo termine intendono implicitamente psichiatri e analisti attualmente? Oppure quelli che oggi chiamiamo perversi ci mostrano l’essenziale della posizione perversa universalmente intesa? Insomma, sto descrivendo la logica del perché chiamiamo certe persone perverse, oppure la logica della perversione stessa? La psicoanalisi non è storicista, per cui punta a considerare solo le descrizioni valide universalmente, al di là delle epoche e delle culture. La psicoanalisi si interessa alla struttura perversa, anche se ammette che questa possa essere presa in discorsi storici diversi.  Qui lascio aperto anche questo dubbio.

 

3. L’altro è un oggetto

Ma il punto è: che cosa è l’altro?

            Per Lacan ci sono tre “altri”. C’è l’Altro simbolico, il quale non esiste, dato che è un luogo o una posizione. E’ come il rovescio di un guanto, la parte che non si vede: posso rovesciare un guanto quanto voglio, ci sarà sempre un inverso interno. C’è poi l’altro con ‘a’ piccola, l’altro immaginario, ovvero quell’immagine speculare di noi stessi che ritroviamo negli altri. E c’è l’oggetto a, dove a sta anche qui per altro, qualcosa dell’ordine del reale che capta il soggetto. Tre altri, simbolico immaginario e reale. Ma quello che noi ingenuamente intendiamo per ‘altro soggetto’, l’altro in quanto è a sua volta un soggetto, ha posto in questo sistema? Evidentemente no. Come non aveva posto per Freud. Se avesse posto, saremmo già nell’intersoggettivismo, e la psicoanalisi non è intersoggettivista (anche se lo è l’attuale relazionismo soprattutto americano). Per la semplice ragione che la psicoanalisi nasce come progetto scientifico, e quello scientifico è sempre un punto di vista a partire dal quale concetti sintetici, come ‘l’altro soggetto’, sono analizzati ovvero smontati in oggetti. Se ci occupiamo da biologi di un organismo, tutto quello che interagisce con questo organismo è oggetto ambientale rispetto a questo organismo, anche se si tratta di altri organismi. Analogamente, per un soggetto non ci sono altri soggetti, ma questi altri sono oggetti con certe qualità. Non a caso un importante filone psicoanalitico si chiama object relation theory: siamo sempre in relazione con un oggetto, anche se questo è un altro soggetto. Ciascuno di noi è oggetto e non soggetto per l’altro. Così, se una persona mi ama, sarebbe un’illusione credere che questa persona mi ami perché sono il soggetto che sono, quanto piuttosto per un oggetto che contengo. La mia bellezza ad esempio, o il mio sapere, o il mio benessere, o la mia simpatia, o le mie capacità amatorie… Tutte queste cose sono oggetti. Anche per l’altro che mi ama, sono oggetto seppur speciale (Lacan lo chiamò ágalma, e anche das Ding, la Cosa). Non c’è mai quindi in psicoanalisi una relazione diretta con l’altrui soggettività. C’è l’Uno, ma senza mai veramente l’altro.

            Direi che Lacan volesse dire questo quando lanciò lo slogan “Non c’è rapporto sessuale”. Il rapporto sessuale non è, come si crede nell’euforia romantica, fusione tra due soggetti, ma ognuno è un soggetto in relazione col proprio oggetto. Solo apparentemente la soggettività dell’altro è toccata. L’atto sessuale funziona grazie a un bricolage riuscito.

            Nel secolo scorso si è sviluppata una dottrina, la fenomenologia, per la quale invece abbiamo un rapporto diretto, immediato, con l’altrui soggettività. Nell’Erlebnis, nel vissuto, abbiamo a che fare con l’altro non come oggetto ma direttamente come soggetto. Percepiamo l’altrui soggettività, così come percepiamo il tavolo che abbiamo davanti. La soggettività dell’altro è un dato di intuizione, non è il risultato di un’induzione. Emmanuel Levinas parla molto del dévisager, quando guardiamo in faccia un altro essere umano: in questo incontro di sguardi, si impone a noi la patetica soggettività dell’altro[8].

La fenomenologia di fatto è una filosofia anti-scientifica sorta non a caso proprio quando la scienza e la tecnica hanno iniziato il loro gande slancio, all’inizio del XX° secolo. Direi che essa è la sola filosofia anti-scientifica, in competizione con la scienza, che sia mai sorta. Alla spiegazione scientifica oppone la descrizione fenomenologica basata sulla riduzione trascendentale. Questa filosofia è alternativa quindi anche alla psicoanalisi, nella misura in cui questa si voleva parte della intrapresa scientifica, eppure la fenomenologia spesso ha influenzato gli analisti, talvolta spingendoli fuori dalla psicoanalisi. La psicoanalisi non è una scienza, ma ha idealità scientifica, e la fenomenologia vuole eliminare dalla pratica analitica questa idealità, che consiste nel tentativo, da parte della psicoanalisi, di ricostruire certi processi soggettivi[9], un po’ come si ricostruisce un delitto o la storia di una persona.

