Flussi di Sergio Benvenuto

DIARIO ELETTORALE - 1 - RETORICA DELLA POLITICA02/set/2022


DIARIO ELETTORALE – Tribuna aperta

 

- DIARIO ELETTORALE - 2 - “Italia, la vittoria politica dell’anti-politica”, Soloriformisti, 22-VIII-2022

https://www.soloriformisti.it/italia-vittoria-politica-dellanti-politica/

 

- DIARIO ELETTORALE - 3 - Lettera di Alessandro Tessari sulle elezioni 2022

https://www.sergiobenvenuto.it/communitas/articolo.php?ID=194

 

- DIARIO ELETTORALE - 4 - Rino Falcone, "L'elezioni risolta dai sondaggi",

https://www.scienzainrete.it/articolo/lelezione-risolta-dai-sondaggi/rino-falcone/2022-09-08

 

- DIARIO ELETTORALE - 5 - S. Benvenuto, "Astensionismo"

https://www.sergiobenvenuto.it/communitas/articolo.php?ID=195

 

Retorica della politica

 

            Quando nel 1967 Roland Barthes pubblicò Sistema della moda, molti ne furono delusi. Speravano che Barthes analizzasse i vestiti, le grandi sfilate, il mondo autoglorificante della moda… invece si limitò ad analizzare i commenti che alcuni giornali femminili facevano ai vestiti alla moda. Non interpretava i vestiti, ma il modo di descriverli e di “significarli”. Questo perché, secondo lui, il vestito in sé, quello che si guarda ai défilés o in vetrina, non significa granché: quel che conta sono i significati che si inanellano a partire da questi vestiti, significati forniti dai media della moda. Prima ancora che vestiti di stoffa, secondo Barthes, si indossano significazioni.

            Dico questo perché credo che nel discorso politico corrente – che in questi giorni bolle più che mai per la campagna elettorale – accada qualcosa di simile. I politici dicono tante cose, fanno promesse concrete e allo stesso tempo lanciano slogan quasi filosofici, ma non si capisce perché facciano una proposta e non un’altra, e quale sia il senso vero degli slogan filosofici. Se prendiamo alla lettera quel che promettono i politici, si ha l’impressione di un bailamme senza senso, in cui ciascuno cerca di arraffare voti promettendo qualche prebenda. Tutto è diverso se dietro le apparenti proposte concrete, leggiamo quel che veramente conta: la visione del mondo che ogni politico, obliquamente, cerca di vendere.

            Giorgia Meloni ha annunciato in modo solenne che, se diventerà premier, metterà a disposizione fondi per permettere ai giovani di intraprendere una carriera sportiva. In sé e per sé, la cosa è accettabile anche per la sinistra. Nessuno è contrario allo sviluppo dello sport. Anzi, in paesi multietnici lo sport permette a soggetti delle etnie più povere e marginali di emergere, e magari diventare ricchi e famosi. Ma è chiaro che Meloni non vuole affatto dire che darà fondi anche a giovani italiani neri o di origine araba! Che cosa allora contrassegna una proposta del genere come “proposta tipicamente di destra?”

            Lo esplicita quasi Meloni stessa quando dice che “lo sport tiene lontani i giovani dalla droga”. Ora, molto spesso si incoraggiano i giovani, gli adolescenti, a fare molto sport in nome di un ideale di vita sana, intesa come vita lontana dal sesso (e oggi anche dalla droga). Non ci si aspetterebbe mai da un esponente di FdI la proposta di distribuire gratis preservativi ai minorenni per evitare gravidanze indesiderate e malattie veneree! In altre parole, lo sport è circonfuso da una serie di connotazioni che fanno corpo con una mentalità di destra: 1) lo sport tiene lontani dal sesso (prematrimoniale), 2) lo sport tiene lontani dai libri, in particolare da certi libri, che portano dubbi, idee sovversive, relativismo, ecc. Insomma, il significante “più sport” dispiega il suo senso se lo si associa a due altri significanti latenti, ma che l’elettore disposto a votare FdI recepisce perfettamente: “distogliere i giovani dal sesso” e “distogliere i giovani dai libri che fanno pensare troppo”.

            La stessa Meloni ripete “sono una mamma italiana”. Al che Mario Calenda ha replicato dicendo “Anche io sono un padre italiano. E con questo?” Ma anche qui non conta il fatto che Meloni ci informi di avere una figlia e di avere la cittadinanza italiana, quel che conta è quello che lei non dice ma significa. “La mamma italiana” evoca una immagine pubblicitaria d’epoca fascista, quando si spingevano le mamme italiane a fare tanti figli (ancor oggi quelli di FdI lo auspicano?) ovvero milioni di baionette. E’ che la messa in contiguità dei due significanti “mamma” e “italiana” comporta una serie di connotazioni. La prima è che la madre implica una vita eterosessuale (anche se non matrimoniale, perché tutti sanno che Meloni non è sposata), ovvero 1) sesso volto alla riproduzione e 2) madre in una famiglia non arcobaleno. L’aggiunto di “italiana” dice: “sono davvero italiana per jus sanguinis, non per ius scholae o altri escamotage, insomma, non sono una madre nigeriana, o rumena, o filippina… Ma proprio italiana, come tutte le madri in questo paese dovrebbero essere!” Come si vede, con la fava di un sintagma breve Meloni prende più piccioni semantici: dice al suo potenziale elettorato che è male essere lesbiche, che il sesso ha senso pieno solo nella riproduzione e nella famiglia, che le madri che partoriscono in Italia dovrebbero essere tutte italiane, e che la migliore realizzazione di una donna italiana è quella di essere madre. La coniugazione della famiglia cattolica con quella nazionalista.

