Flussi di Sergio Benvenuto

RITRATTI. Roland Barthes15/ago/2016


          Ho seguito per anni i seminari di Roland Barthes all’Ecole Pratique des Hautes Etudes a Parigi. Se Lacan giocava la carta del profeta un po’ oracolare, Barthes invece in pubblico giocava la carta del calmo conversatore salottiero. Usava un linguaggio semplice da insegnante, ma ironico e saporito.

          Il suo libro più popolare, Frammenti di un discorso amoroso, viene snobato dagli intellettuali perché, dicono, è un libercolo che indulge agli assilli di un pubblico femminile medio. Ma in realtà mi chiedo se tutto quello che Barthes ha scritto, e tutto quello che ha detto nei seminari, non sia stato in qualche modo Frammenti di un grande e continuo Discorso Amoroso. L’erotismo, in lui appassionatamente omosessuale, è stato in fondo sempre al centro della sua ricerca – tutto quello che diceva e scriveva era inzuppato di Eros. Ricordo che, nel suo seminario sul racconto Sarrasine di Balzac - pubblicato poi come S/Z - una volta dedicò quasi due ore a parlarci dei cantanti castrati del Settecento, allora celebri – come Farinelli – nelle corti e nelle capitali per la loro voce. Si vedeva chiaramente che godeva nel sedurci raccontandoci quelle storie.

Con gli studenti era delizioso: era uno dei rarissimi professori che si interessassero al pensiero dei suoi allievi! Si capiva che la sua ammirazione per i giovani non era solo fisica: cercava anche nella loro mente una cosa che gli mancava. Ad esempio, prese subito sotto la sua ala un’allora giovanissima studentessa sbarcata dalla Bulgaria, Julia Kristeva, che poi sarebbe diventata una stella del firmamento culturale. Non sono stato nella sua cerchia di amici – quindi, non sono mai passato per il suo letto. Con i ragazzi giovani e belli, Barthes era spietato: anche se non erano gay, finiva col sedurli. L’amore, il culto inflessibile della gioventù, l’erotismo diffuso nella vita come salsa indispensabile per sopportare l’insipida polenta del quotidiano: cose indispensabili per un uomo sempre insoddisfatto, nel fondo malinconico, segretamente solitario, come lui.

Si dice che due cose lo fecero crollare: la morte della madre adorata e lo sfiorire del suo corpo. Nei suoi diari, pubblicati postumi, si vede chiaramente che il non essere più desiderato dai ragazzi, perché ormai anziano, gli toglieva la terra sotto i piedi. Si fece investire da un camion – incidente su cui plana l’immancabile sospetto del suicidio. In effetti, per un puro caso ho conosciuto uno dei medici che lo curò in ospedale dopo l’incidente: mi disse che Barthes se la sarebbe potuta certamente cavare, ma “si vede che quel paziente non voleva vivere.”  E se si legge il suo libro uscito postumo – forse una delle sue cose più belle – La chambre claire, in cui parla del suo lutto devastante (per la morte della madre, per la morte…), si capisce davvero che non volesse più vivere.

 

 

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