            Per quel che mi riguarda, ho cercato di trovare un punto che stia tra psicoanalisi e fenomenologia. Questo punto è quello di considerare l’intreccio tra la perversione e la dimensione etica. Punto sulla coerenza nella nozione di perversione, insomma: la perversione esiste. Per questa ragione evito il termine parafilia con cui oggi la psichiatria l’ha ribattezzata. Parafilia, termine greco, “amore sbagliato”, obbedisce a un precetto di correttezza politica in quanto depriva la perversione proprio di quella connotazione morale che secondo me va mantenuta.

 

4. Il soggetto-come-me

            Quando, al di là di una certa melassa fenomenologica, appare quel che chiamiamo ‘l’altro concreto’, cioè un altro soggetto come me? Abbiamo detto che non è l’altro come oggetto di amore o di odio, di ammirazione o di disprezzo, di simpatia o antipatia, perché l’altro dei nostri affetti funziona come nostro oggetto. Il soggetto come me emerge non dal guardare in faccia, come vuole Levinas, ma dal comando etico-giuridico, dalla legge. Quando Dio dice “Tu non ucciderai”, ci sono tre attori: Dio, l’Altro, che enuncia la norma[10]; il “tu” a cui si rivolge, e che è chiunque di noi nella misura in cui ci sentiamo implicati in una legge; e l’altro che non va ucciso, il quale può essere chiunque, anche in questo caso. Questo altro che non va ucciso – né derubato, né tradito, ecc. – è l’altro-soggetto-come-me. E in effetti le posizioni di io come “tu” della legge da una parte e dell’altro dall’altra sono intercambiabili: io sono quello che non deve uccidere, ma per lo più anche quello che non deve essere ucciso. Quando l’altro è protetto dalla legge, funziona da soggetto-come-me. Posso negare questa alterità agli animali, ai nemici, agli schiavi. E questa negazione equivale a dire “non sono soggetti”. Il soggetto-come-me è un’istituzione della legge. Non è che ci siano dei soggetti e quindi la legge li tuteli, ma il fatto che alcuni siano tutelati ne fa dei soggetti.

            Non a caso spesso il masochista scrive e firma un contratto in cui accetta la sua schiavitù nei confronti dell’altro.  Ovvero rinuncia a essere il soggetto concreto, quello della reciprocità etica. E’ vero che si tratta di un marchingegno per godere, ma un marchingegno che ha un senso preciso: negando se stesso come soggetto protetto dalla legge, il perverso interrompe la fondamentale reciprocità etica, e anche l’altro – la padrona, di solito – risulta deprivato della sua qualità di soggetto-come-me.

            “La legge è eguale per tutti”, suol dirsi. Significa che tutti, nella misura in cui siamo soggetti alla legge, siamo soggetti.

            Ora, credo che l’eterodistonia della perversione riguardi proprio questo eteros, questo altro, in quanto protetto dal comandamento.

 

5. L’altro necessario

            Ma come concretamente si manifesta questa eterodistonia perversa? Essa pare evidente in tutte le perversioni che implicano una sanzione giuridica, anche se tenue. Esse girano attorno a un godimento dell’Altro – come hanno messo in evidenza i lacaniani – ma in modo che l’altro concreto, il soggetto-come-me, si situi sempre in modo sghembo, contraddittorio, con questo godimento.

Ad esempio, l’esibizionista mira a una Donna che goda nel vedere il pene (l’Altro da far godere), ma di fatto la donna come soggetto reale contraddice questo supposto godimento dell’Altro. Infatti, se la donna accetta l’esibizione come una proposta sessuale, l’esibizionista scappa via confuso: l’altro concreto deve scollarsi completamente dal godimento dell’Altro.

Analogamente, il voyeurismo fa godere il soggetto solo nella misura in cui la coppia o la persona impegnata in attività sessuali non intendono essere guardati da altri; altrimenti si tratterebbe di un semplice porno show, e chi assiste a porno show oggi non è classificato tra i perversi.

Nel sadismo l’eterodistonia è evidente. Meno evidente nella pedofilia, dato che il bambino può consentire; ma il pedofilo gode anche perché sa che nella nostra cultura gli adulti sono tenuti alla castità con i bambini. Nel nostro sistema etico i bambini possono avere tra loro qualsiasi gioco sessuale, ma mai con adulti.