            Che cosa dire di una proposta invece così pratica, così terra terra, come la flat tax di Salvini? Essa sembra far appello al portafoglio, non certo a una visione del mondo e della società. Eppure… Salvini non teme che molte persone non certo benestanti, che votano Lega, possano dire “ma così di fatto tagli le tasse ai più ricchi!” Certamente Salvini non fa appello all’invidia sociale per chi ha più (eterna accusa della destra alla sinistra: “la sinistra sfrutta l’invidia per chi ha di più!”) ma a qualcosa che va oltre una detrazione delle tasse, qualcosa di cosmico e che risale almeno ad Adam Smith, ovvero: “Allo stato devi dare il meno possibile! Quel che guadagni tienilo per te!” E’ vero che con le imposte lo stato costruisce e gestisce ospedali: ma tu devi avere abbastanza soldi per andare in una clinica privata!  E’ vero che lo stato fornisce i servizi pubblici, come trasporti urbani e treni: usa la tua auto al posto dei servizi pubblici! E’ vero che lo stato costruisce strade: ma anche un ente privato può costruirle. E’ vero che lo stato gestisce le scuole: ma tu devi essere abbastanza benestante per mandare i tuoi figli alla scuola privata. Insomma, il messaggio di fondo è: “Lo stato è una sanguisuga. Rigetto la redistribuzione della ricchezza che lo stato inevitabilmente opera.” E’ una visione liberista pura – “pensa solo al tuo interesse privato!” – a esprimersi attraverso quel taglio fiscale.

            Un’analisi di questo tipo può esser fatta ovviamente per le proposte politiche di tutti gli schieramenti. Ad esempio, la proposta del PD di dare una mensilità in più ai salariati. Che riprende e allarga la trovata di Renzi, quando “regalò” 80 euro in busta-paga a tutti i salariati. Una proposta demagogica? Ma tutte le proposte politiche sono demagogiche, dato che esse servono a conquistare il voto di una massa che non ha deciso per chi votare. A differenza della Lega, che propone un abbattimento fiscale per i lavoratori autonomi, con partita IVA, Letta propone un abbattimento fiscale per i lavoratori dipendenti. Di fatto, una mensilità in più significa una decurtazione fiscale a vantaggio dei lavoratori (diminuzione del cuneo fiscale). La proposta dà per scontato che l’elettorato del PD sia essenzialmente un elettorato di salariati. Ma allora, se il voto dei salariati è garantito, perché un partito non fa proposte per attrarre il voto di persone di altre aree sociali? Perché in questo caso la proposta non sarebbe credibile: ogni partito deve coincidere con l’alone di senso che esso ha. In questo modo Letta dà un segnale non detto ma significato: “Il PD resta il partito dei lavoratori dipendenti!” Alla base c’è una filosofia politica secondo cui i lavoratori (anche se ormai includono gli impiegati) sono la base produttiva, il pilastro essenziale della società. I lavoratori autonomi sono invece dei lavoratori estrinseci, non basilari.

Ma in questo modo sia la Lega che il PD confermano i cliché grazie a cui sono attaccati dalla parte avversa. Il cliché secondo cui la sinistra è composta da dipendenti col posto fisso, spesso statale, e che puntano soprattutto a rendere inamovibile il loro posto di lavoro e automatica (per anzianità) la loro carriera.  Il cliché secondo cui la destra è composta da piccoli e grandi imprenditori il cui principale obiettivo è quello di evadere le tasse. Sinistra = salariati protetti dal licenziamento. Destra = evasori fiscali.

            Ultimo esempio preso dall’estrema sinistra. Alle elezioni del 2018 i partiti alla sinistra del PD avanzarono anche loro una proposta “demagogica”: iscrizioni gratuite all’Università. In modo da permettere anche ai figli della povera gente di poter proseguire gli studi superiori. Oggi Meloni ai giovani offre lo sport, ieri la sinistra radicale offriva l’Università. Ma anche qui emerge un certo cliché sulla sinistra, che poi corrisponde alla visione del mondo implicita di chi opta per la sinistra radicale, il quale di solito è un intellettuale, un artista… un professore universitario… Per l’estrema sinistra non sono più i proletari il vero focus, ma la cultura. La sinistra è convinta che se tutti fossero colti, se tutti avessero studiato, tutti sarebbero di sinistra. La sinistra si percepisce non più come area dei lavoratori sfruttati (a parte gli immigrati) ma sempre più come “area della cultura superiore”. Per cui la proposta aveva questa connotazione: “La cosa migliore per un essere umano è avere una laurea!” Non a caso uno dei grandi ispiratori del pensiero di estrema destra, Julius Evola, diceva: “Divido gli esseri umani in due categorie: una sono i nobili, l’altra è chi ha una laurea”.

            E’ vero che in politica si devono prendere decisioni molto concrete, ma chi viene eletto lo è non tanto in vista di queste decisioni (che del resto non sono affatto prevedibili in campagna elettorale) quanto in funzione di una narrazione, di uno storytelling che rende la politica non uno scontro su problemi reali ma su racconti. I discorsi politici hanno un rapporto solo tangenziale con la realtà. Anche se la realtà irrompe quando si governa, e per questa ragione ogni governo delude. Perché quando si governa non basta manipolare racconti, si devono risolvere questioni che non è possibile raccontare.

 

 Sergio Benvenuto

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