            Quanto al travestitismo, in certi paesi è un reato (non si può camuffare la propria identità sessuale), ma anche dove non lo è si tratta comunque di ingannare l’altro sulla propria identità sessuale. Il non plus ultra del travestito è essere desiderato da uomini come donna[11].

            Il masochista mette l’altro, di solito la donna, nella posizione di Donna Arrabbiata. Ma la donna concreta non gode di questa posizione, si piega solo ad assecondare i desideri del masochista. Il masochismo, come le altre perversioni, infrange una legge di etica sessuale non compresa in verità nei Dieci Comandamenti: “Nell’atto sessuale cercherai di dare anche all’altro del piacere sessuale”. E’ quel che non avviene nel masochismo – e nel feticismo che spesso vi si accompagna – ma nemmeno nelle altre perversioni. Le quali implicano sempre la presenza o l’azione dell’altro, ma il cui godimento viene sempre aggirato.

            Ad esempio, sono classificate (anche dal DSM-5) la scatofilia (attrazione per le feci), l’urofilia (attrazione per le urine e altre deiezioni), la clismafilia (attrazione per i clisteri). In realtà si tratta di varianti di masochismo, dato che ci deve essere un altro che defechi sul soggetto, un altro che urini sul soggetto, e un altro che infili il clistere. Si tratta sempre di usi sessuali dell’altro, incaricato di dare al soggetto un certo godimento senza che quello di questo altro entri in gioco. Quanto alla zoofilia (attrazione sessuale per gli animali), la sua perversità è connessa a una legge non scritta ma che evidentemente la nostra cultura assume: che, così come i bambini, gli animali non possono essere partner sessuali degli adulti. All’animale viene cioè riconosciuto in parte lo statuto di soggetto-come-me. Oggi è la tutela dell’animale, non l’eccentricità intrinseca dell’atto zoofilo, a farci mettere la zoofilia tra le perversioni. Dati i progressi dell’animalismo, mi aspetto che la zoofilia venga sempre più vista come perversione.

 

In conclusione, mi rendo conto che questo mio approccio apre forse più domande di quante non ne chiuda. Il campo eterogeneo delle perversioni è un mondo fluttuante, come dicono i giapponesi, sempre aperto alle oscillazioni del “sessualmente corretto”. E’ sempre forte la tentazione di cancellare dalla lista alcune cosiddette perversioni, e magari inserirne altre. In ogni caso, il campo delle perversioni resta un’occasione unica per mettere in evidenza l’etica e la sessualità, due dimensioni che la psichiatria raramente prende in considerazione come fattori decisivi per la diagnosi e la cura.

 

 

 



[1] S. FREUD, “Feticismo”, 1927, OSF 10, pp. 491-497.

[2] Da qui la teoria, oggi molto florida, della costruzione del gender. Secondo questa concezione, si costruiscono le perversioni così come si costruiscono i genders. Cfr J. MONEY, Gendermaps: Social Constructionism, Feminism, and Sexosophical History, Continuum, New York 1995.

 

[3] L’omosessualità fu eliminata come mental disorder dal principale manuale diagnostico in Occidente, il DSM, nel 1974. Cfr. S. BENVENUTO, “Il DSM-5. Una tigre di carta”, http://www.psychiatryonline.it/node/5368, 2-XII-2014.

 

[4] Il termine fu coniato dai sessuologi, in particolare da Krafft-Ebing e Näcke.

 

[5]  S. FREUD, Introduzione al narcisismo, OSF 7, pp. 441-472.

 

[6] In S. BENVENUTO, Perversioni. Sessualità, etica, psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 2005.

[7] J. LACAN, “Kant avec Sade”, Ecrits, Seuil, Paris 1966.

 

[8] E. LÉVINAS, Etica e infinito. Il volto dell'altro come alterità etica e traccia dell'infinito, traduzione di E. Baccarini, Città Nuova, Roma 1984. “Il volto mi si impone senza che io possa cessare di essere responsabile della sua miseria. La coscienza perde la sua priorità”.

 

[9] S. FREUD, “Costruzioni nell’analisi”, OSF 11, pp. 539-552.

[10] Ovviamente il comando morale agisce anche tra gli atei. Possiamo dire che, in un discorso non religioso, emerge comunque del divino nella misura in cui la norma morale si presenta sempre come assoluta, comunque non negoziabile. Chiamiamo divino la non-relatività di certi enunciati.

[11] La posizione del travestito è illustrata in modo impeccabile nel film Une nouvelle amie di François Ozon, 2014. Ripreso dal racconto The New Girlfriend di Ruth Rendell.

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